CENT’ANNI DI SOLITUDINE
I Tipi dell’Enneagramma nell’opera di Garcia Marquez
Parte prima
Antonio Barbato
Una tendenza, ormai largamente diffusa fra gli insegnanti di EdT, è quella di illustrare le diverse tipologie caratteriali mediante l’ausilio di personaggi tratti da opere letterarie famose che, per il loro carattere di universalità, sono ben note al grande pubblico e che permettono, pertanto, di avere una comprensione immediata dei tratti che vengono descritti.
L’esempio più noto di questa propensione si può trovare leggendo Travels with Odysseus dello scrittore Micheal Goldberg, nel quale le avventure di Ulisse sono rilette nell’ottica di una intera esperienza (i gurdijeffiani direbbero di un processo) di incontro con le posizioni dell’Enneagramma. I lettori che potrebbero essere interessati ad una analisi dei vari personaggi e delle diverse situazioni, possono riferirsi utilmente alla parte libera del nostro forum, dove troveranno approfondite discussioni su una rilettura enneagrammatica, che non sempre coincide con le conclusioni alle quali è giunto lo scrittore americano.
Un diverso stile è quello che ha ispirato, invece, Judith Searle nella composizione del suo splendido The Literary Enneagram. In esso, invece di analizzare attraverso le pagine di unico libro i tipi dell’EdT, l’autrice riesce a dare una visione esauriente dei diversi stili caratteriali, esaminando personaggi di diverse opere, che meglio rappresentano certe caratteristiche dei tipi.
Amleto, ad esempio, è un personaggio che viene illustrato in tutto quello che l’autrice definisce come la gamma e l’arco delle risposte caratteriali, intendendo con queste espressioni: ”la gamma è definibile come la varietà di risposte delle quali il personaggio è capace in un punto qualsiasi della trama”, mentre “viene definito arco caratteriale il cambiamento psicologico individuale del personaggio durante il corso della storia”.
Come che sia, esempi di questo stile di illustrazione ed insegnamento dell’EdT si possono trovare ormai quasi in ogni paese, con gli autori che tendono, ovviamente, a privilegiare libri che sono scritti nella loro madre lingua. In italiano l’opera che più si presta a questo tipo di applicazione è, probabilmente, I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, per la sua grande varietà di tipi descritti (addirittura i tre sottotipi del Sei sono rappresentati molto bene).
Nei paesi di lingua spagnola, di recente, un consesso di oltre cento presidi di licei ha votato come romanzo più influente nella lingua spagnola il Don Chisciotte della Mancia di Miguel Cervantes, dietro di esso, però, al secondo, quinto e settimo posto, sono risultate ben tre opere dello scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez, fra le quali spicca, ovviamente, il suo capolavoro Cent’Anni di Solitudine.
Alla luce delle considerazioni sin qui espresse, risulterà facile comprendere come molti insegnanti di EdT di lingua spagnola abbiano utilizzato il romanzo come una miniera dalla quale attingere per illustrare tipologia, arco caratteriale e plausibili comportamenti dei personaggi. Come nel caso dell’Odissea su descritto, inoltre, anche in questo caso si utilizzano le descrizioni dei personaggi per illustrare i tipi dell’EdT senza nemmeno citare esplicitamente il simbolo stesso. Data la diffusione dei Cent’Anni in tutto il mondo e l’elevatissimo numero di personaggi, che permettono di avere tutto intero l’elenco completo dei tipi , è parso naturale anche a me di proporne una lettura in termini di EdT, che ho condiviso parzialmente con i frequentatori abituali del nostro forum.
Voglio ora, però, cercare di operare una più sistematica analisi per offrire spunti utili al come individuare i tratti più salienti di una caratteriologia in un personaggio della fiction o in una persona della vita reale.
Non mi addentrerò, ovviamente, in una analisi dei meriti letterari o delle caratteristiche di stile del romanzo, essendo tale compito molto più arduo di quanto possano i miei scarsi talenti letterari permettermi. Inevitabilmente, però, dovrò partire da una ricapitolazione dell’ambiente generale in cui si passano il tempo, amano, odiano e muoiono i personaggi e indicare quale sia il filo conduttore che lega la folla, altrimenti eterogenea, di personaggi principali e comprimari che affollano le pagine del libro.
I Temi Fondamentali
Il romanzo ha diverse chiavi di lettura mediante le quali può essere interpretato e ognuna di esse fornisce elementi diversi al più generale affresco della trama.
In primo luogo tutto Cento Anni può essere considerato come la storia della famiglia Buendìa che, generazione dopo generazione, corre verso un destino predeterminato dal fato fin da prima che si verificassero gli stessi incroci genetici che diedero nascita al primo antenato. In modo simile a quello elaborato, ad esempio, da Thomas Mann nel suo i Buddenbrook, il filo del romanzo si dipana traverso momenti di ascesa e discesa, di successi e fallimenti, di illusioni e speranze deluse, che raccontano della parabola dei personaggi con più distacco che empatia, raffigurando un quadro oggettivo ed imparziale delle loro debolezze e dei punti di forza.
Una seconda chiave è quella della Solitudine cui allude il titolo, A prima vista essa è la solitudine di Macondo, il paese, che diventerà poi cittadina, fondato dal patriarca Josè Arcadio e dai suoi amici, che resterà isolato per lungo tempo dal resto del mondo.
Tuttavia, ad uno sguardo più attento, essa è anche la solitudine dei personaggi incapaci di comunicare ad un profondo livello, quello nel quale si realizza non ciò che più desiderano, ma quello che è meglio per loro. Paradigmatico a questo proposito è il destino di uno personaggi minori, di quel Aureliano Josè, primo fra i figli del Colonnello Aureliano, che muore per un equivoco e nonostante che la madre Pilar Ternera lo metta in guardia inutilmente (un tema che Marquez utilizzerà anche nell’altrettanto noto Cronaca di una Morta Annunciata), dopo aver letto le carte, dato che un ufficiale nemico gli spara e lo sparo viene udito da una ragazza, Carmelita Montiel per la quale era uscito di casa e che lo aspettava a letto. Aureliano José muore così senza sapere che nel suo destino era scritta, insieme alla giovane, una vita ricca di quella felicità che non aveva potuto avere con la zia Amaranta.
Quest’ultima, di cui discorrerò successivamente, testimonia a sua volta per tutta la vita l’incapacità di conciliare desiderio e soddisfazione dello stesso, tipica di molti Quattro che porta, inevitabilmente, alla solitudine esistenziale.
Una terza possibilità interpretativa del romanzo è quella della imperturbabilità, o meglio della quasi circolarità, del tempo. In questa ottica tutto il romanzo è l’illustrazione di una specie di teoria dell’eterno ritorno, dato che l’evento che da origine, in ultima analisi, a Macondo e che fu tanto temuto da una delle protagoniste principali, Ursula, si ripeterà, ad insaputa di tutti, segnando anche la fine del romanzo.
I passaggi degli anni sembrano scandire solo una illusione, rivelandosi in realtà solo l’attesa di un evento previsto ma a lungo occultato, che mischia i vivi ed i morti in un presente atemporale nel quale i due mondi non sono separati ma compartecipi l’uno all’altro, interagendo ed interrompendosi con improvvise irruzioni.
Si è parlato, a questo proposito, di realismo magico, sia perché Marquez usa la tecnica di far collassare il tempo in modo da creare un’ambientazione in cui il presente si ripete o richiama il passato, come proclama Josè Arcadio prima di impazzire, sia perché i personaggi mostrano poteri extra naturali vissuti però, salvo rari casi, come dei fatti normali, come la ovvia conseguenza della successione di una facoltà da un personaggio all’altro cui il secondo è il discendente.
A rendere più palese questa tendenza c’è la successione dai nomi dei vari protagonisti maschili, che si ripetono in una incessante processione di Josè Arcadio ed Aureliano. Apparentemente, i primi sono impulsivi, pieni di attenzione al vivere sociale ed alle novità del mondo, mentre i secondi sono più introversi ed appartati. Tuttavia, questa è una macro generalizzazione che un’analisi dei personaggi effettuata con l’ausilio dell’EdT finirà per scompigliare, mostrandoci come, invece, sotterranea e lucida in quasi tutto il romanzo domini nel mondo dei maschi la paura e in quello delle donne l’orgoglio e il risentimento.
Le Generazioni dei Buendìa e dei loro Famigliari
Come ho più su riferito, il romanzo è apparentemente uno spaccato delle vite e delle sorti dei protagonisti di una famiglia, i Buendìa, che sono stati determinanti nella fondazione di Macondo. E’ utile, quindi, anche per non disperdersi fra i nomi che si ripetono, fare una lista di personaggi che esaminerò, dividendoli per generazioni e per interazioni con altri soggetti estranei alla famiglia in senso stretto. Ogni personaggio verrà attribuito ad una generazione in base all’ordine, per così dire, di apparizione, indipendentemente dalla sua permanenza nel romanzo. Nello schema riportato più sotto sono evidenziati in verde coloro che sono consanguinei fra di loro, evidenziando, in tal modo, che personaggi come Rebeca, Fernanda o Melquiades pur tanto presenti ed importanti, non discendono dai due capostipiti.
Prima Generazione.
A questa generazione appartengono per età anagrafica i due capostipiti ed alcuni dei primi frequentatori di Macondo. Esaminerò, perché interessanti dal punto di vista dell’EdT, ovviamente i personaggi di Josè Arcadio primo e di Ursula, ma anche quelli dello zingaro Melquìades, sorta di interessato mentore di Josè Arcadio in numerose bizzarrie, e di Apollinar Moscote il primo funzionario statale inviato dal governo a mantenere l’ordine a Macondo e che diventerà poi consuocero dei Buendìa.
Josè Arcadio Buendìa: sposa la cugina Ursula Iguaràn nonostante questa sia terrorizzata dall’idea di poter dare la luce ad un figlio con la coda di maiale, come era già accaduto ad una loro zia, e non si preoccupa affatto di questa possibilità. Ai timori della moglie risponde che “non mi importa di mettere al mondo dei porcelli, purché possano parlare”, mettendo subito in evidenza il suo carattere combattivo e aggressivo.
Rispetta, però, la decisione della moglie di non consumare il matrimonio, limitandosi ad abbracciarla con crescente desiderio ed ad allevare i suoi galli da combattimento, fino a quando la sua virilità non viene messa in dubbio da un altro allevatore, Prudencìo Aguilar, che egli uccide. In questo episodio emerge evidente il tema culturale del machismo, tipico della cultura neolatina, che impone ai maschi di far rispettare il proprio onore e la propria virilità a tutti i costi ed anche se ciò richiede delle azioni che sono contrarie al proprio carattere, come accade a Josè Arcadio.
L’uccisione di Prudencìo non può provocare alcun tipo di condanna sociale, visto che l’offesa subita venne ritenuta troppo grave per non essere riparata, ma, ciò nonostante, lascia in Josè Arcadio un persistente senso di colpa che si esprime assumendo le forme dello stesso ucciso. Il fantasma di Prudencio, infatti, perseguiterà in modi del tutto irrazionali il suo assassino malgrado questi sia tutt’altro che un sentimentale o una persona facilmente impressionabile.
Egli, infatti, nonostante sia un uomo impetuoso, dotato di forza quasi erculea, è anche un uomo di pensiero, qualcuno che è attratto fortissimamente dal nuovo, dal meraviglioso, dalle moltissime possibilità, dall’alchimia, dallo straordinario e da tutto quello che sembra promettere un’esperienza nuova ed interessante.
Evidentemente siamo in presenza di tutti tratti tipici del Sette e la sua caratterizzazione come goloso è resa ancora più evidente dal confronto con le specificità della moglie, Ursula, un bellissimo ritratto di donna Uno, che rappresenta, invece, il senso pratico, l’etica razionale e che, naturalmente, è costretta per quasi tutto il romanzo a contrastare la tendenza al sogno e al magico del marito. Se quest’ultimo cerca in tutti i modi di effigiare Dio in un dagherrotipo e di moltiplicare con l’alchimia le monete d’oro che è riuscito a farsi dare (un desiderio che deve essere tipico della mente del Sette, visto che una situazione analoga si verifica in Aladino ed in Pinocchio), la prima si spacca la schiena per non far mancare nulla ai figli e tenere la casa pulita ed abitabile.
Anche nella pazzia in cui cade Josè Arcadio presenta i tratti tipici dello stile del Sette, mescolando insalate di parole incomprensibili (solo più tardi si capirà nel romanzo che sta sproloquiando nel latino decadente degli alchimisti), a momenti di lucida follia che sconcertano, per la loro apparente razionalità, anche il più assennato uomo di fede.
Ursula Iguaràn: è uno dei più bei esempi del sottotipo misto Conservazione/Sessuale dell’Uno della letteratura mondiale. Laboriosa, infaticabile, determinata, solida e coscienziosa, fa, come abbiamo detto, da contraltare all’inizio del romanzo alle smanie da Don Chisciotte del marito Josè Arcadio.
Vera matriarca, Ursula attraversa nella sua vita quasi tutte le generazioni e tale è la forza del suo spirito indomito che anche nella sua tardissima età e nonostante la sua completa cecità, riesce a non farsi mai mancare di rispetto e a mantenere la sua autonomia. Esemplare è l’episodio del tesoretto di monete di oro contenute in una statua di san Giuseppe, che le viene affidato da quattro sconosciuti e che lei custodirà inviolato, in attesa di poterlo restituire ai legittimi proprietari, malgrado tutti i tentativi di sottrarglielo, fino al giorno della sua morte.
La preoccupazione per le sorti della famiglia la portano ad impegnarsi in molteplici attività lavorative per garantire un adeguato tenore sociale ai suoi familiari (esemplare a questo proposito la promessa che fa a sé stessa: “finché Dio mi da vita, non mancheranno mai i soldi in questa casa di pazzi”), ed a mantenere un controllo poco appariscente, ma assiduo e costante, su tutti i loro comportamenti,
La sua rigidità, tuttavia, emerge ripetutamente nel corso della storia e ci mostra anche il lato duro e autocrate del tipo Uno, che non ammette alcuna opposizione rispetto al suo volere. Così, ad esempio, Ursula non accetterà mai la relazione amorosa che travolgerà il suo primo figlio, Josè Arcadio secondo e Rebeca, una lontana parente che aveva adottato come propria figlia. La condanna di quello che Ursula riterrà un vero e proprio incesto, sarà tanto forte da non permettere mai una possibilità di riconciliazione fra le due donne. Malgrado i tanti lutti e la solitudine che tutte e due dovranno a lungo sopportare, l’inflessibilità di Ursula e l’orgoglio di Rebeca renderanno le due donne per sempre estranee l’un l’altra.
Il senso di probità proprio di un tipo Uno, quella necessità di compiere un atto giusto anche quando ciò comporta rischi e va contro l’ordine costituito, emerge prepotente nell’episodio che coinvolge il contro fobico nipote Arcadio e il correggitore Apollinare Moscote. Quando Arcadio, investito del potere di capo militare di Macondo, si comporta come un aggressivo dittatore e decide di far fucilare per motivi personali il povero Moscote, Ursula non esita un istante. Munita di uno staffile, attraversa carica di sacrosanta indignazione tutto il paese ed arrivata sul luogo della esecuzione non esita a colpire selvaggiamente il nipote, apostrofandolo con ogni tipo di improperio per quello che si apprestava a fare. L’impeto di Ursula è tale che nessuno si permette di reagire e l’intero plotone fugge davanti alla sua rabbia.
Non meno memorabili sono le parole che rivolge al figlio, Aureliano divenuto ormai capo di tutte le forze rivoluzionarie del paese, ed al consiglio di guerra, per perorare la non fucilazione di un avversario politico buono e mite che aveva retto Macondo durante uno dei numerosi capovolgimenti della guerra civile. Così ce le descrive Marquez:“ Ursula fu l’ultima della sfilata. La dignità del suo lutto, il peso del suo nome, la convincente veemenza della sua dichiarazione, fecero vacillare per un attimo la bilancia della giustizia. “Voi avete preso molto sul serio questo gioco spaventoso, e avete fatto bene, perché state facendo il vostro dovere” disse ai membri del tribunale. “ Ma non dimenticate che finché Dio ci da vita, noi continueremo a essere madri, e che, rivoluzionari o no, abbiamo il diritto di tirarvi giù i pantaloni e prendervi a sculacciate alla prima mancanza di rispetto”.
Melquìades: il capo della banda di zingari che per lungo tempo resta l’unica fonte di contatto degli abitanti di Macondo con il mondo esterno è, secondo alcuni, il personaggio principale del romanzo. In effetti è lui, di ritorno dal mondo dei morti, come orgogliosamente proclama, a scrivere, in un linguaggio cifrato che dovrà essere decrittato solo alla fine degli eventi, delle pergamene nelle quali verrà svelato il segreto della vera fondazione di Macondo.
Dal punto di vista dello EdT non sembrano esserci dubbi sul suo essere un tipo Sette, visto che si caratterizza per essere un giramondo pieno di inventiva, che riesce sempre a vendere cianfrusaglie di poco conto a buon prezzo, ad avere una vera passione per lo stravagante e l’occulto ed a fuggire, secondo quanto racconta in modo mirabolante, perfino dalla solitudine della morte per restare in compagnia dei vivi.
Si pone nei confronti di Josè Arcadio primo come un maestro pronto ad insegnare tutte le scienze sia naturali che arcane, tuttavia non esita a vendergli, dopo averglieli a lungo fatte desiderare per aumentare il prezzo, come strumenti magici, oggetti di uso corrente altrove.
Apollinar Moscote: viene inviato dal governo conservatore al potere in qualità di corregitore, cioè di funzionario addetto a vigilare sulla pubblica sicurezza, e mostra, sin dal suo primo scontro con Josè Arcadio, la sua difficoltà nell’essere capace di imporsi. Dopo essere stato cacciato in malo modo da Macondo vi ritorna con l’ausilio di una scalcagnata scorta militare e con tutta la sua famiglia. Questa circostanza gli salva la vita, perché Josè Arcadio si oppone a coloro che vorrebbero aggredire lui ed i militari, dicendo che non si mette in ridicolo un uomo davanti a sua moglie.
Nonostante sia un personaggio minore, Apollinar gioca un ruolo notevole nel romanzo perché diventa il suocero del futuro Colonnello Aureliano e con la sua sempre timorosa sottomissione ai voleri del potere, gli insegna i trucchi della politica.
Oscillando fra senso del dovere ed estrema fobia Apollinar mostra molte delle caratteristiche del Sei, soprattutto perché è, in realtà, un’autorità ornamentale, un uomo di paglia dietro alla cui apparenza si nascondono i poteri forti che lo utilizzano senza scrupoli.
L’unica volta nella quale esprime un cauto commento negativo sull’operato del potente di turno, Arcadio, che è stato messo a capo delle milizie rivoluzionarie a Macondo, viene fustigato a sangue e rischia, addirittura, di essere fucilato. Potete immaginare l’effetto di una simile esperienza, che sarebbe già traumatica per chiunque, su un Sei fobico??
Salvato dal risoluto intervento di Ursula il povero Apollinar fa l’unica cosa sensata che un Sei avrebbe fatto al posto suo: scompare, letteralmente, dal romanzo nel quale non apparirà più.
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