Enneagramma Associazione Internazionale Studi Enneagramma

IL LIBRO DELLA GIUNGLA

IL LIBRO DELLA GIUNGLA

Premessa al Testo e articolo di MARTINA LAURIA

L’articolo che segue ha per oggetto un’analisi dei personaggi del romanzo di Rudyard Kipling – Il Libro della Giungla – inquadrati secondo l’ottica dell’Enneagramma delle Personalità.
Tutti i corsivi del testo costituiscono una terminologia specifica e, dunque, fanno riferimento a concetti che possono essere approfonditi attraverso la letteratura di riferimento.
Alcuni di questi termini sono largamente diffusi e adottati da diversi autori, in particolare quelli riferibili ai concetti di Passione, Fissazione ed Evitamenti; altri, come quelli relativi alle Polarità Interiori, alle Varianti Istintuali Miste, ai Livelli dei Meccanismi di Difesa sono il frutto di un lavoro esclusivo di Antonio Barbato – Presidente dell’Ass.I.S.E.- Associazione Italiana Studi Enneagramma – e, pertanto, soggetti a copyright.
Tali concetti, oggetto tra gli altri del corpus di insegnamento dei Corsi Triennali di Studi sull’Enneagramma che l’Ass.I.S..E. propone, costituiscono elementi fondamentali per poter accostare la lettura di una personalità e la sua profilazione enneatipica con uno sguardo che sia il più ampio possibile e tale da rendere giustizia alla complessità del funzionamento psichico del genere umano.

Una sintetica definizione dei concetti presenti nell’articolo:
Passione: risposta emozionale fissa coerente con le pretese dell’ambiente in cui il bambino vive. Ha una valenza adattiva, ma comporta una rinuncia. Costituisce una soggezione alle cose del mondo con la conseguente perdita di spontaneità e volontà
Fissazione: risposta cognitiva fissa; un modo di pensare che filtra la realtà prendendone in considerazione solo alcuni aspetti e rifiutandone degli altri
Istinti: forze innate che guidano le energie dell’individuo in una direzione espansiva (Istinto di Espansione o Sessuale), in una direzione ritrattiva (Istinto di Ritrazione o Conservazione), in una direzione coerente con le richieste ambientali (Istinto di Adattamento o Sociale)
Polarità Interiori: gruppi di risposte istintive/emozionali primarie elicitate nel bambino dal contatto con l’ambiente. Operano tra loro in costante flusso interattivo e nel tempo si riunificano in una sola risposta emozionale, la Passione, di cui costituiscono, quindi, le radici e le manifestazioni polari
Evitamenti: aspetti, vissuti, sensazioni, che si immagina di non poter sopportare. Mura difensive che vietano il contatto con alcune esperienze limitando fortemente il potenziale personale
Meccanismi di Difesa: filtri inconsci che permettono di escludere dallo sguardo quanto potrebbe turbare la Fissazione

Testi e Articoli per approfondire:

Barbato Antonio; L’Enneagramma della Ferita Originaria ediz. Età dell’Acquario 2022,
Barbato Antonio; Enneagramma delle Personalità; i 108 Sottotipi ediz. KDP 2021,
Naranjo Claudio; Carattere e Nevrosi, l’Enneagramma dei Tipi Psicologici ediz. Astrolabio 2014,
Palmer Helen; L’Enneagramma, ediz. Astrolabio 1996,
Rohr Richard, Ebert Andrea; L’Enneagramma, ediz. Ares 2023
Ass.I.S.E. Associazione Internazionale Studi Enneagramma; oltre trecento articoli contenuti nelle pagine del sito www.enneagramma.info

Il Libro della Giungla

Il potere sempre eterno delle favole è quello di rivolgersi al cuore del Bambino, anche quando a leggere è l’occhio dell’Adulto. Molto probabilmente il processo inverso lo compie anche la penna dello scrittore quando, a passeggio tra vissuti infantili, rintraccia le parole da lasciare su carta.

Così Kipling ci accompagna nella sua India, l’India che lo ha accolto fino ai sei anni, prima della separazione dai suoi genitori, e dopo i dodici, l’India della nostalgia e del ricongiungimento.

Il testo costituisce probabilmente un richiamo alle radici, la possibilità di ritrovare una dimensione in cui sentirsi protetti, che spesso è assente tra gli uomini, ma che tra gli animali della Giungla è la legge a garantire.

Sono ben distinti l’istinto dalla ferocia, il dolore dalla sofferenza, il riconoscimento delle differenze dalla discriminazione.

Il termine Fratello ricorre tra gli animali della Giungla anche quando fratelli non sono e fratelli sono anche i massoni, cui Kipling si affilierà. La possibilità di una fratellanza non biologica è proprio ciò di cui forse Kipling bambino, ospite per diversi anni presso lontani parenti inglesi dai quali non si sentirà mai realmente accolto, ha bisogno e che ricerca nel corso della sua esistenza, come testimoniato – senza voler entrare nel merito delle sue scelte politiche – dai movimenti che sposa e dai personaggi che abitano questa opera divenuta tanto famosa.

L’intero Libro della Giungla è, infatti, una rappresentazione dei rapporti, delle gerarchie, un riconoscimento dell’impossibilità di modificare alcuni aspetti istintuali e della necessità di disciplinare le interazioni tra gli esseri viventi rispettandone la natura profonda. Per questi motivi fu utilizzato anche come strumento pedagogico nello scoutismo, che prese come modello di comportamento del gruppo dei Lupetti la Legge del Branco.

Riporto a titolo esemplificativo di quanto detto sopra alcuni versi della Legge della Giungla:

  • Un lupo, quando si sposa, può lasciare il suo branco; ma non appena i suoi cuccioli sono abbastanza cresciuti da reggersi sulle zampe, deve condurli al Consiglio del Branco per dar modo agli altri lupi di identificarli.
  • Finché i cuccioli di lupo non hanno ucciso il loro primo cervo, il maschio adulto del branco che dovesse ucciderne uno non avrebbe scusanti. Laddove scoperto, per l’assassinio c’è la pena di morte.
  • L’Uomo è la più debole e indifesa di tutte le creature viventi e sarebbe poco sportivo prenderlo di mira.

Vale l’allegria (la pena male si abbina con i contenuti delle favole) la lettura dell’intero testo, che consta di cinque diversi racconti. Qui mi limito a rileggere in chiave enneagrammatica il più fortunato e articolato di essi, passato più facilmente alla storia anche grazie ai numerosi rifacimenti e rappresentazioni cui ha dato luogo, tra i quali la più nota è l’edulcorata versione della Disney: la storia del piccolo Mowgli.

Eccone la trama; una notte, nella Giungla, Mowgli, un cucciolo d’uomo, sfuggito alla caccia della tigre Shere Khan, giunge nella tana di una famiglia di lupi. Shere Khan ne reclama la proprietà, ma Mamma Lupa si oppone: alleverà il piccolo come fosse uno dei suoi cuccioli e, quando questi diverrà adulto, sarà lui a cacciare la tigre e a ucciderla.

Quando, come la legge della Giungla prescrive, papà Lupo presenta Mowgli e gli altri suoi figli al Consiglio del Branco, alcuni lupi, aizzati da Shere Khan, si schierano contro la possibilità di accogliere il cucciolo d’uomo. Sempre secondo prescrizione di legge servono almeno due figure pronte a schierarsi in suo favore, perché non venga allontanato. Saranno allora l’Orso Baloo, Dottore della Legge, e la Pantera Bagheera a prendere le parti del cucciolo, a favorirne l’adozione da parte del branco e a guidarlo e educarlo nel suo processo di crescita.

Alcuni anni dopo, quando il Consiglio del Branco sta per decadere per l’anzianità del suo capo, i giovani lupi, capeggiati da Shere Khan, si rivoltano nuovamente contro Mowgli. Il ragazzo è allora costretto ad andare via e viene accolto in un villaggio di umani dove comincia una nuova vita, sempre animato dall’intento di vendicarsi di Shere Khan sulla cui testa, già da tempo, grava una taglia tra gli uomini del villaggio.

Mowgli, con l’aiuto dei pochi lupi che gli sono rimasti amici e di un astuto piano, riesce a sconfiggere la tigre, ma quando rifiuta di consegnarne la pelle agli uomini del villaggio, desiderosi di accaparrarsi la taglia prevista, viene accusato di stregoneria e cacciato via in malo modo.

Egli si reca allora nuovamente nella Giungla, per portare in segno di vittoria la pelle di Shere Khan, ma sceglie di allontanarsi definitivamente dal branco, nonostante l’invito a restare, poiché la prima esperienza di allontanamento l’ha scottato a tal punto da fargli preferire una vita in solitudine, sempre nella Giungla, ma svincolata da relazioni affettive.

Si conclude così la vicenda di Mowgli raccontata nel testo.

Solo una frase ci dona Kipling per rasserenare i nostri cuori di bambini e restituirci la speranza – come favola chiede! – rispetto alle sorti del cucciolo d’uomo: “Ma non rimase sempre solo perché, anni dopo, divenne un uomo e si sposò. Ma questa è una storia per grandi.”

Entriamo ora nel dettaglio della profilazione enneatipica di Mowgli, di Baloo e di Bagheera, i tre personaggi maggiormente tratteggiati nel testo.

Mowgli.

A metterla per iscritto la meravigliosa vita di Mowgli in mezzo ai lupi riempirebbe chissà quanti volumi, perciò dovrete limitarvi a immaginarla. Egli crebbe insieme ai cuccioli, benché naturalmente questi diventassero adulti prima che lui fosse un ragazzino, e Babbo Lupo gli insegnò il fatto suo e come vanno le cose nella Giungla […]. Quando non era occupato ad apprendere si adagiava al sole e dormiva e mangiava e poi tornava a dormire; quando si sentiva stanco o accaldato nuotava negli stagni della foresta; e quando aveva voglia di miele (Baloo gli aveva detto che miele e noci erano buoni quanto la carne cruda) si arrampicava a cercarlo: come fare glielo aveva mostrato Bagheera […]. Prese anche posto alla Rocca del Consiglio quando il branco si riuniva e lì scoprì che, se guardava fisso un lupo, il lupo era costretto ad abbassare gli occhi e così si mise a farlo per gioco. Altre volte estraeva i lunghi spini dalle zampe dei suoi amici, perché i lupi soffrono tremendamente a causa di spine e ricci nel pelame. Di notte si calava giù dal fianco della collina fino ai campi coltivati e osservava con molta curiosità i contadini nelle loro capanne […]. Più di tutto gli piaceva addentrarsi con Bagheera nel buio, caldo cuore della foresta, dormire per tutto il sonnolento giorno e la notte vedere in che modo Bagheera uccideva le sue prede”.

Dopo aver narrato dell’arrivo di Mowgli nella tana dei lupi e della disputa al Consiglio del Branco sulle sue sorti nella giungla, Kipling introduce la figura del cucciolo d’uomo immergendolo nello scenario di una vita meravigliosa, talmente densa da potersi solo immaginare e pennellando scenette del quotidiano che lo vedono tutto intento a godersi momenti della giornata, a servirsi degli insegnamenti delle sue guide per trovare piacere.

Emergono già, quindi, da questa prima descrizione, alcuni tratti di superficie come la giocosità, la curiosità e la tendenza a vivere momento per momento, che sembrano suggerire che possa essere la Passione della Gola a muovere Mowgli nel mondo. Ma è solo con lo snodarsi della vicenda, e in particolare osservando come vive la difficoltà, la tensione crescente della storia e il dolore, che è possibile confermare che si tratta di un Enneatipo Sette. Egli ha, infatti, come sfondo emotivo dominante quello della Paura e si serve della Gola per negarla ed esorcizzarla, e della Pianificazione per polarizzarsi sempre su uno scenario mutevole e ottimistico dell’esistenza così da evitare il Dolore, la noia, il contatto con le proprie emozioni profonde.

Quando Bagheera prova a metterlo in guardia rispetto alle intenzioni di Shere Khan, che da anni non ha abbandonato il progetto di ucciderlo e dimostrare il proprio valore, Mowgli minimizza e utilizza il Meccanismo della Razionalizzazione, difesa elettiva del Sette, per tenere lontana la paura.

Questo il passo del libro: “Un paio di volte aveva detto chiaro e tondo a Mowgli che un giorno o l’altro (la tigre) l’avrebbe ucciso; e Mowgli ridendo aveva risposto: “<<Io ho il branco e ho te; e Baloo, per quanto pigro, un paio di zampate per il sottoscritto potrebbe sempre darle. Perché dovrei avere paura? […] Ho sonno Bagheera e Shere Khan fa la voce grossa e la ruota con la coda…come Mor il Pavone>>”.

Quando Bagheera insiste illustrandogli le serie motivazioni alla base della sua preoccupazione – l’anzianità del capo dei lupi e del Consiglio del Branco (che ne permisero l’adozione nella Giungla quando si intrufolò, piccolissimo, nella tana di una famiglia di lupi per sfuggire a Shere Khan), e la prossima elezione di un Consiglio di giovani lupi molto vicini alla tigre, e perdipiù convinti che non ci sia spazio per un uomo nel branco – Mowgli ribatte: “E cosa ha un uomo che non può correre coi suoi fratelli? Sono nato nella Giungla. Alla Legge della Giungla ho obbedito e non c’è lupo dei nostri dalle cui zampe io non abbia estratto uno spino. Direi che sono miei fratelli!”.

Dalle risposte di Mowgli a Bagheera trapela la convinzione che far parte di un branco, fare gruppo, dia la possibilità di attaccare e difendersi meglio, di garantirsi uno spazio di sicurezza maggiore. Questo pensiero è alla base della strutturazione caratteriale del Sette in cui prevale l’Istinto di Conservazione. Tale istinto richiede che il passaggio all’azione, o la possibilità di impegnare le proprie energie in qualcosa, sia conseguenza di una preventiva e attenta valutazione degli impatti che si potranno avere sul proprio benessere. Nelle persone in cui questo istinto predomina, quindi, a prescindere dalla tipologia enneatipica di appartenenza, si assiste a una maggiore attenzione alle conseguenze di un’azione con l’intento di preservare uno spazio di sicurezza.

L’incontro tra la Gola e l’Istinto di Conservazione oscillerà, allora, fra un atteggiamento tipicamente volto alla piena soddisfazione del proprio piacere e dei propri desideri e la riduzione al minimo dei rischi che ne possono derivare.

Per Mowgli è possibile perseverare nel godersi i piaceri che la vita nella Giungla gli offre- senza prendere troppo sul serio la minaccia costituita dalla tigre- enfatizzando la posizione di sicurezza che sente gli derivi dall’avere al suo fianco Baloo e Bagheera e dall’essersi mosso, nel tempo, in maniera tale da garantirsi la prossimità dei Fratelli.

Nel Sette Branco – questo l’appellativo di questa variante del Sette – la visione del mondo come un luogo sostanzialmente minaccioso spinge a cercare e a scegliere persone di cui contornarsi e con cui fare branco, appunto, sulla base della condivisione di un interesse comune, più che di vincoli di sangue o di natura etico-morale, e a fidarsi, dunque, di persone che si sente possano ricavare un vantaggio dalla propria presenza e della cui presenza beneficiare.

Esattamente come accade in un branco, si assisterà a un atteggiamento di benevolenza e disponibilità verso i membri del proprio gruppo e di aggressività aperta verso chi ne è fuori, o se ne è allontanato per il venir meno delle condizioni che un tempo spinsero alla creazione dell’alleanza. C’è un contatto diretto con la propria rabbia che viene espressa senza filtri, specialmente quando entrano in gioco vissuti di perdita e privazione, che di tanto nutrono la Polarità Interiore dell’Impermanenza, centrale in questa variante rispetto alla Polarità Interiore del Sacrificio, connessa all’Istinto di Espansione.

Tutto ciò è riscontrabile nelle dolorose pagine in cui Kipling narra della cacciata di Mowgli dal branco. I giovani lupi, stretti intorno alla figura di Shere Khan, sono ormai intenzionati a battersi affinché Mowgli venga espulso dalla giungla. Minimizzare non gli è più possibile e allora, con l’aiuto del fuoco- strumento dell’uomo che aveva acceso per potersi meglio difendere in caso di attacco- diviene, contrariamente a come Kipling ce lo ha presentato fin lì, tremendamente aggressivo nel verbo e nel gesto.

Come recita il testo: “Si mise in posizione eretta: il vaso di fuoco in mano. Poi stirò le braccia e sbadigliò in faccia al Consiglio; ma ribolliva di rabbia e dolore perché, da quei lupi che erano, i lupi non gli avevano mai detto quanto lo odiassero. – State a sentire! – gridò. – Non c’è bisogno di fare tutta questa cagnara. Stanotte mi avete ripetuto così spesso che sono un uomo (quanto a me sarei stato lupo con voi fino alla fine dei miei giorni), che mi rendo conto che dite il vero. Perciò non vi chiamerò più fratelli ma sag [cani], come un uomo dovrebbe. Cosa farete e cosa non farete, non sta a voi dire. É cosa che riguarda me; e per permetterci di fare più chiarezza io, l’uomo, ho portato qui un po’ di quel fiore rosso che voi, cani, temete. Scagliò a terra il vaso di fuoco e qualche tizzo rosso accese un ciuffo di muschio secco che avvampò, mentre tutto il consiglio si ritraeva terrorizzato dinanzi ai guizzi delle fiamme […]

– Bene! – disse Mowgli, guardandosi lentamente intorno. – Vedo che siete dei cani. Vi lascio per tornare dalla mia gente… se è la mia gente. La Giungla mi è preclusa e devo dimenticare il vostro linguaggio e la vostra compagnia […] Ma prima di andarmene resta un debito da saldare –.

Si diresse a gran passi su Shere Khan, accucciata a sbattere stupidamente le palpebre davanti alle fiamme, e l’agguantò per il ciuffo sul mento. Bagheera, per ogni evenienza, lo seguì.

– In piedi, cagna! – gridò Mowgli. – In piedi, quando parla un uomo, altrimenti do fuoco a quel pelame! […] Questa ammazzabovini ha detto che mi avrebbe ucciso in sede di Consiglio perché non mi aveva ucciso quando ero un cucciolo. Ah sì, e allora ecco come bastoniamo i cani quando siamo uomini. Se fai tanto di muovere un baffo, ti caccio il Fiore Rosso per la strozza! –.

Colpì Shere Khan sulla testa con il ramo e la tigre piagnucolò e frignò in preda al panico. – Pussa via, gattuccio bruciacchiato della Giungla! Ma ricorda: quando verrò la prossima volta alla Rocca del Consiglio, come si conviene a un uomo, sarà con la pelle di Shere Khan sul capo –”.

In questo stralcio emerge anche la tendenza alla ribellione, tipica del Sette, una ribellione verso l’esterno, verso le gerarchie e gli ordini ritenuti inutili e non condivisi, ma anche una ribellione verso l’interno, verso quei sentimenti che indeboliscono la Gola: Mowgli ribolliva di rabbia e dolore, ma sbadigliò in faccia al Consiglio, nascondendo agli altri (ma verosimilmente anche a se stesso) quello che provava realmente.

Solo quando resta con Bagheera e i pochi lupi che gli sono rimasti fedeli si dà il permesso di contattare il Dolore che, nel sentire del Sette, reca con sé l’eco terribile di un timore così radicato e invalidante da portare a tutto pur di evitarlo; la penosa percezione del Sette è che di Dolore si possa morire: “E allora Mowgli cominciò a sentire qualcosa che faceva male dentro, male come non aveva mai sentito in vita sua, e trattenne il respiro e singhiozzò e le lacrime gli solcarono il viso. – “Che cos’è? Che cos’è?” – disse. – “Io non voglio lasciare la Giungla e non so cos’è questa cosa. Non starò morendo Bagheera?” –

– “No, Fratellino. Sono soltanto lacrime, come è degli uomini”, – disse Bagheera. – “Ora so che sei un uomo e non più un cucciolo d’uomo. Invero d’ora in poi la Giungla ti è preclusa. Lasciale cadere Mowgli, sono soltanto lacrime” –. Così Mowgli sedette e pianse come se dovesse spezzarglisi il cuore; e non aveva mai pianto prima in vita sua. […] –

“Certo che tornerò e quando lo farò sarà per deporre la pelle di Shere Khan sulla Rocca del Consiglio. Non mi dimenticate! Dite a quelli della Giungla di non dimenticarmi mai!” –.

Così Mowgli lascia la Giungla e in queste ultime battute è possibile rintracciare sia la Pianificazione con cui, addolorato, tenta di nutrire nuovamente la Gola, focalizzandosi su uno scenario futuro, sul momento in cui potrà vendicarsi della tigre, sia la richiesta di un balsamo per lenire l’ansia derivante dal sentire che è il momento di abbandonare la meravigliosa vita nella Giungla (che porta il sentimento dell’Impermanenza in prima linea): la promessa di non essere dimenticato.

Perché è così importante per Mowgli non essere dimenticato?  Mowgli, che da bravo Sette non ammette sofferenza, conosce bene l’oblio; è lì che getta tutto ciò che può turbare il suo animo.

Quando, come riportato sopra, rivolgendosi ai lupi afferma: “La Giungla mi è preclusa e devo dimenticare il vostro linguaggio e la vostra compagnia”, sta implicitamente dicendo che di fronte a uno strappo, di fronte a una separazione, a una sofferenza, l’unica via per salvarsi non sta nell’attraversare e integrare l’esperienza come parte del proprio percorso esistenziale, ma nel gettare via, dimenticare, vivere di un eterno presente, fare come se l’esperienza luttuosa non fosse mai accaduta.

Questo è quello che fa anche Peter Pan, altro enneatipo Sette, la cui storia sarà oggetto di analisi in un altro articolo. Qui riporto solo un breve stralcio tratto dalla interessantissima trasmissione di Carlo Lucarelli – In Compagnia del Lupo, Il lato Oscuro delle Favole – che, nell’analisi che fa della favola e delle sue origini, riporta un dettaglio del modo in cui Peter processa la realtà assimilabile al funzionamento di Mowgli.

Nell’analisi del personaggio fatta da Lucarelli, questi afferma che per Peter: “Il passato non esiste, viene sempre tutto dimenticato, e così anche il futuro. Infatti Peter sembra dimenticare continuamente ogni cosa. Mentre è in volo verso l’Isola Che Non C’è, si allontana per un attimo da Wendy e quando torna non si ricorda chi sia. Wendy ci rimane male ma Peter le dice di non prendersela e di ricordargli il suo nome tutte le volte che lo dimenticherà”.

Dimenticare il nome significa cancellare un incontro, cancellare un rapporto, cancellare un’identità. Proprio perché Mowgli, come Peter, conosce il vuoto sempre vivo che genera la dimenticanza, trasferire questo processo di disintegrazione e cancellazione sulla propria persona sarebbe come condannarsi a un’eterna angoscia di morte. Allora non devono essere solo i lupi presenti in quel momento al Consiglio del Branco a non dimenticarlo; essi devono anche farsi portavoce di questa imperativa richiesta presso quelli della Giungla, che non dovranno dimenticarlo mai.

Tornando al proposito di vendetta, la Gola di Mowgli troverà soddisfazione, grazie all’impiego di un’astuta strategia che, ancora una volta, beneficia della collaborazione coi pochi lupi che gli sono rimasti fedeli anche durante la sua permanenza presso il villaggio degli uomini. Mowgli, infatti, riuscirà a sconfiggere la tigre senza mettere realmente in pericolo se stesso.

Un giorno, avendo appreso dell’intento di Shere Khan di sorprenderlo la sera stessa per ucciderlo, e dopo aver atteso inavvertito il momento della giornata in cui, appesantita dal pasto e impossibilitata a muoversi, la tigre cade in un sonno profondo, Mowgli con l’aiuto dei lupi intimorirà una mandria di buoi, creando due file distinte che, in preda al panico, fuggiranno via accerchiando Shere Khan e schiacciandola sotto il loro ingente peso.

Shere Khan muore così senza quasi avere il tempo di accorgersi che dietro la sua fine c’è Mowgli. In accordo alla predominanza dell’Istinto di Conservazione, infatti, Mowgli elabora un piano che non lo vede protagonista di una vendetta altisonante, in cui trionfa in un combattimento a viso scoperto, ma sceglie una via che, nel garantirgli la soddisfazione della vendetta, gli permette di restare nell’ombra e di salvare la pelle. Un uomo che ragiona sulle conseguenze lo sa che, per quanto ingenua possa essere una tigre e astuto possa essere lui, resta pur sempre un uomo di fronte a una tigre!

Solo quando è ormai certo che per Shere Khan non c’è più scampo – in una maniera che ricorda tanto quella di Ulisse (anche lui un Enneatipo Sette) quando, allontanandosi dalla terra di Polifemo, gli svela la sua vera identità – trionfa la Passione di Mowgli che grida a gran voce – affinché la tigre lo senta! – chi ha architettato il piano che porrà fine alla sua esistenza:

Narra, infatti, il libro che Mowgli agisce così: “– Devo annunciare a Shere Khan chi sta per arrivare. Ormai l’abbiamo in trappola. – Si fece portavoce con le mani e urlò giù nella forra; fu come urlare in una galleria, e l’eco rimbalzò di roccia in roccia. Dopo parecchio tempo ecco giungere lo strascicato, sonnacchioso ringhio di una tigre appena sveglia.

– Chi chiama? – disse Shere Khan, e uno splendido pavone stridendo si innalzò in un frullo d’ali dalla forra.

– Io, Mowgli! É tempo di venire alla Rocca del Consiglio! –”

Così, dopo aver pronunciato queste parole, egli si gode, pago, la sua vendetta arricchita ulteriormente dalla possibilità di scuoiare finalmente la tigre di mano propria e consegnarla, come stabilito tempo addietro, alla Rocca del Consiglio.

Sorprende, alla luce della tipizzazione di Mowgli come un enneatipo Sette, la sua scelta finale di allontanarsi dal branco di riferimento, di cacciare da solo nella giungla. Scelte esistenziali così nette, che implicitano un’assunzione di responsabilità rispetto a un allontanamento, a uno strappo e, quindi, verosimilmente, un’assunzione e un’accettazione di una quota di dolore, non sembrano in linea con una struttura caratteriale interamente tesa ad evitare Dolore, noia e, in generale, impulsi e sentimenti spiacevoli.

In questo caso, però, la scelta di rientrare nella giungla, ma restare fuori dal branco, va considerata come espressione dell’Istinto di Conservazione che prescrive di ritrarsi in presenza di un contatto pericoloso. E cosa c’è di più pericoloso e doloroso del rifiuto di quello che si sentiva essere il proprio gruppo di appartenenza?! Piuttosto che rischiare che l’esperienza si ripeta, che il Dolore si rinnovi, meglio addentrarsi soli nella giungla e, col favore della Gola, confidare nella possibilità di nuove, entusiasmanti, avventure.

Baloo.

“Il cucciolo d’uomo… il cucciolo d’uomo?”, disse “Parlo io in favore del cucciolo d’uomo. Da un cucciolo d’uomo non può venire nulla di male. Io non ho la parlantina, però dico il vero. Che corra con il Branco e sia accolto insieme agli altri. Ci penso io a istruirlo.”

Queste le prime parole con cui Kipling introduce la figura di Baloo al lettore quando, in occasione del dissidio nel branco in merito alle sorti di Mowgli nella Giungla, è necessario che almeno due creature si schierino dalla sua parte.

Per argomentare la propria posizione Baloo, con efficace sintesi, punta su due aspetti: la certezza di dire il vero e l’intento di assumersi personalmente l’onere di istruire Mowgli.

Baloo, pur essendo un orso, è ammesso al Consiglio del Branco in quanto Dottore della Legge, colui che ha il compito di insegnare ai lupacchiotti la Legge della Giungla.

Come scopriremo nel corso della narrazione, ci troviamo al cospetto di qualcuno che nutre una vera e propria passione per educare gli altri, qualcuno che gode nel sentire che, attraverso il proprio esempio e i propri insegnamenti, il fortunato discepolo (così considera chi ha la possibilità di incontrare sul proprio cammino i precetti che insegna) può modificare se stesso e rendersi progressivamente più autonomo nel percorso di miglioramento del proprio comportamento e della propria persona.

Si tratta di un Uno Plasmatore, una variante dell’Uno in cui l’Istinto di Conservazione e l’Istinto Sessuale e, quindi, la Preoccupazione (la tendenza a pre-occuparsi, a occuparsi degli eventi prima che accadano, ad attivarsi concretamente per poter proteggere se stessi e le persone vicine) mista allo Zelo (la spinta ad agire e a intervenire nella vite delle persone care attraverso il controllo delle loro azioni e la verifica del mantenimento dei loro impegni), si fondono nella tendenza a voler modificare l’altro, plasmarlo – appunto – come fosse argilla.

La ritrazione dell’Istinto Sociale, dunque dell’Inadattabilità (la tendenza a controllare rigidamente l’ambiente circostante, che deve rispondere alla propria visione del mondo e al proprio modo di agire, gli unici realmente corretti), fa sì che vengano meno la rigidità e la sordità alle ragioni altrui proprie della variante sociale, e che l’energia derivante dall’Ira venga messa al servizio dell’educazione altrui, esercitata attraverso il pugno di ferro nel guanto di velluto, peculiare dell’Enneatipo Uno.

“Il vecchio, serio, grosso orso bruno era felicissimo di avere uno scolaro così sveglio; i lupacchiotti infatti si limitavano ad apprendere quel tanto della Legge della Giungla che riguardava il branco e la tribù di appartenenza […] “Mowgli, invece, come cucciolo d’uomo, aveva da imparare moltissime altre cose”, e che i propri discepoli abbiano tanto da apprendere e siano disposti a seguire l’insegnamento, rappresenta la condizione ideale per chi appartiene a questa variante per la quale centrale è l’idea che l’azione debba avere sempre un valore morale ed educativo. Azione sostenuta dalla preoccupazione, sempre attiva, di fare agire al meglio i propri protetti affinché siano persone socialmente integre e possano vivere al meglio la propria vita, evitando di incappare nella mortificazione per l’errore.

“Come disse Baloo a Bagheera, un giorno che Mowgli le aveva buscate ed era corso via stizzito:

– Un cucciolo d’uomo è un cucciolo d’uomo e deve imparare tutta la Legge della Giungla. –

– Ma non pensi a come è piccolo? – disse la Pantera Nera che, potendo fare a modo suo, avrebbe viziato Mowgli. – Come fa la sua testolina a contenere tutti i tuoi sproloqui? –

– Nella Giungla c’è forse qualcosa di troppo piccolo per essere ucciso? No. Ecco perché gli insegno certe cose e gliele suono, dolcemente, quando le dimentica. – 

– Dolcemente! Tu non sai dove sta di casa la dolcezza, vecchio Zampa di ferro! – brontolò Bagheera. – Oggi ha una faccia che è tutta un livido grazie alla tua… dolcezza. Puah. –

– Meglio coperto di lividi dalla testa ai piedi per mano di chi come me gli vuole bene, del rischio che riporti danni per ignoranza. –”

Questo breve scambio tra Baloo e Bagheera è un concentrato delle convinzioni che popolano la mente di un Uno di questa variante: detentore unico del giusto codice di comportamento, ha il compito di educare chi ignora e punire chi sbaglia e tale è l’entità del regalo che offre a colui che prende sotto la propria ala protettrice che, poco importa se per plasmarlo al meglio, si avvale di maniere forti.

Fa sorridere che Bagheera, a tal proposito, utilizzi l’epiteto zampa di ferro che tanto rimanda al citato pugno di ferro in guanto di velluto!

Corollari della convinzione di essere nel giusto, di avere capacità di giudizio e di azione superiori alla media, sono la sicurezza di sapere quello che è giusto per gli altri, e l’idea che, affinché lo capiscano, il ricorso all’autoritarismo possa rappresentare una valida direzione della quale, peraltro, non sempre l’Iroso è cosciente.

Baloo è certo di suonarle dolcemente a Mowgli e che il suo volergli bene e, dunque, volere il suo bene, giustifichi i lividi, preferibili all’ignoranza. Che poi l’ignoranza di Mowgli risieda nel non conoscere quello che secondo il punto di vista di Baloo sia opportuno sapere, e che non è detto sia generalizzabile, non ha alcuna importanza!

La vicinanza con l’Orgoglio giustifica la presenza di un Ego tronfio, che mal tollera il doversi mettere in discussione e che prova piacere nel crogiolarsi nel sentimento di essere nel giusto.

Un certo piacere deriva anche nel vedere riconosciuta tale giustezza nello sguardo altrui.

A Mowgli, convinto di padroneggiare pienamente le lezioni dell’Orso, questi replica: “Qualcosa tu sai, ma non molto. Lo vedi Bagheera, mai che ringrazino il loro precettore. Non uno dei lupacchiotti che sia mai tornato a ringraziare il vecchio Baloo per i suoi insegnamenti.”

La scarsa attitudine a mettersi in discussione e a considerare un proprio errore, può essere ascrivibile, su un piano di superficie, all’indubbia sicumera di cui parlavo pocanzi, ma a livello profondo costituisce una difesa dal Pubblico Ministero che alberga nella psiche dell’Enneatipo Uno. Una istanza psichica sempre pronta ad additare e a esprimere con ferocia la critica: puntare il riflettore all’esterno, e direzionare lo sguardo sugli altri, permette di ripararsi dalla pioggia di accuse al cospetto della quale nessun ombrello può essere efficace per chi il temporale se lo porta dentro.

Così, la prima reazione di un Iroso di fronte a una critica è il tentativo di deviarla, giustificando a se stesso il proprio operato; qualora l’esame di realtà non renda possibile mistificare eventuali conseguenze negative delle proprie valutazioni e azioni, l’Uno piega la testa, si siede al banco degli imputati e intenta il processo più temibile, quello verso se stesso.

Quando Mowgli si lascia sedurre dal Bandar log – il Popolo delle Scimmie – che non gode di stima alcuna presso il Popolo della Giungla ed è considerato pericoloso per ignoranza e scelleratezza, Bagheera rimprovera Baloo per non aver messo in guardia il cucciolo d’uomo dalle insidie di quelle screanzate, tutto intento come era a trasferirgli un sapere che chissà quando e se gli sarebbe stato utile.

Dapprima l’Orso tenta di respingere l’accusa facendo ricadere su Mowgli la colpa: “Io… io? Come facevo a immaginare che si sarebbe messo a giocare con certa feccia. Il Popolo delle Scimmie! Puah!”. Quando, però, le conseguenze sono assai più pericolose di uno scambio di battute tra Mowgli e il Bandar log, perché le scimmie per divertirsi decidono di rapire il cucciolo d’uomo, e Bagheera continua a manifestare la sua disapprovazione per la superficialità di insegnamento di Baloo, quest’ultimo subentra alla Pantera nelle accuse a se stesso. Ci mostra così, in poche battute, quanto spietata possa essere l’autocritica di un Uno e quale sia, allora, la funzione protettiva della struttura caratteriale che posa sull’Ira.

“Nel frattempo Baloo e Bagheera erano folli di rabbia e di dolore. Bagheera si arrampicava come non aveva mai fatto in vita sua, ma i rami sottili si spezzavano sotto il suo peso e scivolava giù, gli artigli pieni di corteccia.

– Perché non hai messo in guardia il cucciolo d’uomo? – ruggiva contro il povero Baloo, che era partito goffamente al trotto nella speranza di raggiungere le scimmie. – A che è servito ammazzarlo quasi di botte se non lo hai messo in guardia?

– Presto! Presto! Che… possiamo ancora farcela! – ansimò Baloo.

– Di questo passo! Non fiaccherebbe neppure una vacca ferita. Dottore della Legge… picchiatore di cuccioli…un miglio di questo ballonzolio e schiatteresti. Siediti e rifletti! Studia un piano. –

– […] Mettetemi in testa pipistrelli morti! Datemi ossi neri da mangiare! Rotolatemi negli alveari delle api selvatiche perché mi pungano a morte e seppellitemi con la Iena: sono il più sciagurato degli orsi! Arrulala! Uah! Oh Mowgli, Mowgli! Perché non ti ho messo in guardia contro la Popolazione Scimmiesca anziché romperti la testa? C’è il caso che gli abbia fatto uscir di testa la lezione odierna a scappellotti e ora si ritrova tutto solo nella Giungla senza le Parole Chiave.”

Bagheera .

“Un’ombra nera si lasciò cadere in mezzo al cerchio. Era Bagheera la Pantera Nera, nera come l’inchiostro da capo a piedi, ma con le macchie da pantera in evidenza sotto i riflessi della luce come il disegno della seta marazzata. Tutti conoscevano Bagheera e nessuno ci teneva a traversarle la strada; perché era astuta come Tabaqui, animosa come il bufalo selvatico e temeraria come l’elefante ferito, ma aveva voce soave come miele selvatico che gocciola da un albero e pelle più soave della piuma. […]

– Alla vostra assemblea non ho diritti; ma la Legge della Giungla dice che se sorge un dubbio a proposito di un nuovo cucciolo, purché non ci siano di mezzo uccisioni, la vita del cucciolo può essere comprata a un dato prezzo. E la legge non precisa a chi sia consentito pagare tale prezzo. Dico bene?

– Bene! Bene! – dissero i giovani lupi che sono sempre affamati. – Ascoltiamo Bagheera. Il cucciolo può essere comprato per un certo prezzo. É la legge.

– Sapendo che non ho il diritto di parlare in questa sede chiedo licenza.

– Parla dunque – gridarono venti voci.

– Uccidere un cucciolo inerme è una vergogna. Magari ci proverete più gusto una volta cresciuto. Baloo ha parlato in suo sostegno. Ora a quanto detto da Baloo aggiungerò un toro, e bello grasso, appena ucciso, a meno di mezzo miglio da qui, se accetterete il cucciolo d’uomo secondo la Legge.”

I lupi accettano e Bagheera, insieme a Baloo, sarà la figura più vicina a Mowgli nel suo processo di crescita e nelle sue avventure nella Giungla.

Astuta, animosa e temeraria, ma con la voce soave come il miele e la pelle soave come la piuma; un’ombra che si lascia cadere tra gli altri.  Pare di vederla Bagheera e di poter restare sedotti dal contrasto tra la dolcezza del miele e la leggerezza della piuma e la forza dell’astuzia, dell’animosità e della temerarietà.

Chi è Bagheera e perché si schiera a favore di Mowgli pur essendo estranea al branco? Cosa la spinge a solleticare lo stomaco dei lupi con un dono tanto succulento, un toro bello grasso e appena ucciso? Cosa rappresenta Mowgli per Bagheera? É la sua storia a rispondere.

Quando, dopo essere stato messo in guardia dalla Pantera sui prevedibili futuri attacchi di Shere Khan, Mowgli ribatte di aver sempre ossequiato la Legge della Giungla e di essersi conquistato sul campo l’opportunità di essere considerato un fratello dai Lupi, Bagheera gli apre il cuore e una porta sul suo passato:

“– Fratellino, – disse, – toccami sotto la mascella”.

Mowgli alzò la forte mano bruna e proprio sotto il mento serico di Bagheera, dove i possenti muscoli ondulati erano completamente nascosti dal lucido pelame, incontrò una piccola chiazza spoglia.

– Non c’è nessuno nella Giungla a sapere che io, Bagheera, porto questo marchio: il marchio del collare; eppure, Fratellino, sono nata tra gli uomini ed è tra gli uomini che mia madre è morta… nelle gabbie del palazzo reale di Oodeypore. Per questo ho pagato per te il prezzo al consiglio quando eri un cuccioletto imberbe. Sì, sono anche io nata tra gli uomini. Non avevo mai visto la giungla. Mi davano da mangiare dietro le sbarre finché una notte sentii che ero Bagheera, la Pantera, e non un trastullo degli uomini, e con una zampata delle mie ruppi quel ridicolo lucchetto e venni via. E per aver conosciuto l’uomo e i suoi sistemi, nella Giungla divenni più terribile di Shere Khan. […] E proprio come io sono tornata alla mia Giungla, così tu finirai per tornare tra gli uomini, quegli uomini che sono i tuoi fratelli.”

Quella di Bagheera è una storia dolorosa, una storia di espropriazione dalla propria natura, una storia di solitudine, costrizione e abbandono: la madre muore e lei resta ingabbiata, sola e del tradimento alla sua natura porta ancora i segni sul collo.

Mowgli è un po’ Bagheera: solo, lontano dai suoi simili, in un luogo che rischia di espropriarne la natura profonda, in pericolo.

Bagheera non lo molla un attimo: è lei che gli consiglia di procurarsi del fuoco per proteggersi dalla ferocia del branco e della tigre, è lei che lo difende dall’estrema rigidità di Baloo, è lei che lo accompagna come un’ombra nella Giungla.

Bagheera è per Mowgli quello che a lei è mancato: la voce del risveglio e della protezione, una compagna fedele che gli rammenta costantemente la sua vera natura, che dà voce al suo bisogno – forse ancora inconscio o forse nient’affatto presente – di tornare tra i suoi simili, che gli consiglia come muoversi nella Giungla, chi rispettare e di chi diffidare.

“– Ma perché… perché qualcuno dovrebbe volere la mia morte? – disse Mowgli.

– Guardami, – disse Bagheera; e Mowgli la guardò fisso negli occhi. Tempo mezzo minuto e la pantera aveva girato la testa.

– Ecco perché, – disse Bagheera, spostando la zampa sulle foglie. – Neanch’io riesco a guardarti negli occhi, e io sono nata tra gli uomini, e ti voglio bene, Fratellino. Gli altri ti odiano perché non sanno reggere il tuo sguardo; perché tu sei giudizioso; perché hai estratto gli spini dalle loro zampe… perché sei un uomo.” 

Bagheera sembra essere una figura indispensabile per Mowgli nella situazione in cui si trova; lo affianca con calore e vicinanza, lo accudisce e, sebbene in tanti passi del libro la lingua di Bagheera ci arrivi ruvida, tagliente, irruenta, quando si rivolge a Mowgli – che non le è Fratello ma Fratellino – la possiamo quasi gustare la dolcezza del miele.

Le ragioni della sua vicinanza al Cucciolo d’Uomo, la sua storia e il modo in cui si pone, fanno sì che la Pantera sia inquadrabile come un enneatipo Due in cui prevale l’Istinto di Conservazione: un Due Privilegio (l’attesa del riconoscimento di un merito particolare, la pretesa che la vicinanza si trasformi in un rapporto esclusivo, l’intento di ottenere attenzione incondizionata e occupare un ruolo esclusivo).

Bagheera non manifesta apertamente il proprio Orgoglio, non ostenta un senso di specialità, non adula apertamente se stessa: nessuno nella Giungla conosce la sua storia e a parlare per lei sono i fatti, non le parole.

Che Bagheera riscatti Mowgli e lo accudisca come fosse figlio suo è un fatto, non è necessario che lei spenda energie in parole affinché il ragazzo le riconosca una specialità, una posizione privilegiata nel suo cuore. Bagheera è speciale per Mowgli ed è la storia che ce lo dice.

É come se l’egocentrismo, tipico dell’Orgoglio, in questa variante venisse proiettato all’esterno: le belle parole, più che essere rivolte a sé stessi, vengono utilizzate per adulare i propri cari e anche la seduttività e più sottile, meno manifesta di come si presenta nelle altre varianti del Due. La seduzione qui avviene attraverso l’attenzione alle sfumature emozionali che l’altro prova, attraverso il ricorso a una speciale delicatezza nell’accostare l’altro e la capacità di essere comprensivi verso le sue debolezze, di instaurare una complicità emozionale.

Anche nello scambio con Baloo, durante il quale la pantera lo rimprovera, per la negligenza nell’aver omesso di indottrinare Mowgli sulla scelleratezza del Bandar Log, quando l’Orso smette di respingere le accuse e passa all’autocritica, Bagheera, che evidentemente empatizza con il suo senso di colpa, con la preoccupazione e con il dolore, lo rassicura e, seppur tra le righe, non manca di rincuorarlo mostrando comunque apprezzamento per la sua opera di insegnamento:

“A meno che, e fintanto che, non lo lasciano cadere giù dai rami per divertimento, o non lo uccidono per inanità, non temo per il cucciolo d’uomo. É giudizioso e istruito a dovere”.

Come tipico dei Due, Bagheera con i suoi consigli, la sua vicinanza e il suo calore, ricopre Mowgli di una cascata di attenzioni; lo rende importante e gli conferisce una specialità senza eguali, ne anticipa i bisogni, rappresentandoseli come i bisogni che ella da prigioniera dell’uomo a lungo non si concesse (ci volle del tempo prima che si desse il permesso di andare incontro alla sua vera natura e riconoscesse che quello che l’uomo le dava non era reale considerazione e importanza) e che, a quanto sappiamo dal racconto di Kipling, nemmeno nella Giungla cercò di ottenere.

Bagheera è un personaggio solitario, che si tiene al di sopra degli altri animali, che – come Orgoglio prescrivenon si abbassa a chiedere. Bagheera sembra negare i propri bisogni. In tutti i passi del libro in cui c’è un’interazione profonda con Mowgli il messaggio che la pantera passa è che sia il Cucciolo d’Uomo ad aver bisogno di lei e non il contrario, mentre, a una lettura più profonda, è evidente l’impegno che Bagheera profonde per apparire a Mowgli come l’unica che possa realmente capirlo, aiutarlo, affiancarlo e consigliargli come muoversi, per diventare per Mowgli la preferita tra tutti, per farsi amare.

Solo nelle ultime battute del libro Bagheera concede a se stessa un’ammissione del proprio senso di solitudine e del proprio bisogno della presenza di Mowgli e li verbalizza, smorzandone un po’ la portata – pena probabilmente un affondo troppo azzardato all’Orgoglio – collettivizzando il sentire con altri abitanti della Giungla.

Infatti, Kipling ci racconta così l’ingresso di Bagheera nel momento in cui Mowgli torna per depositare alla Rocca del Consiglio la pelle della sconfitta Shere Khan:

“– Ben fatto, Fratellino, – disse una voce profonda dal folto. –Ci sentivamo soli nella Giungla senza te – e Bagheera accorse ai piedi nudi di Mowgli. Assieme si arrampicarono alla Rocca del Consiglio e Mowgli stese la pelle sulla pietra piatta dove un tempo sedeva Akela e la fissò con quattro schegge di bambù.”

Significativa la direzione da cui proviene la profonda voce di Bagheera: ancora una volta la Pantera giunge solitaria, dal folto, dalla zona più fitta della Giungla, come se fosse stata in ombra, in attesa del ritorno del suo amato ragazzo. Solo in presenza di Mowgli ella si abbassa a scendere nuovamente tra gli altri abitanti della Giungla, per poi, come una Regina accanto al proprio Re, affiancarlo nel momento più alto di trionfo e riscatto.

Se è vero come è vero che le fiabe sono indirizzate primariamente al Bambino che siamo o siamo stati, la lettura di questo racconto immerge la saggezza dell’infanzia nel ventre potente della vita.

La storia di Mowgli è una storia di contrasti, una storia che ha dentro tutto: sradicamento e adozione, istinto e disciplina, appartenenza e estraneità, altruismo e individualismo, soggezione e ribellione, buoni sentimenti e cinismo e crudeltà.

Se ne emerge scossi, a tratti confusi.

Si accende, quale unica rotta, faro per districarsi nel mare indisciplinato dell’esistenza, la possibilità di compiere delle scelte che ci qualificano nel bene e nel male; scelte che ci connettono o ci isolano e che, nel nostro stare al mondo, posizionano ME in funzione di TE, rispettandoti e accogliendoti o mortificandoti e allontanandoti.

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