Lavorando sulla Ferita Originaria ho sentito la necessità, quasi l’obbligo, di osservare i bambini reali, piuttosto che quelli teorici desunti dagli aspetti degli adulti e dalle teorie sulle origini infantili del tipo. Quanta sorpresa ha suscitato in me vedere i filmati di bambini piccoli e piccolissimi, che davano risposte altamente complesse alle situazioni nelle quali si trovavano. Bambini di due o tre anni che interagivano con una tale sofisticatezza “sociale” da lasciare sbigottiti, che prendevano, ad esempio, la mano del genitore malato e la carezzavano incessantemente nella speranza di salvarli, altri che fin da piccolissimi parlavano tanto per essere in grado di capire meglio le reazioni dei genitori. Fra i tanti atteggiamenti mi ha colpito tanto, forse perché qualcosa è risuonato in me, quello dei bambini che si rifiutano di accettare l’aiuto dei genitori perché sentono che quell’aiuto non è un atto di vero amore quanto, piuttosto, l’esecuzione di un dovere o qualcosa che si fa perché si deve fare. E’ stupefacente vedere il dolore espresso in quegli occhietti che si contraggono per non piangere, ma che sono contraddetti dalle labbra che prima dicono di no eppoi si chiudono in un silenzio doloroso che è quasi ostile, rancoroso. Mi è accaduto, ripensando a quelle faccine, di pensare ad adulti che conosco che si allontanano da chi vuol bene loro, perché si sentono traditi e vorrebbero, dentro di loro, esternare quelle sensazioni, ma non se lo permettono e si portano, quasi sempre, una percezione di auto indegnità per il loro rifiuto. Mi sono chiesto, senza sapermi dare una risposta, se essi troveranno dentro di sé la forza per aprirsi di nuovo, e riallacciare quel tessuto che hanno strappato per dolore, o se lasceranno che il proprio cuore inaridisca come un albero che ha messo radici in una pozza velenosa.