…occhi di fiore, occhi di basilisco…
Fryderyk Chopin e la sua relazione con George Sand
di Antonella Pagano
...mi sembrava che occhi sconosciuti mi guardassero – occhi di fiore, occhi di basilisco, occhi di pavone, occhi di fanciulla… giù il cappello, signori, ecco un genio! Queste parole furono scritte da Robert Schumann, sull’onda della fortissima impressione che gli aveva procurato la lettura di una partitura musicale. Si trattava dell’op.2 di un giovane compositore polacco suo coetaneo (entrambi erano nati nel 1810); una delle prime composizioni di Fryderyk Chopin.
Con la sua notevolissima intuizione nello scoprire le novità musicali dell’epoca, Schumann aveva colto subito il carattere di originalità, poesia e fascino della musica di Chopin, percepibile già nei primi lavori. Aveva riconosciuto di trovarsi di fronte all’opera di un genio – e Chopin è uno dei più grandi geni musicali di tutti i tempi.
La strana metafora di Schumann rende bene alcuni aspetti di questa musica, che era straordinariamente nuova in quel tempo di superficiale virtuosimo pianistico: l’iridescenza dei suoni, l’intensità emozionale, la finezza dei dettagli, l’eleganza delle frasi melodiche, la ricchezza delle armonie – e in tutto questo splendore, di tanto in tanto, delle ombre misteriose, dei soffi di vento gelido che penetra dalle fessure di un muro in rovina e porta un presagio velenoso di malinconia, inquietudine e malattia.
La grandezza di Chopin sta nell’aver dato forma cristallina a un mondo interiore di immagini fluide e complesse. Ci si addentra in un universo di sensazioni, enigmi, allusioni e richiami, e questo è reso possibile dal senso degli equilibri formali e dalla chiarezza del linguaggio musicale, che “riproduce i meccanismi occulti dell’umana natura con la precisione di uno scienziato” (G. Confalonieri).
Da pianista ho studiato per anni i pezzi di Chopin. Ora però vorrei dedicargli una breve analisi dal punto di vista della teoria dell’Enneagramma. Anche se naturalmente la personalità è riconoscibile nell’espressione artistica, prenderò in considerazione soprattutto la biografia per individuarvi alcuni tratti caratteriali.
F. Chopin ritratto da Maria Wodzinska nel 1835
Chopin è senza dubbio un Cinque sessuale, detto anche Cinque “Confidenza”. Secondo Claudio Naranjo questo sottotipo è il “Controcinque”: introverso e solitario come tutti i Cinque, manifesta tuttavia un bisogno fortissimo di un legame (soprattutto di coppia, ma non esclusivamente) con una o pochissime persone di cui tende a fidarsi completamente.
Questo bisogno di fiducia è così grande che non riesce quasi mai ad essere soddisfatto pienamente, poiché richiede che l’altro sia completamente aperto, trasparente, pronto a una disponibilità e a una intimità totale. Ciò può condurre a forme di dipendenza molto forti, che per i Cinque di altri sottotipi sarebbero impensabili. La rottura di un tale rapporto può perfino essere fatale per questo tipo di Cinque e nella vita di Chopin, come vedremo, questa relazione determinante sarà quella con la scrittrice George Sand.
Cominciamo adesso a esaminare alcune caratteristiche di Chopin, che corrispondono a quelle che ci sono note del tipo Cinque.
Gracile e malaticcio dall’infanzia, Chopin diventò presto tubercolotico. Il tipo Cinque spesso non dispone di grande energia fisica e ha una costituzione astenica e nervosa. La sua forza è concentrata nella sfera mentale – e nel sottotipo sessuale anche in quella emozionale (la musica di Chopin è ricchissima di contenuto emozionale, tanto che si potrebbe pensare anche a una forte ala Quattro).
Di famiglia borghese, Chopin aveva l’aspetto e i modi di un aristocratico. Abituato da piccolo a frequentare la nobiltà, sembrava lui stesso un principe; sempre vestito con sobria eleganza, impeccabile nel comportamento, riservato, discreto e cortese. Il Cinque ha quasi sempre un tratto fine e delicato, non va mai sopra le righe, non si abbandona a eccessi e volgarità; sembra una creatura fatta d’aria, proveniente da una sfera spirituale e a disagio in questo mondo rozzo e pesante.
In lui, inoltre, sono riconoscibili anche alcuni tratti degli altri enneatipi connessi al Cinque. La freccia verso il Sette emerge chiaramente nella vena giocosa di Chopin (è sua la frase solo chi sa ridere è una persona seria). Aveva un innato talento teatrale e intratteneva le compagnie con imitazioni e caricature, sia recitate che suonate. Per i figli di George Sand aveva organizzato un teatrino delle marionette e lui stesso si esibiva in mimi e scenette irresistibilmente comiche.
Più che nella vita, invece, la forza virile, il fuoco e l’irrefrenabile energia del Tipo Otto esplodono in alcune sue composizioni, in particolare le Polacche e alcuni Studi, che ci parlano di slancio patriottico e sentimento epico. La rivolta della Polonia contro l’oppressore russo era stata stroncata sanguinosamente e Chopin ne soffrì moltissimo. Quando ciò avvenne, si trovava all’estero per concerti e non tornò mai più nel suo paese natale; visse a Parigi un’esistenza sradicata da esule.
Come si manifesta la passione dell’Avarizia in Chopin? Con il denaro era tutt’altro che avaro; era generoso di doni e mance e faceva dei prestiti ai compatrioti in difficoltà. Spendeva molto per begli oggetti, bei mobili, bei vestiti. Pur guadagnando bene con le lezioni e i concerti, non conosceva mai esattamente lo stato delle sue finanze.
Era se stesso che non dava facilmente. Era inafferrabile, chiuso, spesso indecifrabile; una natura complessa, fatta di mille sfumature, che solo nella musica esprimeva pienamente. Aveva un fascino sottile e il dono di piacere, ma “era più amabile che amante”. A parte pochissimi amici, a Parigi coltivava soprattutto le relazioni brillanti e superficiali di un artista ammirato dall’élite e frequentatore abituale dei salotti aristocratici. Guardava senza partecipare, era timido, ritroso. Nei rapporti con gli altri la sua affabilità esteriore e l’educazione squisita nascondevano talvolta un’indifferenza profonda o una fredda avversione.
Inoltre, aveva la tipica caratteristica del Cinque di sfruttare la sincera devozione di un paio di amici (in particolare J. Fontana) a cui chiedeva una quantità impressionante di favori e commissioni, dalla copiatura dei manoscritti alla ricerca di case (che dovevano corrispondere fino all’ultimo dettaglio alle sue molte esigenze, a volte difficili da soddisfare), all’acquisto di capi di abbigliamento di cui dava un’accurata descrizione per lettera (anche in questo è facilmente osservabile la tendenza alla rarefazione dei contatti, tipica dei Cinque).
Il povero Fontana veniva trattato come una specie di segretario–fattorino e correva continuamente qua e là per accontentare le innumerevoli richieste di Chopin. A un certo punto Fontana emigrò in America. Lo fece forse per sfuggire definitivamente alla mole di lavoro di cui Chopin lo sovraccaricava? Così almeno suggeriscono scherzosamente alcuni biografi del musicista… Da parte sua Chopin ricambiò l’amico dedicandogli le Polacche op. 40; un grande onore, certo, ma forse non sufficiente a ristabilire l’equilibrio.
Incapace di muoversi a suo agio nella vita pratica, Chopin aveva bisogno di persone fidate che riconoscendo l’appartenenza del genio al mondo spirituale, erano disposti a portare per lui il peso materiale della realtà. Più che vivere Chopin immagina la vita; nel Cinque spesso l’incapacità di agire è compensata da una estrema libertà e potenza espressiva nel mondo dell’immaginazione.
Sappiamo che la fissazione del Cinque è la Grettezza, ma trattandosi di un artista così sensibile, che attraverso la musica aveva accesso a mondi abissali, questo aspetto sembrerebbe impossibile in Chopin.
Eppure… Cresciuto in una famiglia di buoni principi – con una madre rigidamentemente cattolica – conservatore nelle opinioni politiche e nella visione del mondo, indifferente ai grandi movimenti sociali che scuotevano la sua epoca; pignolo, suscettibile, diffidente, formale, rispettoso delle convenzioni (proprio lui che era un artista così originale e innovatore nelle sue composizioni!), disinteressato alle altre arti, viveva solo per la musica, per la sua musica; tutto il resto non gli importava.
Fra i compositori amava solo Bach, Mozart e il bel canto dell’opera italiana. Era sprezzante verso i suoi contemporanei, perfino verso Schumann che pure lo ammirava sinceramente e non gli era certo inferiore per genialità.
Insomma, un orizzonte mentale piuttosto ristretto, una singolare mancanza di curiosità per il mondo, un’attitudine rinunciataria e ascetica, un’attenzione a risparmiare le energie e una preferenza per la vita quotidiana tranquilla e abitudinaria. Non viaggiava in superficie, non gli interessavano i vasti spazi e gli orizzonti lontani; il mondo era racchiuso nel suo spirito, e il suo viaggio era in profondità.
L’evitamento del Cinque è il Vuoto. Come opera questo in Chopin? Leggiamo quello che scrive nel suo diario il pittore E. Delacroix, suo grande amico: La sera, da Chopin. L’ho trovato molto accasciato, quasi senza respiro… Mi diceva che la noia è il suo tormento più crudele. Gli ho chiesto se avesse conosciuto, in passato, il vuoto insopportabile che io sento ogni tanto. Mi ha risposto che sapeva sempre occuparsi di qualche cosa; una occupazione, anche poco importante, riempie i momenti vuoti ed evita queste sensazioni. I dispiaceri sono un’altra cosa…
E i rapporti con le donne? Quasi inesistenti. Pur avendo modi galanti, se provava attrazione per qualcuna difficilmente la manifestava. Prima dell’incontro con George Sand, l’episodio più importante fu il fidanzamento non ufficiale con Maria Wodzinska, durato pochissimo e terminato per l’indifferenza di lei, che non l’aveva mai davvero amato.
Dietro la facciata fredda e controllata, in Chopin si nascondeva un’anima sensibilissima; la fine di questo rapporto – che non era mai stato realmente vissuto – attivò le tipiche sensazioni di svuotamento del Cinque, lo fece soffrire molto – e preparò il terreno per l’incontro con George Sand.
A proposito della Sand, ecco alcune sue frasi che dovrebbero dare subito un’impressione piuttosto chiara dell’enneatipo a cui questa notevole donna apparteneva:
Esiste nella vita una sola felicità: amare ed essere amati.
Non mi chiedo mai perché ho commesso tanti sbagli: il giorno in cui lo comprendessi, troverei l’ardire o le giustificazioni per rifare le stesse cose.
L’intelligenza cerca, ma chi incontra è il cuore.
Vivere, quanto è dolce! Com’è bello, nonostante i dispiaceri, i mariti, le noie, i debiti, i parenti, i pettegolezzi, i dolori e gli intrighi! Vivere è affascinante! Amare, essere amati, è il paradiso!
Quando si è amato un uomo, è ben difficile amare Dio.
Lo spirito di libertà è stato soffocato dalla Chiesa.
Creando l’uomo, Dio non ha detto che dovesse essere schiacciato dalla modestia… l’uomo veramente forte non deve essere modesto, perché non dubita di sé stesso.
Credo che questi pochi aforismi siano sufficienti a percepire che si tratta di un tipo Due.
Chi era George Sand? Il suo vero nome era Aurore Dupin, ma scelse uno pseudonimo maschile che usava non solo per firmare le sue opere, ma anche nella vita. Quando si conobbero, Chopin aveva ventotto anni, lei trentaquattro. Aveva un figlio e una figlia, avuti da un matrimonio fallito, terminato con un divorzio e seguito da una serie di rapporti con numerosi amanti, che si succedevano nella sua vita a velocità vertiginosa. Aveva cominciato a scrivere per guadagnarsi da vivere dopo il divorzio. Fu un talento estremamente prolifico; pubblicò centoquarantatre tra romanzi e racconti, numerose opere teatrali e scritti vari. In genere scriveva di notte, a getto continuo; “una robusta artigiana delle lettere che nella stessa notte terminava un libro e ne iniziava un altro”.
Invece Chopin lavorava di cesello (il perfezionismo è un tratto tipico del Cinque).
Scrive la Sand: La sua creazione era spontanea, miracolosa, la trovava senza cercarla…e poi cominciava la fatica più snervante a cui abbia mai assistito…Si rinchiudeva nella sua camera per intere giornate piangendo, camminando, spezzando penne, cambiando cento volte una misura, scrivendola, cancellandola, ricominciando l’indomani con una perseveranza minuziosa e disperata. Passava sei settimane sopra una pagina, per tornare a scriverla come l’aveva tracciata al primo colpo.
La scrittrice che lavorava con solerzia, ma anche con superficialità (affidava tutto il lavoro di correzione all’editore) non poteva capire quel tormento, quell’anelito di raffinatezza e perfezione.
Era anticonformista, anticlericale, antimonarchica, aveva simpatie per i socialisti e gli anarchici.
Si vestiva spesso da uomo, fumava il sigaro in pubblico e tuonava contro il matrimonio, contro la fedeltà e per i diritti delle donne. Sceglieva spesso uomini più giovani e più deboli che seduceva apertamente, a volte con avances quasi aggressive.
Era impulsiva, generosa, meravigliosamente vitale. Fu ammirata o detestata. Baudelaire si espresse molto negativamente su di lei: Nelle idee morali ha la stessa profondità di giudizio e la stessa delicatezza di sentimenti dei portinai e delle prostitute… Non posso pensare a questa stupida creatura senza un certo fremito di orrore. Ecco invece le parole di Flaubert, che fu suo grande amico e le era molto affezionato: Bisognava conoscerla come la conoscevo io, per sapere quanto vi era di femminile in questo grande uomo, per conoscere l’immensa tenerezza di questo genio…
Estremamente sensibile ai complimenti e prodiga di attestazioni di amicizia, affetto e ammirazione (tratti caratteristici dell’Adulazione, la fissazione del Due) non esitava però davanti a nessun ostacolo e a nessuno scrupolo pur di prendersi quello che desiderava, e poi lo gettava via non appena il suo interesse veniva attirato da qualcos’altro o da qualcun altro.
Eccelleva nell’ammantarsi di virtù, nell’assolversi dagli errori e nel gettarne la responsabilità su altri. Spesso insincera, tendeva a idealizzarsi e a sottolineare i suoi sforzi, i suoi sacrifici, i suoi meriti, e l’ingratitudine altrui. Si dipingeva come martire e vittima dell’altrui insensibilità. Nella sua autobiografia e nelle lettere non racconta gli avvenimenti come in realtà erano accaduti, ma come desiderava che fossero conosciuti. Ogni sua azione è giustificata al fine di farla apparire la più sincera, la più nobile, la più disinteressata delle creature.
La Sand aveva sentito parlare di Chopin, e prima ancora di incontrarlo aveva deciso di aggiungerlo alla lunga lista dei suoi amanti – forse per emulare la sua amica Marie d’Agoult che era diventata l’amante di Franz Liszt, o perché la stuzzicava l’idea di conquistare un artista così celebre. Fece in modo di essergli presentata.
Che donna antipatica la Sand! Ma è davvero una donna? Quasi quasi mi viene da dubitarne. Il suo viso non mi è simpatico e non mi è piaciuta per niente. C’è in lei perfino qualcosa che mi allontana… Così si espresse Chopin subito dopo averla conosciuta. Ma l’indomabile George non si arrendeva certo per un primo tentativo fallito. Tanto disse e tanto fece che riuscì a sedurlo, approfittando anche della fragilità di Chopin che in quel periodo soffriva per la rottura del suo fidanzamento con Maria Wodzinska.
La Sand scrisse una lunghissima lettera a un amico di Chopin, confidandogli le sue intenzioni e chiedendogli sostegno e informazioni sul musicista. E’ una lettera illuminante, perché la Sand scopre le carte senza ritegno ed espone la sua strategia (anche l’eventuale allontanamento temporaneo del precettore dei suoi figli, con il quale in quel periodo aveva una relazione). Tutto è premeditato: i tranelli tesi, le possibili mosse e contromosse previste. Tutto è considerato, anche la possibilità di “triangoli” e “quadrati”: in quel momento, la Sand non sapeva ancora della rottura del fidanzamento di Chopin, e nella lettera accetta apertamente di dividere Chopin con la Wodzinska – continuando lei stessa il suo rapporto con il precettore – in nome di una morale spregiudicata e non convenzionale, basata sull’esaltazione dell’impulso sessuale e della spontaneità. Tutto è ammesso dunque: tranne l’eventualità di non diventare l’amante di Chopin.
Si può cercare di immaginare l’allarme e le esitazioni di Chopin, messo alle strette dalla corte serrata della Sand. La prospettiva di una relazione da dover tenere nascosta ai genitori, che l’avrebbero severamente disapprovata, e dei mille stratagemmi a cui dover ricorrere per salvare le apparenze, lo spaventava molto. E poi, per la prima volta, l’ingresso nella sua vita di una donna, di qualcuno che si sarebbe inserito nelle sue giornate, nel suo lavoro, che forse avrebbe voluto modificare e migliorare: che flagello!
Ma la determinazione della Sand la ebbe vinta sulle resistenze di Chopin. Così iniziò la relazione, destinata a durare circa nove anni, in cui probabilmente all’inizio nessuno dei due era davvero innamorato.
Eugène Delacroix – George Sand e Fryderyk Chopin
C’è un episodio interessante che illustra bene la radicale differenza nei modi di Chopin e della Sand.
Un allievo di Chopin, un certo Lenz, pianista russo, espresse il desiderio di conoscere George Sand. Per accontentarlo, Chopin lo invitò a una serata con alcuni amici e lo presentò alla scrittrice, ma lei non disse una parola; rimase chiusa, ostile, perché detestava i russi.
Terribilmente a disagio per la scortesia della sua compagna, Chopin “si agitava intorno come un uccellino spaurito nella gabbia”.
– Verrete un giorno a Pietroburgo, dove siete così letta e ammirata? – domandò Lenz alla Sand.
– Non mi abbasserò mai a visitare un paese di schiavi! – disse lei.
– In fondo avete ragione a non venirci, potreste trovare tutte le porte chiuse – fu la formidabile risposta, che lasciò la Sand interdetta.
La scrittrice allora cambiò posto e tirò fuori un sigaro. Lenz andò a sedersi accanto a lei.
– Frédéric, un fiammifero! – gridò la Sand.
Chopin si alzò e le porse da accendere.
– A Pietroburgo – continuò lei, soffiando una nuvola di fumo, – probabilmente non potrei nemmeno fumare un sigaro in un salotto.
– In nessun salotto, signora, ho mai visto fumare sigari – rispose Lenz.
Queste maniere forti, tuttavia, probabilmente non dispiacquero alla Sand, perché in seguito Chopin disse a Lenz: – Madame Sand pensa di essere stata poco gentile con voi. Ma sa anche essere molto amabile. Le siete piaciuto.
Si può indovinare a quali attrazioni obbediva quella donna sensuale. Ma per questo genere di schermaglie Chopin, che aveva così pochi muscoli, così poco respiro, la pelle così delicata, era del tutto inadatto.
Chopin detestava il lato plebeo di George, i suoi ideali umanitari e rivoluzionari (a questo proposito bisogna dire però che questa paladina dei diritti dei più deboli arrivò a mandare via il vecchio domestico polacco di Chopin, solo perché non piaceva a suo figlio), i suoi amici democratici e le loro pose sbracate. Ma la Sand non si curava delle apparenze. Tollerava gli scoppi di risa volgari, il vociferare, le dispute, le ubriacature, le familiarità eccessive. Con la sua baldanzosa invadenza feriva spesso in maniera grossolana la sensibilità di Chopin, che chiedeva assoluto rispetto della sua sfera privata. Chopin diventava via via più cupo, guardava tutti con diffidenza e disgusto e si ritirava nella sua camera. E lei considerava le irritazioni del musicista nient’altro che incomprensibili capricci di un ragazzo malato e troppo nervoso.
Ci si può chiedere come sia possibile che due persone così diametralmente opposte abbiano potuto convivere in un quasi matrimonio per nove anni.
Molti hanno analizzato la questione e ad essa sono state dedicate moltissime pagine, ma qui mi limiterò a sottolineare quegli aspetti più facilmente comprensibili dal punto di vista dell’Enneagramma delle Personalità.
La totale divergenza – ma anche la sottile complementarità – degli enneatipi Due e Cinque si basa su una particolare modalità nella dinamica dare-ricevere. Il Due sente di realizzare se stesso nel donare; si sente confermato nella pienezza della sua traboccante vitalità, nella passione dell’Orgoglio. Il Cinque, invece, si sente povero di energie, e qui emerge un aspetto apparentemente paradossale. Da un lato, infatti, un tratto tipico del Cinque è il timore di venire invaso, e che l’altro possa risucchiarlo, togliendogli quel poco che lui sente di avere; così difende i suoi confini più che può, e tende a mantenere le distanze. Ma allo stesso tempo desidera moltissimo ricevere l’energia dell’altro, proprio perché sente di averne così poca.
Il Cinque gioca dunque, come insegna Antonio Barbato, un gioco a rimpiattino fatto di “lasciami in pace, non avvicinarti” seguito da un “cercami, trovami, proteggimi, dammi la tua forza”, che ha l’effetto di benzina sul fuoco per l’esuberante Due.
L’atteggiamento ritroso e sfuggente del Cinque stuzzica l’amor proprio del Due, lo sfida alla seduzione e alla conquista. Contemporaneamente il Cinque appare debole, fragile, a volte infantile nel rapportarsi al mondo e alla vita, bisognoso di affetto, cure e protezione; a lui il Due può donare a piene mani il balsamo delizioso della sua amorosa sollecitudine. Ma quest’amorevolezza può essere un’arma pericolosa. Questo dono può nascondere a volte un conto molto salato, che viene presentato prima o poi – e di solito il Cinque non vuole e non è in grado di pagarlo. La generosità può essere un bel vestito sotto il quale si nascondono la manipolazione, il desiderio di ammirazione incondizionata, il compiacimento per il proprio potere sull’altro.
George Sand era molto materna nei confronti di Chopin. Lo curava, gli prodigava molte attenzioni soprattutto nelle crisi della sua malattia – e Chopin era spesso un malato difficile. Lo ospitava per mesi nella sua tenuta di Nohant. Lo trattava come uno dei suoi figli, e quando parlava di lui lo chiamava il piccolo.
La donna ideale di Chopin era la sposa-sorella, la “madre-fata” (C. Naranjo); un amore non di questo mondo. Delicato, qualcosa di non terreno, un sogno. La sessualità adulta aveva una parte molto limitata in questo sogno.
George Sand scrisse che per Chopin la donna amata sarebbe dovuta essere forte, protettiva, buona, tenera, devota, materna, voluttuosa ma anche innocente e angelica. Non chiedeva che questo, il povero amante dell’impossibile… annotava ironicamente la scrittrice.
Come terminò la storia di questa coppia così male assortita? Semplicemente per accumulo di risentimenti e mancanza di linfa vitale. La Sand perse l’interesse, divenne sempre più distaccata e impaziente, Chopin sempre più malato, chiuso e infelice.
Il figlio maggiore della Sand non perdeva occasione per provocarlo e durante una lite minacciò di lasciare la casa. La Sand si schierò dalla parte del figlio; Chopin chinò la testa, dichiarandosi pronto ad andarsene lui. Nessuno disse una parola per trattenerlo. E neanche in seguito ci fu un tentativo di riavvicinamento.
La Sand era anche offesa perché in una questione importante (il matrimonio della figlia), Chopin, lucido e lungimirante, le aveva mosso delle critiche, e in seguito gli eventi gli avevano dato ragione.
Questo era insopportabile per la scrittrice che, come abbiamo già detto, era disposta a distruggere l’altro, pur di non ammettere i propri errori.
Chopin, perdendo la Sand, perdette tutta la vita. La famiglia era lontana, i suoi amici più cari erano morti o lontani. Era malato, molto debole e non aveva neanche più la forza per comporre. Nove anni di intimità erano ormai un’abitudine che gli dava nutrimento affettivo, senso di appartenenza e protezione; per la Sand invece quest’abitudine era diventata esasperante e la faceva scalpitare per desiderio di novità.
Dopo la rottura, la Sand cominciò a divulgare la sua versione dei fatti, infarcita di menzogne. Per uscirne bianca come la neve, doveva annerire la figura di Chopin. Inoltre si diede da fare per cancellare le tracce; bruciò tutte le lettere che Chopin le aveva scritto, e non ebbe pace finché in seguito non riuscì a recuperare e distruggere anche quelle che lei aveva scritto a lui. I biografi hanno dovuto svolgere un minuzioso lavoro di esame e confronto di tutti gli altri documenti disponibili, per poter ricostruire almeno in parte la vicenda.
In una malinconica lettera alla sorella, Chopin dimostra di avere una visione molto chiara degli eventi, delle motivazioni, delle emozioni in gioco. Il tono della sua analisi è preciso come il taglio di un bisturi. Infatti scrive:…ho fatto una croce su tutto questo. Che Dio la protegga, perché non sa distinguere un vero attaccamento dall’adulazione. Del resto può darsi che soltanto a me gli altri sembrino degli adulatori e che la sua felicità sia proprio là dove io non la scorgo. Nessuno potrà mai seguire nel suo tortuoso cammino un’anima così capricciosa… Io non rimpiango di averla aiutata a sopportare gli anni più delicati della sua vita, quelli in cui sua figlia cresceva, in cui educava suo figlio; non rimpiango tutto quello che ho sofferto… se non ci fossi stato io, non so da quanto tempo i ragazzi sarebbero andati a vivere col loro padre invece che con lei…
Anni prima, la Sand aveva scritto di Chopin: E’ buono come un angelo… senza la sua amicizia perfetta e delicata, perderei spesso il coraggio.
Possiamo così vedere la situazione da un’altra prospettiva; percepiamo che anche Chopin, in un modo più sottile e segreto, aveva avuto nella vita di George una funzione stabilizzante e di sostegno, basata più sull’ “esserci” che sul “fare”. E forse proprio questo permise alla relazione di durare così a lungo, almeno in confronto alle altre relazioni della Sand. Lei e i suoi figli erano diventati la sua famiglia – una famiglia che lo espulse bruscamente quando ormai lui non era più in grado di ricostruirsene un’altra.
La sua salute era gravemente compromessa e precipitò rapidamente. Gli mancavano l’attenzione costante e le cure di una compagna, ma più probabilmente aveva perso del tutto la voglia di vivere. Fece l’errore di lasciarsi trascinare in una lunga ed estenuante tournée di concerti in Inghilterra, che fu disastrosa per le sue condizioni. Quando tornò a Parigi era in uno stato miserevole, incapace di lavorare e bisognoso dell’aiuto economico di alcuni amici. Non durò a lungo; si spense qualche mese dopo. Aveva trentanove anni.
La Sand non andò a trovarlo mentre stava per morire, né si presentò al funerale. Gli sopravvisse felicemente per molti anni, in ottima salute, continuando a scrivere, a occuparsi di politica, ad allacciare relazioni amorose.
Credo che queste brevi notazioni abbiano illustrato in modo chiaro, anche se necessariamente molto conciso, alcune modalità classiche del rapporto tra un Due e un Cinque, con le rispettive debolezze e problematiche, che diventano più comprensibili alla luce dell’Enneagramma.
L’unica fotografia conosciuta di F. Chopin, del 1849 – poco prima della morte
Per concludere riporto alcune frasi tratte da una lettera che Chopin scrisse all’amico Fontana quattordici mesi prima di morire, nella quale getta un po’ di luce sui suoi pensieri più profondi: La sola sfortuna consiste in questo: noi usciamo dal laboratorio di un maestro celebre, uno Stradivarius sui generis, che non è più là per aggiustarci. Mani inabili non sanno trarre da noi suoni nuovi, e noi comprimiamo nel fondo di noi stessi quello che nessuno sa far risuonare, per mancanza di un liutaio.
Ecco, forse un epitaffio per un poeta come Chopin potrebbe essere questo: morto per mancanza di un liutaio.
Ma non sarebbe magnifico, se ciascuno di noi riuscisse a essere il liutaio della propria vita?
Le citazioni sono tratte da
G. de Pourtalès, Chopin, ed. Accademia
B. Gavoty, Chopin, ed. Mondadori
G. Belotti, F. Chopin, l’uomo, ed. Sapere
Le immagini da Wikipedia