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Accettazione e resa

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Questo argomento contiene 19 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da  Antonio Barbato 13 anni, 1 mese fa.

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  • #4040 Risposta

    bosco di giada

    scusa rugiada nella nebbia ieri ho risposto in gran fretta perchè stavo per uscire. Io non dicevo che bisogna ignorare le ferite e non curarle. Ho scritto che questa ricerca non deve diventare ossessiva, non ho scritto che bisogna far finta di nulla, sarebbe una sciocchezza perchè prima o poi il dolore che cova ti costringe a guardare. Io voglio dire che è indispensabile rendersi conto di questo dramma emozionale primario. Credo che si possa arrivare a questa consapevolezza o scoperta in molti modi diversi, con l’aiuto di circostanze specifiche o con l’aiuto di altri o attraverso l’autoanalisi. Non importa come, ognuno può contattare questa parte in modo diverso e attraverso esperienze esistenziali molto difformi. Detto questo credo che ciò faccia parte di un percorso, che sia una fase, che deve avere un tempo determinato. Questo può avvenire molto presto o molto tardi nella vita, per alcune persone non accade mai per altre accade in modo confuso, superficiale o narcisistico. Ma quando accade e giustamente si prende contatto, come si diceva in un altro post con la vergogna e la rabbia è necessario capire che tutto ciò ha un tempo determinato. Può essere che questo tempo sia molto lungo, e può essere che per tutta la vita la ferita non si rimargini completamente. In caso contrario rimestare nella ferita non ha più lo scopo di crescere, non è più una tappa evolutiva, non è un velo squarciato ma al contrario è un modo per rimanere incagliati in un momento statico delle nostre tappe evolutive.
    Accettare, se necessario, che la ferita non può completamente guarire, è un atto di maturità necessaria. Lo scopo delle persone che cercano, infatti, non è la chirurgia estetica ma la comprensione eziologica del male stesso allo scopo di trovare il rimedio migliore possibile e continuare a vivere pur accettando che una cicatrice possa deturpare la nostra bella essenza. La teoria della ferita originaria per come io la sento e la giudico ha una sua cristallina verità. Non c’è la presunzione di sconfessarne la validità, anzi io personalmente mi sono riconosciuta perfettamente, in quella del mio enneatipo, senza alcuna difficoltà o riserva. Questo perchè l’avevo già contattata in profondità. E’ questa la presunzione? Avere la consapevolezza che per altre vie si era giunti a conclusioni molto simili non è un disconoscimento ma semmai una conferma. Detto ciò si è aperta in me la consapevolezza che non basta avere chiara l’origine delle nostre fissazioni e dei nostri meccanismi di compensazione per essere veramente guariti. Non è questa consapevolezza che ti allegerisce veramente. Certo se non si prende contatto reale e obiettivo con tutto ciò non è possibile nemmeno iniziare a intraprendere il cammino. E’ impossibile. E’ come costruire una casa su fondamenta pericolanti. Per le persone che si avvicinano all’enneagramma è possibile che questa scoperta sia già avvenuta per altre strade, per altri invece può essere una rivelazione fulminante. Può darsi che per alcuni sia stato già molto lungo e molto doloroso. Allora può darsi che si sia desiderosi di contattare finalmente altro, forse l’essenza primaria che doveva essere in noi come soffio, come alito primordiale. Che ancora è in noi, ma che è stato distorto e manipolato nel vano tentativo di sopravvivere alle pressioni dell’ambiente. E’ quella la medicina. Le persone che vedono il loro dramma emozionale hanno fatto un grande e necessario passo, ma non è detto che questo le autotuteli evitando il ripetersi dei meccanismi, ci vuole qualche altra cosa. E ci vuole il rispetto da parte degli altri di poter accettare, almeno in via di ipotesi, 🙂 che chi incontra l’enneagramma questo pezzo iniziale del percorso l’abbia già svolto. Non mi sembra sufficiente negare ciò in base al fatto che le persone non sono perfette perchè ribadisco che sapere l’origine dei propri meccanismi non ci evita di ripeterli in modo coattivo, altrimenti non si chiamerebbero fissazioni. Dire a una persona tu hai il tetano e l’hai preso perchè hai toccato quella cosa infetta non impedisce le convulsioni. Però è molto importante che la diagnosi sia fatta per poter somministrare l’antibiotico più efficace. Dopo di che bisogna guardare avanti per non rischiare che se nella vita ti tocca l’otite o una colica renale si continui a curare sempre il tetano. Nella mia personalissima esperienza ho capito di aver costruito molte cose nella mia vita nel disperato tentativo di riparare alle carenze che sentivo nella mia famiglia. E’ stato uno sforzo disperato, anche se pieno d’amore e di buone intenzioni. Tuttavia questo, talora, mi ha impedito di guardare ai miei veri bisogni, al mio vero sè. Ho trascorso molto tempo a cercare di produrre qualcosa che mancava nel passato perdendo di vista quello che mi mancava nel momento attuale. Credevo che scavare nella ferita mi dovesse costringere a trovare un rimedio pietoso per me e per tutti i componenti della mia famiglia di origine, di quella nuova, e in un certo senso per tutta l’umanità. Crescere vuol dire lasciare andare tutto ciò. Riappacificarsi con il senso di ciò che è stato, poterlo fare sapendo che questo ci ha reso come siamo e che bisogna guardare al futuro, con la consapevolezza che non dobbiamo più vergognarci di nulla perchè abbiamo intessuto la nostra tela nel modo in cui sapevamo e potevamo. Ho fatto pace col passato quando ho capito che il dolore che sentivo era in parte dovuto a circostanze oggettive ma in gran parte era dovuto al mio modo di percepire e di farsi toccare e manipolare dalle circostanze, ora vorrei far pace con il presente e magari, forse, se Dio vuole,con il futuro.

    #4041 Risposta

    rugiada nella nebbia

    Sono assolutamente con te…. da come avevi scritto all’inizio, non si capiva. Tu dicevi solo che non bisognava guardare troppo al passato, pensando che questa frase relativa ad una tua esperienza potesse divenire un concetto subito comprensibile a tutti. La ferita non si puo’ curare semplicemente comprendendo cosa e’ mancato, o voltando le spalle a cio’ che e’ stato, o scrollandosi di dosso quello che crediamo di aver capito. Bisogna lasciar andare tutto, tagliare i legacci, cosi’ come tu ben dici. Fare pace, vivere l’esperienza del perdono, vivere l’esperienza dell’accettazione, tutto questo non e’ contemplato se tu dici semplicemente: bisogna smettere di curare ossessivamente la ferita del passato…perche’ ti esponi ad un equivoco, dovuto alla tua personale esperienza, che hai pienamente chiarito 🙂 …

    #4042 Risposta

    Elisabetta

    Hai ragione Marina, quando riusciamo ad essere presenti a noi stessi, a tenere aperti i canali della mente e del cuore ed a sentire gli altri vicini ed uniti a noi nello stesso percorso avvertiamo uno stato di pace e benessere, una felicità che non può essere fugace, sentiamo con certezza che quella è la fonte benefica e ristoratrice vera e pura, nella quale attingere. Eppure ogni qualvolta, e spesso accade, perdo il sentiero ed il contatto con questa luce, sento quanto è doloroso sprofondare nella solitudine della mia mente, sento il continuo arrovellarsi di pensieri e sentimenti negativi che prendono il sopravvento, allora accade che quella gioia e quello stato di pace mi sembrino sempre fugaci, mi sento incapace di trattenere quell’energia positiva che fluisce e ci avvicina alla bellezza ed alle gioie della vita.

    #4043 Risposta

    Sirenella

    Dici bene Eli…e’ quando perdi il senso di quella luce interiore che ti guida, che perdi la sensazione di pace e benessere. Sto leggendo un libro molto interessante, in cui si fa spesso cenno ad alcune idee di Platone. Ve ne cito una, anche se lo faccio in maniera molto personale e semplificata. Lui parla dell’uomo interiore come di una creatura che vive nelle profondita’ di una caverna, per il quale la realta’ e’ fatta da ombre che si proiettano su di un muro davanti a lui. Egli quindi non percepisce cio’ che muove quelle ombre, e’ incatenato col viso rivolto al muro e la grotta, il muro e le ombre sono la realta’ per lui. Uscire dall’ignoranza, quindi la conoscenza, rappresentano un modo per sciogliere quelle catene e portare l’uomo al di fuori della caverna per raggiungere l’illuminazione e la saggezza. Volendo visualizzare questo percorso, proprio come l’uscita da una caverna, possiamo dunque immaginare che la luce (la conoscenza) che l’uomo vissuto al buio (della sua ignoranza) non ha mai visto e compreso, dapprima possa dolorosamente abbagliare l’uomo, che dovra’ subire un graduale adattamento ad una luminosita’ differente, che gli costera’ dolore agli occhi ma anche sconvolgimento mentale, a causa di una mole di nuove informazioni e percezioni, che la luce stessa getteranno su di lui. Una volta adattato (ammesso che egli lo permetta) l’uomo dovra’ percorrere il cammino che da fuori la caverna lo portera’ in cima al monte, dal quale vedra’ finalmente le cose come sono. Per Platone ci sono delle verita’ che sono in qualche modo essenziali e uniche, universali, come ad esempio la capacita’ dell’uomo di saper discernere il vero bene da cio’ che e’ male. Piu’ e’ saggio e quindi illuminato l’uomo, piu’ egli e’ in equilibrio interiore, meno confusione egli fa nel comprendere e riconoscere subito certe verita’ traendone forza, benessere, armonia e quindi pace. Tutto questo percorso, risulta doloroso e sofferto, non basta uscire dalla caverna, cosi’ come non basta percepire la luce, bisogna vivere haime’ con sofferenza un lungo processo di scoperta, fatica, spossatezza, paura, adattamento che spesso possono spingere l’uomo a voler tornare nella caverna, quasi come se quella dimensione della realta’ possa risultare meno faticosa, meno dolorosa e quindi una condizione migliore rispetto al lavoro della conoscenza. Il premio, cio’ che un uomo ottiene, se decide di non lasciarsi travolgere dalla dimenticanza e dalla noncuranza (concetti enneagrammatici che uso perche’ mi sembrano calzare alla perfezione) se decide di raggiungere quella vetta sostenendo il peso delle fatiche, l’uomo raggiungera’ un grado di saggezza e pace interiore, tali da poter gestire equilibratamente le tre forze che si agitano in ogni essere umano: quella delle viscere, quella del cuore e quella della mente. ( Vi dice qualcosa questo??)C’e’ molto enneagramma, nel pensiero di Platone, non ti pare? Io credo che quei momenti in cui tu perdi il senso di pace interiore, di benessere, e’ proprio perche’ stai scivolando senza vederlo sui brecciolini della dimenticanza o della noncuranza, che ti portano ad un livello inferiore, ti addormentano nella consapevolezza che avevi acquisito e procurano…riaccendono direi…quei demoni che si agitano nelle oscurita’ della nostra personale caverna. Non si deve trattenere l’energia positiva, bisogna andarle incontro, in un movimento di salita che e’ faticosissimo e spesso anche doloroso, eppure….io sento nelle parole di Platone cosi’ come nei concetti dell’enneagramma il senso, il suono di una verita’ molto nitida e luminosa, che riconosco come appunto…vera, possibile per tutti gli esseri umani.

    #4044 Risposta

    Antonio Barbato

    Una sequenza di interventi molto interessanti ai quali, per i soliti motivi di lavoro che in questo periodo sono ancor più pressanti, non sono riuscito a partecipare. Vorrei partire dalla intuizione di Chiara che mi sembra avere, in qualche modo, ricompreso anche quello stato di fluttuazione vissuto come negativo, citato da Eli. La realtà è che esistono due livelli diversi eppure interconnessi e contemporanei dell’esistenza. Ad un livello il criterio apparente è quello della immutevole mutevolezza, del continuo fluire e divenire in cui apparentemente sono sommerse tutte le cose che esistono e che sembrano negarsi l’un l’altra. Questo è lo stadio che Chiara aveva descritto e che trova composizione solo nella integrazione del suo opposto apparente. C’è, però, un altro livello dell’essere verso il quale tendiamo e che è con noi sempre, ma che, tuttavia, non riusciamo a percepire, perchè l’ego ci scherma facendoci sentire soprattutto il pungolo dell’istinto di sopravvivenza e il desiderio di avidità. Gli interventi, invece, delle nostre ospiti più recenti hanno articolato il tema su una serie di problematiche più proprie del tipo Quattro, anche se in ogni caso hanno anche un valore di tipo universale. Sulla Ferita ho letto interventi molto appassionati e profondi e che mi parebbe opportuno riproporre in una sede più dedicata al tema specifico. Voglio solo sottolineare che il punto non è quello di cercare ossessivamente di curare la ferita del passato, e neppure quello di essere già giunti in altri modi alla concezione intellettuale della Ferita, il punto è che quella Ferita è attiva e viva nel presente e spesso non può essere curata in alcun modo con l’applicazione di un criterio razionale. La mia esperienza, inoltre, mi dice che talvolta la ferita è stata inferta ad un livello tanto primordiale da necessitare della ricerca di un modo qualunque per poterla almeno esprimere per come essa parla dentro di noi. Voglio dire che talvolta la Ferita è presente ad un livello pre verbale, pre logico, e l’unico modo per cercare di “comprenderla”, è quello di esprimersi attraverso il proprio corpo. Un percorso assolutamente “diverso” in un territorio al quale siamo alieni, qualcosa simile all’esperienza che potrebbe fare un terrestre nel muoversi in un mare di ammoniaca o un aquila nel muoversi sui fondali marini.

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