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Tag: his rkanadya
Questo argomento contiene 5 risposte, ha 3 partecipanti, ed è stato aggiornato da Anonimo 12 anni, 3 mesi fa.
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Chiara RocchinoComplimenti per l’analisi dettagliatissima, un piacevolissimo misto tra la vita dell’autrice e le caratteristiche artistiche dell’opera. Un chiarissimo esempio di come un Tre viva la propria esistenza, cercando di dimostrare a tutti ciò che è attraverso quello che fa. :)))
GiancarloBella, fredda, schermata, sicura di sé, curata e moderna. Seduttiva ma… impostata.
Da questa descrizione non ritrovo molto me stesso, che vesto in maniera casual e guido un cascione di auto…
Posso apparire talvolta distaccato, ma è un distacco dettato in parte dalla diffidenza, in parte da un vero disinteresse, in parte da un senso di inadeguatezza, e in parte dall’assorbimento nei miei pensieri e interessi.In ogni caso, solo un piccolo ostacolo per l’altro, facilmente sormontabile toccando le corde giuste. (es. un genuino interesse nei miei confronti o una condivisione di passioni)
La donna del quadro ha in fondo una durezza che io non ho, che invece mi ritengo piuttosto morbido ed elastico, salvo poi irrigidirmi e chiudermi in situazioni di stress o di disagio.Mi chiedo: questa donna che sta sempre a fare, si concede mai il tempo per stare con se stessa? Per riflettere, sognare, rielaborare, non fare un cazzo? Probabilmente no, pittura a parte, che forse vive come l’ennesima sfida.
Chiara TortorelliSeducente, femminile. Inarrivabile.
Femme fatale. Autonoma. Ma con un’ombra di vaga tristezza impenetrabile negli occhi.Leggendo del ritratto e dell’autobiografia ho sentito un’affinità forte, forse ancora più completa di quella con Katherine.
La creatività che trova sempre nuovi spunti, il coraggio dell’anticonformismo, l’uso delle pubbliche relazioni, tante, che non diventano mai amicizie, e la tranquilla sicurezza con cui Tamara attraversa la vita l’hanno fatta sentire vicinissima alle mie multiformi anime di creativa pubblicitaria, scrittrice, comunicatrice, attrice, poetessa.
Padrona di me e del mio destino lo sono sempre stata, fin da piccola, quando mi sentivo acuta e consapevole in un mondo familiare di cui già percepivo le fragilità.
“Gli occhi della donna puntano dritto negli occhi dell’osservatore, sembrano quasi stiano sfidando chi guarda. Ha lo sguardo di chi vuole osservare e capire, ma non essere osservata. Chi la osserva deve vedere e capire solo quello che lei decide di far trasparire…”
Questa frase me la ritrovo molto: la tematica dell’inganno e della maschera, dove finisco io e dove finiscono le mie finzioni. La verità? Non credo che esista oggettivamente, non riesco a riconoscere il confine tra verità e menzogna, è come se esistessero tante verità a metà, e tante uguali finzioni a metà. Non esiste “una realtà” per me… come può esistere “una verità”?
Gli sguardi… Non amo molto gli sguardi degli altri, sento sempre che devo in qualche modo proteggermi, eppure ho bisogno eternamente dello sguardo degli altri come dell’aria che respiro. A volte mi sembra di esistere solo se c’è lo sguardo immaginario di un ipotetico pubblico che mi guarda e guarda alla mia vita. Credo di aver recitato da quando avevo due anni, brava a calarmi in tutti i panni che volevo… ma in fondo inesistente. E quell’inesistenza è insieme un segreto e una ferita. Non posso far in modo che nessuno mi venga mai troppo vicino… Per questo non amo ospitare persone a casa mia proprio perché troppo da vicino non potrei sostenere l’impalcatura della mia immagine.
Aria di superiorità: magari non nei tratti esteriori, ma dentro, sempre, eppure non bastevole mai a se stessa, bisognosa di quel riconoscimento esterno per auto sostenersi.
Essere all’avanguardia, il coraggio di infrangere le regole sociali, la disinvoltura, sono cose che mi risuonano perché mi sento sempre in avanti, spesso in corsa. A volte lo faccio per gioco, a volte perché mi sembra solo così di essere viva in un mondo di morti. Chi mi ama mi soprannomina “la donna prua”, colei che guarda sempre avanti, che non si protegge ma scopre nuovi orizzonti anche a costo di fendere e ferire.
Giancarlo dice di me che quando mi conobbe al tempo della mia vita milanese ero un’icona manichino: perfettamente truccata, levigata, vestiti all’ultima moda, tacchi altissimi. Finta fin nel midollo e dentro sola come un guscio vuoto. Accumulavo feste, incontri, collezionavo relazioni per sentirmi sempre al mio massimo. La più bella, intelligente, brillante, in gamba.
Sì avevano allevato anche me, come Tamara, al pensiero di essere “straordinaria”.
La figlia che non può mai prendere meno di nove a scuola.
La figlia che capisce sempre.
Che fa discorsi strepitosi. Che recita come un’attrice di teatro.
Da piccola mi ripetevano come un disco rotto: “sei bellissima”. E io un po’ me la ridevo pensando: “Ecco li ho presi di nuovo in giro. Facendogli credere quello che voglio…!”Sfida? Sempre e con la certezza di vincere. Persino ai colloqui di lavoro. Recitavo il mio copione. Ero come sentivo che mi volevano. Precisione da sismografo nel capire ed adeguarmi. E un nuovo applauso.
Era una droga. Ogni giorno un nuovo applauso perché senza applausi era il vuoto.
Un imbuto capace di inghiottire e annullare.Ho anche io come Tamara sposato l’uomo che tutte volevano. Al mio matrimonio il miglior amico di Gianco fece un brindisi: “complimenti a Chiara che ha conquistato l’inconquistabile Giancarlo”.
Grazie agli sforzi e alle mie conoscenze, intreccio relazioni nel mio lavoro, organizzo eventi, facendo il lavoro di dieci persone in una.“Nella difficoltà un Tre non si perde d’animo, si pone un obiettivo e lo raggiunge.”
Sempre! Mai persa d’animo. Cento volte morta e duecento risorta, passando attraverso la malattia e la morte di chi amavo, e attraversando l’Inferno. Ma con la vita che sempre mi è venuta incontro con proposte sorprendenti e inaspettate.
Tutti i miei sogni li ho sempre in un modo o nell’altro realizzati.E sento anche quante volte nella mia vita ho distolto l’attenzione da mio figlio e mio marito, tutta presa dai miei interessi, dalle mie passioni… o dovrei dire tutta presa dalla mia “scena”…
E quante volte “troppo occupata” ho trascurato i pranzi o le cene di mio figlio piccolo, i suoi primi passi, le sue conquiste…
Con “energia e decisione”, ma anche “solitudine”.Le feste… un altro elemento dominante. Ho fatto feste che per me erano belle e riuscite solo se travasavano di gente… Per i miei 40 anni ho creato un evento dove si univano letteratura e arte: la mostra di alcune mie amiche pittrici e un reading letterario dei miei amici scrittori…
Non concordo con le ultime righe di Viviana sulla necessità che si mostri il cuore attraverso i tratti del volto.
Il cuore per me è passione verso la vita e verso ciò che si fa appunto con passione, per Tamara l’arte, ad esempio. Il cuore lo vedo anche nell’instancabile ricerca di nuovi linguaggi crea
MarialessandraSempre interessantissimo ed emozionante leggerti, Chiara! 🙂 Quindi tu senti molto la vicinanza con il Tre, di cui condividi molti aspetti?
AnonimoCiao Marialessandra :)! Grazie…
Sì sicuramente ho un piede nel tre (l’ala… :)), ma questa vicinanza che comunque sentivo, l’ho percepita con chiarezza grazie all’articolo davvero ben scritto di Viviana, che ringrazio.
Attraverso le pagine di un romanzo, o attraverso un quadro si può cogliere a mio avviso con maggiore immediatezza il nucleo profondo di un tipo, attraverso l’analisi della vita e dell’autoritratto di Tamara, ho avuto modo di sentire in azione dentro di me certi meccanismi talmente “antichi” e indiscussi da darli per scontati.
Non so se definirli Tre, Due, ala o quant’altro.
Mi piace pensare che un tipo sia una specie di nuvola, un movimento più che un fermo immagine. Questa nuvola si muove incessantemente comprendendo appunto diversi spostamenti che chiamiamo frecce, ali, etc.
Una sfumatura, che cambia secondo l’attenzione di chi la guarda e il punto di vista su cui ti focalizzi…
AnonimoCiao Chiara, leggendo il tuo commento ho l’impressione che tu sia molto più Tre di me!!
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