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Cent’anni di….enneatipi. Grande successo si replica

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Questo argomento contiene 47 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da  Antonio Barbato 13 anni, 2 mesi fa.

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  • #6736 Risposta

    Carla

    A proposito di Aureliano, voglio riportare questo passaggio intenso e significativo tratto dal libro:
    “[Ursula] intuì che egli non aveva fatto tante guerre per idealismo, come tutti credevano, nè aveva rinunciato per stanchezza alla vittoria, come tutti credevano, ma che aveva vinto e perso per lo stesso motivo, per pura e peccaminosa superbia. Arrivò alla conclusione che quel figlio, per il quale lei avrebbe dato la vita, era semplicemente un uomo interdetto all’amore.Una notte, quando lo portava nel ventre, lo aveva sentito piangere….la lucidità della decrepitezza le permise di sapere…che il pianto dei bambini nel ventre della madre…[è] un segno inequivocabile di interdizione all’amore” (ed. Mondadori, Oscar narrativa, pp. 226-227).
    Immagine davvero struggente di un pre-sentimento di solitudine, che accompagnerà Aureliano per tutta la vita….

    #6737 Risposta

    Antonio Barbato

    Essendo io un clone quasi totale di Atomo/Tecla (o lei il mio, se preferite), non ho potuto proprio esimermi dal cominciare a rileggere (mettendo da parte altri due libri che stavo leggendo e il tempo che sto dedicando al mio nuovo libro) con avidità. Ricordavo benissimo il passo che la nostra Carla ha citato perché aveva suscitato in me una folla di sensazioni indicibili. Per l’Antonio adolescente il pianto dell’Aureliano feto rappresentava il suo senso di alterità, di essere diverso fin da prima della nascita, di non poter essere compreso e di non saper ricomprendere che è proprio dell’amore. Fernando Uribe sostiene che Aureliano sia un Cinque del sottotipo sociale e, probabilmente, ha proprio ragione, ma una rilettura del personaggio la voglio proprio rifare. Ah, che diletto mi danno queste discussioni molto quattresche……..

    #6738 Risposta

    un atomo

    Caro Antonio, non proprio cloni, io ogni tanto mi perdo in un tunnel buio, dove in questo momento sono. So già che devo solo aspettare che la tristezza riempia tutto il vaso e se ne vada. Nel frattempo non ho energia anche per rileggere il libro. Però sono certa che leggendovi ad un certo punto scatterà un qualcosa che non sto a dirti cosa sia, perchè penso tu lo sappia. Intanto ciò che hai scritto di Aureliano mi suona dentro come un armonico accordo. 🙂 Forse Carla, che è più fresca del testo vede bene, io posso riportare solo quello che mi ha lasciato allora il personaggio, lo ho amato e ne ho compreso le ragioni e non riesco a dare la stessa interpretazione.

    #6739 Risposta

    Carla

    Cari amici enneagrammisti,
    approfitto di un pomeriggio in raccoglimento e…solitudine per raccontarvi le mie considerazioni sugli enneatipi di “Cent’anni di solitudine” che, a questo punto, ho riletto quasi completamente.
    Dunque, Rebeca, secondo me, è un Nove. L’immagine di lei che arriva a casa dei Buendia, bambina, trascinandosi dietro un sacco con le ossa “chioccanti” dei suoi genitori, è di una desolazione indicibile ed esprime in modo toccante il sentimento di non sentirsi amata. Rebeca si siede negli angoli più nascosti della casa, si ciuccia il pollice fino a farsi venire il callo e mangia di nascosto terra e calcinacci, “per desolazione”, dice esplicitamente ad un certo punto, lo stesso Marquez. Si affeziona molto alla famiglia, con l’adattabilità e la dolcezza tipica del Nove, trattando affettuosamente sia la “madre” Ursula che i “fratelli”, tanto che , alla fine, la fanno entrare a pieno titolo nella famiglia e le danno il cognome di Buendia. E’ proprio Rebeca, inoltre, a portare nel villaggio la “peste dell’insonnia”, una strana malattia che induce gli abitanti del villaggio a dimenticare i nomi delle cose e porta, in definitiva, alla dimenticanza di sé, cioè il tratto “passionale” del Nove. L’appartenenza al Nove potrebbe spiegare anche la passionalità prorompente che rivela da ragazza e che conquista e confonde il povero Pietro Crespi, trovando infine una quasi- perfetta corrispondenza nella natura impetuosa di José Arcadio figlio che, come avete ben detto, è un evidente Otto.
    Aureliano Secondo, che si abbandona spesso e volentieri a feste, abbuffate, è molto simpatico di modi ed è apertamente bigamo non può che essere un Sette.
    Apolinar Moscote, il correggitore, sembra essere un Sei. Emissario del governo, emette un ordinanza che José Arcadio padre considera assurda. Quando viene affrontato con durezza da Josè Arcadio padre, “sbianca” dalla paura, indietreggia e lo avverte di essere armato. Appena riesce a liberarsi dalla stretta di José Arcadio, lascia la città per poi tornare con tutta la famiglia e con la protezione di soldati. Un agire guidato dalla paura, mi sembra, che è tipico di un Sei. Inoltre, è proprio don Apolinar il primo a parlare ad Aureliano Buendia, divenuto suo genero, delle due opposte ideologie dei “liberali” e dei “conservatori”, che si fronteggiano sul campo di battaglia. L’appartenenza al gruppo politico dei conservatori è molto importante per don Apolinar – altro tratto rivelatore del Sei- tanto che cerca di convincere invano anche Aureliano a farne parte.
    José Arcadio padre è probabilmente un Cinque, data la sua natura un po’ da “inventore pazzo”, che ama soprattutto sperimentare nel chiuso del suo laboratorio alchemico, dimenticandosi delle apparenze a tal punto che Ursula, a un certo punto, lo deve pulire, fargli la barba e quasi accudire come un bambino.
    Amaranta è un Quattro, com’è stato già detto da “Atomo”. Però mi piacerebbe focalizzare meglio che tipo di Quattro. Marquez descrive molto bene i tratti di questa personalità: il forte rancore che sente affiorare nel suo cuore nei confronti di Rebeca, quando si sente messa da parte da Pietro Crespi, che le preferisce la sorellastra, rancore che non sparirà mai, nemmeno quando Rebeca diventa vedova e praticamente si seppellisce viva nella sua casa; la delicatezza e la sensibilità che scopre Pietro Crespi quando poi si mette a corteggiarla; il fatto di rifiutare il matrimonio con Pietro Crespi, quando questo amore diventa improvvisamente possibile e non solo questo amore, ma anche un altro che le si presenta in seguito (ideale d’amore talmente alto che è meglio non concretizzarlo); non ultimo, secondo me, il fatto che in quel mondo brutale in cui è costretta a vivere, chiede ed ottiene ,ad un certo punto, di dedicarsi alla cura dei bambini.
    Melquiades lo zingaro, invece, potrebbe essere il Tre. Nonostante le tante avversità e malattie subite, è capace di indossare la “maschera” dell’uomo giovanile e in buona salute, facendo vedere a tutti la nuova scoperta della dentiera. Dotato di sorprendente energia, attivo, didattico, “incanta” di continuo José Arcadio padre con l’annuncio di nuove scoperte ed alla fine gli regala il laboratorio alchemico e le “formule” per fare delle ricerche di cui José Arcadio padre è entusiasta , ma che si rivelano sostanzialmente… inutili…”maschera e inganno” quale tratto caratterizzante l’enneatipo Tre, com’era già venuto fuori nel giro di mail sull’Odissea.
    Pietro Crespi, il maestro di danza italiano, direi che è il Due, molto curato nell’aspetto, gentile nel modo di proporsi, pieno di attenzioni nei riguardi di Ursula e delle ragazze che corteggia, prima Rebeca e poi Amaranta. Non dimentica mai di andare in visita con un pensiero. Il povero Pietro Crespi mette davvero tutto se stesso per rendersi gradevole e ben accetto, tanto che non riesce a sopportare la delusione di essere rifiutato, oltre che da Rebeca, anche da Amaranta e si uccide per la disperazione. Crespi cade nello sconforto quando crede di non poter essere amato nonostante tutti i suoi sforzi e questo sentimento gli impedisce di vedere che il suo insuccesso non è dovuto a sue mancanze, ma alle caratteristiche di personalità delle ragazze che si è trovato a frequentare.
    L’enneatipo Uno è rappresentato da Ursula, come si è già detto…

    #6740 Risposta

    Antonio Barbato

    Un mega intervento al quale risponderò appena potrò e dopo aver rilettodi nuovo il romanzo. Amaranta è un Quattro del sottotipo Sessuale e, sotto stress sociale, si comporta quasi come un Due. Non sono d’accordo sul fatto che Rebeca sia un Nove: è troppo attiva e seduttiva per poterlo essere.

    #6741 Risposta

    un atomo

    io non vedo tanto Melquiades come tre

    #6742 Risposta

    Carla Basagni

    …in effetti, anch’io sento Melquiades come “l’anello debole” della mia catena interpretativa. Ci sono andata un po’ per esclusione ragionando sulla serie di nomi che aveva dato Antonio. Invece Rebeca mi convince abbastanza come Nove. Comunque aspetto con interesse le vostre considerazioni al riguardo.
    Ciao! Carla

    #6743 Risposta

    un atomo

    Ho ripreso il libro. Avevo dimenticato la spettacolare,splendida,fluida, raffinata scrittura del libro. Sono ancora all’inizio ma mi sono sentita molto confermata nell’idea che avevo di Josè Arcadio padre. E cioè a me sembra un 9. ha il modo di perdersi, di ossessionarsi, di applicarsi, di riempirsi di cose proprio del 9. Non solo direi che è un 9 al suo meglio negli anni della gioventù e come tale agisce: saggio, paziente, mediatore, concreto, e come un 9 disintegrato agisce nella sua follia. Carla Melquiades non è affatto maschera e inganno. Può apparire tale alla fattiva Ursula e al piccolo mondo di Macondo. In realtà mostra cose scientifiche e vere, un altro modo per guardare la realtà , è un alchimista perchè il mondo è alchemico. Lo è per sua natura e Melquiades lo disvela e lo propone qual’è dietro le apparenze.

    #6744 Risposta

    Antonio Barbato

    eri sera, mentre il mio piccolino seppur ammalato riposava tranquillo vicino a me e alla mia dolce Sirenella, ho riletto, pagina dopo pagina, le incantevole prime duecento pagine del libro. Osservo appena che mi godevo un profondo stato interiore che potrei definire, se la parola non potesse apparire come esagerata, di profonda felicità, sia per la vicinanza delle persone a me più care, sia per la fluidità (pari alle acque che scorrevano nel fiume alla fondazione di Macondo) che sentivo scorrere dentro di me. In quello stato quasi incantato riuscivo a figurarmi i personaggi del libro come se li avessi davanti a me, come se potessi guardare in loro da dietro uno specchio magico che permetteva, però, anche a loro di entrare in me. Josè Arcadio padre, solido, monumentale, incatenato all’albero di banano mentre parlava latino dopo aver cercato di raffigurare Dio in un dagherrotipo, sembrava la metafora di un Asteriore che fosse stato domato dalla sua stessa pazzia. Un Don Chisciotte che dopo essersi ripetutamente gettato contro le pale dei mulini a vento, non ritrova il buon senso e la ragione ma, piuttosto, la rassegnazione ad essere pazzo, la perdita totale di se stesso che si può riscontrare nei processi di decadimento dell’ego verso la malattia psichica più totale. Credo che in termini di ETC possa essere plausibile considerarlo come un Sei e, non a caso, nella fase ebefrenica della sua pazzia, l’unico fantasma che continua a trovarlo sempre (interpretate la metafora come volete), sia quello di Prudencio, cioè del senso di colpa che, seppur mitigato e reso nostalgico dal tempo, continua a fargli compagnia fino alla sua morte. Grande sorpresa per me, invece, è stato rileggere di Aureliano, della sua pretesa di tenere tutti gli altri ad almeno tre metri di distanza, del gelido cuore che non riesce nemmeno a sentire più alcun battito di se stesso. Da ragazzo avevo attribuito al personaggio uno slancio da Quattro che, invece, gli manca completamente. Ha ragiona Carla a sottolinearne l’alterigia intellettuale che non gli permette nemmeno di provare vero dolore per la morte della sua moglie bambina. Sicuramente, come dice anche Fernando, è un Cinque sociale, ma non ci vedo, diversamente da Daniele, un filosofo/guerriero. Per illustrare meglio questo ultimo pensiero dirò che Aureliano è del tutto simile all’imperatore romano Cinque Tiberio (un soldato che si è auto recluso in solitudine), piuttosto che all’altrettanto Cinque Marco Aurelio (un filosofo soldato). A dopo, Antonio

    #6745 Risposta

    Carla Basagni

    E il personaggio di Fernanda, secondo voi, che tipo è? Sto proseguendo nella lettura e mi ha colpito la moglie di Aureliano Secondo, “reginetta” di bellezza, fredda, formale, classista, in corrispondenza con “medici invisibili”…sarà mica un Sei controfobico? Mi ha molto colpito la spietatezza avuta nei confronti della figlia Memé, credo un tipo Sette, e della passione di Memé per di un uomo di differente classe sociale, amore veramente anticonvenzionale e inconfessabile per la società in cui si muovono i personaggi e descritto meravigliosamente, come tutto il resto, nelle pagine di Marquez. Ciao, Carla

    #6746 Risposta

    Antonio Barbato

    Cara Carla, ho riletto la parabola di Fernanda e credo che lei sia l’incarnazione del demone della Boria, come si diceva all’epoca di Evagrio Pontico, cioè di un misto fra la passione della Superbia (prevalente) e quella dell’Ira (secondaria). Quando si parla di passioni capitali bisogna ricordare che l’espressione ha sempre due significati, che si possono utilizzare. In questo caso la prevalenza della Superbia indica la impossibilità ad accettare che la figlia possa avere una propria opinione, una voglia di vivere che la porta a non accettare tutto quello in cui la mamma crede.

    #6747 Risposta

    un atomo

    Nella rilettura sono rimasta molto colpita da Amaranta. Alcune frasi con cui Marquez descrive la sua personalità mi hanno veramente commossa, ovviamente per un meccanismo proiettivo. Amaranta non è solo invidia, anche se il suo rancore è eterno, è notevole anche la bivalenza dei suoi sentimenti. In un certo senso mi è sembrato che l’odio verso Rebeca fosse pieno d’amore. Non soi spiegarmi bene. E poi la dolcezza che c’è in lei e che non riesce ad esprimersi, a divenire visibile. L’incomprensibile tenace rinuncia all’amore che si spiega apparentemente con lo strazio del senso di colpa per la morte di Pietro Crespi, da lei respinto e pure tanto voluto, con un tipico meccanismo da 4. Eppure questa spiegazione è semplicistica, la cosa è più sfumata e contorta. Quel suo marchiarsi a vita per non dimenticare mai. La sua istintualità quasi animalesca nella seduzione verso i giovanissimi della famiglia, che inizia al mondo della sessualità,senza mai arrivare fino in fondo, fino ad ossessionare i loro pensieri, ma da cui prende sempre distanza senza rendersi conto che ormai è tardi. La rivendicazione feroce della sua verginià che pure vorrebbe tanto gettare alle ortiche. Insomma Amaranta non vive, sceglie di non vivere, affamata d’amore e votata ad una crudele riuncia all’amore, per paura e perchè non potrà mai raggiungere il frutto della sua idealizzazione. In fondo credo che Amaranta non amasse davvero Pietro ma l’idea che Pietro fosse l’amore, tanto più che era irraggiungibile perchè innammorato di Rebbeca . Ma se avesse vissuto la sua storia, mi domando cosa se ne sarebbe fatto Amaranta del damerino Pietro tanto buono e romantico, ma io credo insufficiente alla carica passionale di lei. Splendido il tessere per anni il suo sudario, meraviglliosa la morte che fa, in piena lucidità, chiaroveggenza e serenità. Vorrei che fosse così anche per me. E uno dei 4 più completi, complessi e ben descritti che abbia incontrato. Quando avevo letto il libro non sapevo nulla di enneagramma e alcune cose ora le guardo diversamente. Il libro è incredibile, a parte per i contenuti, i significati, le metafore ed i simboli, ma proprio per la scrittura, che ti scorre dentro a volte come miele, a volte zampillando. Un vero godimento della mente. Gli altri libri di Marqez non mi hanno fatto lo stesso effetto, a confronto sono sciapi. Infine vorrei dire sì Aureliano è un 5, ma mi ha generato molta pena e comprensione. In generale i 5 mi fanno quest’effetto come se coprendessi molto meglio le loro ragioni e reazoni rispetto a quelle di tutti gli altri enneatipi. Mi piacerebbe capire perchè sento quest’empatia e questa affinità in una psicologia che apparentemente dovrebbe essere opposta alla mia. Se qualcuno mi spiega credo che capirei qualcosa di me che non riesce ad emergere. Posso dire che a volte ho la sensazione che il modo di essere del 5, potrebbe essere assolutamente il mio se la smettessi d sfiacchirmi dietro a cose, reazioni, emozioni,di cui in fondo non mi importa assolutamente nulla e che insceno, anche con me stessa, nella pura illusione d essere viva attraverso un empito emotivo che dura lo spazio di un minuto e su cui strutturo una rete di conseguenze che mi allontanano da ciò che sento veramente.

    #6749 Risposta

    Carla Basagni

    Ad Antonio chiedo un’ulteriore chiarimento: la personalità di Fernanda quindi sarebbe radicata nel tipo Due con una forte influenza dell’1?
    Per quanto riguarda Amaranta, anche a me è piaciuto molto il modo in cui Marquez “fa muovere” questo personaggio e la complessità del tipo rappresentato. Ad esempio, la coesistenza dei due aspetti di “rancore” e “ipersensibilità”, che nel tipo Quattro spesso si trovano intrecciati, il desiderio d’amore non realizzato ed anche l’”attrazione” verso la morte, che porta Amaranta a visualizzare la morte accanto a sé, quasi fosse un ‘amica ed a capire esattamente quale sarà il momento della sua dipartita. La fine di Amaranta, secondo me, è assolutamente tragica . Si prepara a morire con tutti i suoi desideri di vita e di amore non vissuti, ma che premono dentro di lei ancora con la stessa intensità che avevano quando era giovane. In un ultimo empito di masochismo, Amaranta si guarda allo specchio quando è già distesa nella bara, avvolta nel suo sudario, in attesa della morte e vede il suo volto avvizzito, con tutti i segni del tempo esattamente come si aspettava di vederlo, quindi desideri ancora “giovani” in un corpo che non può più sperare di realizzarli…..un vero incubo!
    Non mi sembra che il rancore di Amaranta sia una specie di amore verso Rebeca, Credo che, in comune con l’amore, il suo odio abbia soltanto l’intensità, ma che il sentimento sia assolutamente “di segno opposto”. Quando Amaranta fantastica che Rebeca muoia prima di lei per poter vestire e preparare il suo cadavere con ogni cura, quasi come fosse un atto d’amore, per poi…”darlo in pasto ai vermi”… Non è amore, secondo me, ci vedo piuttosto un gusto per la teatralità, la ritualità, che Amaranta esprime anche nella preparazione alla sua stessa morte e mi sembra ugualmente caratterizzante l’enneatipo Quattro.
    E poi, l’amore per Pietro Crespi. Secondo voi il rifiuto di Amaranta nei suoi confronti è spiegabile solo con la paura di realizzare l’amore, o non c’è anche un puntiglio di Amaranta, una sorte di “vendetta” su Pietro, perché “da subito” lui non si è accorto di lei, non “l’ha vista” e gli ha preferito Rebeca?
    Per quanto riguarda Atomo ed il fatto di sentirsi molto vicina al Cinque, pur avvertendosi del tutto differente. Non sarà, semplicemente, che il Quattro comprende piuttosto bene il Cinque perché gli è molto vicino nell’Enneagramma? Anche a me capita di avere molte affinità con il Cinque. Credo che sia un movimento molto naturale per il Quattro, che si sente in balìa di sentimenti di carenza ed autosvalutazione, ricorrere ad una buona dose di razionalità anche per prendere un po’le distanze e difendersi da queste emozioni, nella vita di tutti i giorni.
    Un caro saluto a tutti, Carla

    #6750 Risposta

    un atomo

    Cara Carla quasi sicuramente io guardo il 5 dal punto di vista del 4, dò delle spiegazioni complesse – contorte da 4, lo sento con l’emozionabilità del 4. Credo che un 5 da me percepito, per prima cosa farebbe fatica, non dico a riconoscersi, ma certo a darsi le motivazioni che io gli dò, e seconda cosa credo che si spaventerebbe un pò 🙂 L’affinità che sento è la presenza di un deserto interiore, di una solitudine profonda, la differenza sta nel fatto che da 4 pur di bagnare quelle terre aride, e sapendo che è inutile, sarei disposta a piangere per l’eternità. Perchè sul disincanto si strafifica sempre un desiderio che non vuole morire. Vorrei essere più 5 non per l’aspetto razionale, ma per lasciarmi andare al vuoto, riconoscendo finalmente che il mio pieno è cianfrusaglia, per divenire invisibile a me e al mondo ed essere così in pace.

    #6751 Risposta

    un atomo

    Riflettendo penso che il punto sta nel non sapersi arrendere a questo vuoto e che la ragione di ciò non sia l’emozione eccessiva (che spesso è una montatura e un auto inganno), ma è quella cosa che Antonio chiama la speranza del 4. Un potente motore, che ci fa sempre ripartire, ma anche che ci tiene perennemente attaccati alle illusioni. Non sono mai riuscita a vedere l’aspetto positivo di questa speranza, perchè so che non è nè ottimismo, nè sana fiducia nelle cose. E’ piuttosto qualcosa che trascende , intima, profonda, ideale. Non ti permette affatto di pensare che le cose si aggiusteranno ma piuttosto di convicersi che se le cose vanno come vanno è perchè tu devi imparare da loro. La speranza sta nell’anelito a pensare che prima o poi imparerai e perciò non riesci a cadere nel vero vuoto che ti farebbe vedere le cose come sono realmente. Mi rendo conto di non essere stata per niente chiara. Antonio tu hai compreso?

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