HomePage › Forum › Forum ASS.I.S.E. › Cent’anni di….enneatipi. Grande successo si replica
Questo argomento contiene 47 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da Antonio Barbato 13 anni, 2 mesi fa.
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Antonio BarbatoQuesta discussione è veramente appassionante ed è un peccato che, a concorrere con interventi, siamo così pochi. Ho finito di rileggere, ancora una volta, il libro e per qualche giorno non sono stato in grado di separarmi dal ricordo delle meraviglie che mi ha donato anche questa volta. Mi sono sentito come l’ultimo Aureliano nel momento in cui “cominciò il vento, tiepido, incipiente, pieno di voci del passato, di mormorii di gerani antichi, di sospiri di delusioni anteriori alle nostalgie più tenaci”. A differenza delle prime letture questa volta, forse perché la conoscenza dell’EdT è illuminante, i personaggi minori mi sono sembrati estremamente interessanti. Santa Sofia della Piedad e Gerineldo Martinez sono due splendidi esempi di Nove, così come Fernanda incarna il demone della Boria ed è, quindi, un misto di Superbia dominante e di Ira secondaria, come aveva capito Carla. Ho capito quello che voleva comunicare Atomo, ma il suo intervento merita un ulteriore approfondimento che farò in un secondo momento. A dopo. Antonio
un atomo🙂 Così anche a te i libri rimangono dentro per giorni… Ricordo che intorno ai 14 anni ho letto La montagna incantata, un libro che è stato importante per la formazione del mio mondo interiore, come ricorderai l’azione è svolta in un sanatorio e a pensarci credo sia un miracolo che non mi sia ammalata di tisi 🙂 🙂
Antonio BarbatoAhahahahah :):):):), cara Atomo……Io, invece, leggevo il Corvo di Poe ed i poeti maledetti ed ero ammalato dello spleen di…Napolì……Tornando al libro ed al personaggio di Amaranta non posso fare a meno di notare che lei è completamente vittima dell’Insoddisfazione. La sua somiglianza con analoghi personaggi negativi (ad esempio, la cugina Bette di Balzac) è evidente, ma il suo desiderio da Quattro è così forte che alla fine la sua storia interiore è quella tipica della lotta fra la vergogna e la concupiscenza, il tutto senza, come è ovvio per un Quattro, trovare un vero sollievo. La Speranza non è per un Quattro un elemento come un altro, ma è un misto di Ideale e di Trascendente, che tiene unito come un potente gluone tutta la struttura caratteriale. Ho spesso definito questo tratto come la Sindrome da Calimero e credo che la metafora sia molto corretta. Sarebbe troppo lungo qui mettersi a spiegare in dettagli cosa questo implichi ma, credo, che molte delle parole di Atomo permettano di intuire il senso profondo della cosa.
Antonio BarbatoVediamo qualche ulteriore tipo caratteriale piuttosto evidente del romanzo. I Nove sono ben rappresentati come i Due, i Cinque, i Sette ed i Sei (di tutti e tre i sottotipi), mentre è interessante notare che l’unico personaggio del tipo Tre è uno straniero, un maestro di danza italiano delicato e narciso, quasi a sottolineare che quelle caratteristiche sono aliene nel mondo duro e macho di Macondo. La cosa che nella rilettura mi ha colpito di più è la profondità delle descrizioni caratteriale che mi era sfuggita nelle precedenti riletture (ante conoscenza dello EdT), e che mi ha permesso di capire che Pasolini aveva torto quando disprezzava il romanzo a causa della scarsa capacità di descrizione psicologica dei personaggi. Possiamo dividere i personaggi per generazione, per rendere più facile la comprensione a coloro che si avvicinano al libro, e cercare di capirne il tipo. Nella prima generazione Ursula è un Uno evidentissimo e perfettamente descritto, mentre il primo Josè Arcadio è un Sei controfobico con ali piuttosto evidenti. Apollinar Moscote, debole cerimoniale, conservatore, a me sembra un Sei fobico, piuttosto che un Nove, come vorrebbe l’amico Fernando Uribe. Concordo, invece, che Melquìades sia un Sette simile alla protagonista di Chocolate.
CarlaSì anche secondo me don Apolinar Moscote è un Sei fobico piuttosto evidente. Concordo anche su Melquiades che, come prima impressione, sembrava uin Sette anche a me. Su Pietro Crespi, in effetti, sono stata in dubbio se interpretarlo come Tre o come Due. Avevo notato la sua attività, la sua energia nell’aggiustare la pianola, nel fare in modo che tutto fosse “perfetto” per i ricevimenti, la sua ricercatezza nel vestire etc. ma poi, quando si è addirittura ucciso dopo il rifiuto di Amaranta, l’atto del suicidio per delusione d’amore mi è sembrato più nelle corde del Due che del Tre. Quindi, secondo voi, il Due sarebbe la povera Rebeca? Eppure a me tutta l’aura di “desolazione” che circonda il suopersonaggio, che muore in posizione fetale e succhiandosi il dito, sembra tanto comunicare una desolazione interiore da Nove…La sua passionalità, dice Antonio…. ma la passionalità non può essere anche del Nove, seppure negata e sopita, come tutta l’emotività del Nove?
Caro Antonio, spero che ci darai una risposta, alla fine, sull’interpretazione completa di Fernando Uribe e sulla tua. Ciao, Carla
Antonio BarbatoCara Carla, io cerco di mantenere viva la discussione evitando di esprimermi troppo presto, anche per evitare che le mie impressioni su un personaggio siano accettate senza discutere. In questo caso ho una certa convergenza con Fernando che da la seguente classificazione Josè Arcadio (padre) 6 Ursula 1 Josè Arcadio (figlio) 8 Amaranta 4 Rebeca 2 Melquiades 5 Crespi 3 Aureliano Secondo 7 e Apolinnar Moscote 9. Concordo con quasi tutte le indicazioni tranne due. Rebeca è, secondo me, veramente un Due proprio per molte delle sue manifestazioni da bambina che fa i capricci e, soprattutto, per la sua seduttività decisamente attiva che la differenzia totalmente dal Nove nel quale predomina molto di più la fantasticheria seduttiva (per colpa, ovviamente, della Pigrizia). Crespi è un plausibile Tre sia per il troppo attenersi alle immagini sociali sia perchè non regge al secondo rifiuto di Amaranta che vive come un fallimento.
Antonio BarbatoRiprendo un tema che aveva sollevato Tecla/Atomo, perché ho visto che davvero i punti di vista su chi sia il personale centrale del libro, tendono ad essere diversissimi. Io avevo sempre creduto che il personaggio centrale fosse Aureliano Buendìa e che fosse lapalissiano che gli altri erano solo comparse, ed, invece, con mio grande stupore, ho sentito dire da altri che l’unico personaggio che contava davvero era Josè Arcadio, altri affermare che il centro dell’attenzione sta nel contrasto fra gli uomini della famiglia, passeggeri, distratti, elusivi, quasi effimeri, e la costanza profonda e immodificabile delle femmine che riempiono delle loro guerre sotterranee le pagine molto più di quelle aperte dei maschi. Altri ancora sottolineano che, in realtà, solo l’ultimo Aureliano è il vero perno della storia perché ne è il riassunto, il fine e lo scioglimento. Insomma, Cent’Anni risulta ancora e sempre una trapunta di stelle tropicali che affascina chiunque alzi lo sguardo verso il suo cielo.
Carla BasagniA proposito di questo, mi hai fatto venire in mente Alejandro Jodorowsky che scrive da qualche parte che il tema centrale di questo libro è la ciclicità dei “destini” individuali in rapporto alle “mitologie” familiari. Credo che tu conosca qualche testo di Jodorowski e forse sai che lui insiste molto sull’influenza, spesso venefica, che i “miti familiari” hanno sullo sviluppo delle personalità individuali. Spesso quest’influenza parte proprio dal nome. Ad esempio ti chiamano come il nonno, e poi ti ripetono sempre quello che è capitato al nonno nel corso della sua vita, fino a “spingerti”, in certo qual modo ad essere tu stesso una sorta di riproposizione del nonno. Questo in effetti succede nel romanzo di Marquez. dove ci si apetta che tutti gli “Aueliano” siano solitari, tenaci ed introversi, mentre tutti i “José Arcadio” dovrebbero essere esuberanti, vitali ed amanti della compagnia.
Antonio BarbatoCara Carla, la scelta del nome di un nascituro è, forse, il primo campo di battaglia sul quale si scontrano le diverse aspettative dei genitori riguardo al figlio. Nei seminari sulla Ferita Originaria è uno dei primi lavori che faccio fare ai partecipanti, con l’intendo di rivolgere l’attenzione proprio ai significati impliciti che sono stati proiettati dai genitori con la scelta di quello specifico nome. I latini affermavano che in nomen omen, intendendo sottolineare che il nome che ci viene affibiato determina, in qualche modo, anche la prospettiva con la quale è stato visto il nostro destino, l’augurio (o la maledizione, come suggeriva Berne) che ci accompagna. Pensa, ad esempio, alla madre di Saddam Hussein che, abbandonata dal padre prima della nascita del figlio, gli da questo nome che significa “l’intrepido, colui che valorosamente affronta”, ma anche “colui che reca sventura” e si capirà molto del suo destino.
CarlaSì, immaginavo che la “psicogenealogia”, come la chiama Jodorowski, ti fosse ben nota. Bello e direi impressionante il riferimento che fai a proposito di Saddam Hussein.
Vorrei comunque riportare l’attenzione su Cent’anni di solitudine. Mi sembra che l’osservazione di Alejandro Jodorowski, che ho riferito sopra, sia particolarmente azzeccata. In fondo, lo stesso Marquez, quando parla di Ursula e del modo in cui le sembrava scorresse il tempo a Macondo, ci dice che il tempo non scorreva in modo “rettilineo”, ma quasi “ciclico”, intendendo i ritorno continuo di caratteri e destini nella stessa famiglia, che passavano da nonni e padri a figli e nipoti. Credo di aver letto questa interpretazione di Jodorowski nell’ultimo libro pubblicato da Claudio Naranjo, quello sulla Gestalt. Naranjo non ci si sofferma molto, lo dice e passa subito ad altro, ma credo che la condivida. Naranjo e Jodorowski sono ambedue cileni e conoscono profondamente il mondo descritto da Marquez. Forse questo può aiutarli a vedere il romanzo nella giusta luce.
Marina PieriniIn effetti il tema del mito familiare che si ripete in forma attiva o passiva è un tema affrontato decisamente anche nell’approccio sistemico. Insomma ne parlano in molti perchè è una cosa che capita di frequente, fino a quando qualcuno non riesce finalmente a spezzare il “ciclo” per vivere fuori dallo schema familiare…
Antonio BarbatoCara Carla, non vorrei apparire quello che parla pro domo sua, ma il lavoro che io propongo sul nome è diverso dall’analisi che, nella definizione di Jadorowsky è la psicogenealogia. Io lavoro col metodo di Steinbacher sul genogramma familiare. Nel lavoro sul nome faccio esaminare in primo luogo le relazioni con l’ambiente familiare implicite nella scelta del nome. Lo ha scelto il padre? Lo ha scelto la madre? E’ un nome di continuità con l’ambiente o di rottura? E’ un nome che reca un’insegna intellettuale (del tipo Nike, Smilla, Otero) o di moda (Belen, Moira, Giselle)? E’ un nome modesto (Mansueto, Tranquillo, Pio) o, all’opposto, un augurio di splendore (Magnifico, Alessandro, Augusto). Significati impliciti, appunti, come nel caso di Saddam, che vogliono dire tanto sul futuro sviluppo del bambino.
CarlaHai fatto bene a puntualizzare, e’ un bellissimo spunto di analisi, fra l’altro. Io ho parlato di Alejandro Jodorowski solo perchè ho conosciuto l’importanza dei “miti” familiari dai suoi libri e non per aver fatto seminari specifici sul tema
Leonessa in gabbiail vostro affanno sui personaggi di cent anni di…miha incuriosita atal punto che sono corsa a comprare il libro aparte la gran confusione alle prime pagine dei nomi che si ripetono di contnuo mi piace e condivido l’analisi degli enneatipi perche rebeca ammazza il marito se tutti edue sono soddisfatti del rapporto e meme un quattro che soccombe aalla madre non posso continuare alla prossima l’intento e di riaprire il dibattito ciaooo
CarlaCara Leonessa, sono contenta che almeno questi dibattiti sugli enneatipi facciano conoscere la bella letteratura.
Caio, Carla
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