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“Corsia all’ospedale di Arles”

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Questo argomento contiene 1 risposta, ha 2 partecipanti, ed è stato aggiornato da  Fatimiade 11 anni, 11 mesi fa.

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  • #8373 Risposta

    La pazzia, rappresenta per me un fenomeno molto doloroso…non riesco a parlarne in maniera oggettiva e distaccata. Sarà perché ha segnato la storia della mia famiglia, sarà perché conosco nel profondo il confine labile che c’è tra il dentro ed il fuori, sarà perché ho sulla mia pelle il dolore di vivere in una dimensione non compresa…sarà per tutte queste cose assieme che questo quadro mi ha generato nausea.
    Solo leggendo il commento di Antonella, sono riuscita ad avvicinarmene, riuscendo a guardarlo con occhi più distanti e meno coinvolti.
    Pur conoscendo per sommi capi la biografia di Van Gogh, non conoscevo questo quadro, e se di quelli invece osservati ed ovviamente ammirati, mi era rimasta una sensazione di tragedia viva, di pathos energico, attivo, “Corsia all’ospedale di Arles” mi ha rimandato un’idea di passività, di tristezza non vista prima. In genere gli ospedali psichiatrici sono molto meno asettici e “vuoti” di questo rappresentato, manca appunto la pazzia, quel caos, quellla forza inaspettata e tristemente sedata che alberga in luoghi del genere.
    Proprio quest’estate ammirando alcuni quadri del pittore, avvicinandomi ad essi , ed osservandone la pennellata di sbieco, ne avevo riconosciuto la forza e l’intensità, quasi ad essere un quadro tridimensionale, il cui spessore dava il senso di profondità dell’abisso che abitava l’autore. Ho pensato…che genio..e quanto avrà dovuto soffrire per generare tale intensità!
    In Van Gogh sento il ribollio del 4…che se in genere mi sembrava essere sessuale, in questo quadro mi appare come negatore…distaccato da ciò che osserva. O meglio tragicamente accomunato dalla disgrazia degli altri degenti, ma comunque al di sopra, quasi come se gli altri non potessero capire il suo tragico malessere, assopiti ed estraniati dall’ambiente e da loro stessi.
    L’arte sembra appunto segnare quella differenza tra lui e gli altri. Linguaggio degli incompresi, ancora di salvezza in un mondo che parla un’altra lingua.

    #8717 Risposta

    Fatimiade

    Questo quadro evoca in me un grande dolore. Un momento di grande vuoto nella mia vita per la perdita, per la seconda volta, di una persona a me molto cara. Vedo un ospedale, pazienti che occupano lo stesso spazio, ma restano nella propria triste solitudine. Ognuno inerme e rassegnato al proprio destino. Nessuno si muove o reagisce. L\’unico modo per avere calore è una stufa. Per alcuni nemmeno quella. Un ambiente asettico, senza nomi né numeri, come faceva osservare Antonella. Dove quasi niente vale a niente. Però, se si osserva bene fino in fondo, laggiù, al centro del quadro, una speranza c\’è. Una via di uscita che appare lontano. Ma che ciascuno può rendere vicina se solo decidesse di muoversi, andare verso, amare veramente sé stesso. Io sono uscita dal mio momento buio solamente quando ho scelto di vivere senza essere sempre e solo autoassorbita da me stessa. Ho cominciato a guardare gli altri, tutti quelli che mi amavano e che dal mio buio non riuscivo più a vedere. Con l\’aiuto di una persona è stato piuttosto facile, col tempo, riappropriarmi della mia vita e sorridere di nuovo come prima, con un tesoro in più dentro di me. Grazie Lino!

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