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Essenza enneagramma

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  • #682 Risposta

    Roberto Maieron

    L’ ESSENZA NELL’ENNEAGRAMMA

    Esistono in commercio molti libri che parlano dell’enneagramma. Ogni autore in un certo qual modo appartiene ad una “scuola”, ad un indirizzo interpretativo e presenta secondo quell’impostazione e quella visione i concetti fondamentali sviluppandoli secondo un’idea che altri più o meno condividono.
    Che sia l’universo dell’enneagramma secondo la PNL, che sia secondo quella di Naranjo, che sia quella dei Gesuiti/Religiosi o dei singoli studiosi che arricchiscono continuamente questa materia di nuove osservazioni, di nuove conoscenze o di nuove modalità interpretative (questo naturalmente non senza suscitare polemiche e discussioni a non finire) una cosa comunque è acclarata: tutti i divulgatori parlano dell’enneagramma del carattere/falsa personalità/ego. Nessuno parla dell’Essenza.
    Il solo Almaas ha pubblicato un testo completo dedicato all’Essenza, spiegando la nascita dei caratteri non dal punto di vista dell’ego, ma dal punto di vista dell’Essenza. Tuttavia anche lui non chiarisce che cos’è l’Essenza, benché in realtà esponga in modo indiretto tutta la conoscenza che la riguarda.

    L’assenza di testi che parlino dell’Essenza in modo chiaro e diretto a mio avviso è una carenza molto grave.
    Lo è ancora di più per il seguente motivo: tutti gli appassionati che hanno una visione utilitaristica e pratica dell’ enneagramma, e che non hanno la pretesa di diventarne studiosi d’eccellenza, mi sembra che non abbiano compreso gli assunti di base dell’Enneagramma e che operino con degli equivoci di fondo che minano alla base il loro intento d’adoperare gli strumenti messi a disposizione dall’enneagramma per il conseguimento dei loro obiettivi.
    Il concetto chiave dell’enneagramma è: l’uomo NON è il suo carattere. L’Uomo NON è la sua personalità. Conosco molte persone che, dopo aver conosciuto l’enneagramma, e averlo anche studiato a fondo per anni, si relazionano con le personalità, gli ego degli altri esseri umani e non si relazionano con l’Essenza, ossia con gli esseri umani. Sembra che l’Enneagramma faccia in generale più male che bene. Se io mi relaziono con un qualcosa dell’altro essere umano che non è vero (il suo ego, la sua personalità, il suo carattere), e non veramente con lui, egli lo sentirà, pur non avendone consapevolezza. Quindi io non avrò veramente una relazione con lui. La cosa più probabile e facile che accada (e accade praticamente sempre) è che il mio ego/personalità/carattere con il quale in realtà mi identifico (ancora di più dopo aver studiato l’enneagramma) si relazioni con l’ego/personalità/carattere dell’altro essere umano. Saranno allora due identità, due fantasmi, due maschere a relazionarsi tra loro, con tutti i meccanismi e gli automatismi del caso (diventati ovviamente molto più sofisticati e molto meno percettibili di prima, dato che ho “lavorato” su me stesso).
    “Lavorare” su se stessi e sulla propria personalità presuppone l’intento di migliorare, di cambiare, di modificare qualcosa. Presuppone la volontà di uscire da una condizione esistenziale di insoddisfazione per cercarne un’altra di soddisfazione. E’ il vecchio gioco di cercare di abbandonare un’identità per trovarne una migliore. E’ l’intento di abbandonare un Ego che non piace per assumerne un altro molto più gradevole e affascinante, di grande utilità personale e – per perpetuare meglio questo passaggio – ci si convince che quello che si ha in vista sia l’Essenza. In realtà non cambia nulla e il cambiamento è solo un autoinganno, un autoillusione. Si sostituisce una personalità con un’altra. Un vestito ormai fuori moda, fuori stagione, fuori taglia, usurato, con un altro che sembra calzarci a pennello, bellissimo e apprezzatissimo.
    Il più delle volte poi l’intento di fare questa operazione rimane solo un intento o si ottiene una qualche brutta copia di questo vestito che si sogna, si desidera e che – nell’enneagramma – si immagina come l’Essenza o qualcosa che le è molto vicino.
    E’ tutto da ridere. Si vuole abbandonare un Ego che non piace più, scomodo, ingombrante per volere un altro Ego, molto più affascinante.

    Per farmi capire meglio voglio tentare di spiegare che cos’è l’Essenza e che cos’è in realtà l’Ego.
    Nella trasmissione orale sulla nascita dell’ego viene spesso raccontata la storia di un Re che, venuto a conoscenza dei nemici che volevano ucciderlo, per proteggersi, decide di erigere davanti a sé un muro compatto, privo di varchi, poi altri due muri ai lati, poi uno alle sue spalle e quindi sopra la sua testa. In tal modo, per difendersi, diventa prigioniero di se stesso. In questa metafora si vorrebbe spiegare la nascita dell’Ego. L’Enneagramma allora appare come lo strumento per abbattere questa struttura di cui gli esseri umani sono prigionieri. Infatti si dice: come noi abbiamo eretto questi muri difensivi (che vanno a costituire il carattere, la personalità, l’ego) così noi possiamo abbatterli. Anzi, solo noi possiamo abbatterli.
    In questa metafora c’è un errore di fondo che comporta un terribile equivoco.
    L’equivoco di credere che, abbattute queste mura, ci troveremo con una splendida Essenza da sfoggiare di fronte a tutto il mondo. Ossia c’è in realtà il terribile equivoco di credere che un Ego disfunzionale nasconda, ricopra, occulti, isoli, un Ego totalmente funzionale. Quasi tutti gli appassionati dell’Enneagramma vivono in questo terribile equivoco, e rincorrono questo Ego meraviglioso, che spacciano di fronte a se stessi e di fronte agli altri come Essenza. Per avere questo Ego/essenza fantastico ecco che parlano di “fare” delle cose, che è “giusto” agire “così e non cosà”, che “bisogna prendere coscienza”, che “bisogna meditare”, che bisogna impegnarsi insomma per “migliorare”, “progredire”, “conoscere”, “realizzare”, “imparare ad amare”, “imparare ad accettarsi”, “entrare maggiormente in contatto con sé”, ecc. ecc. In definitiva vivono in nome di un cumulo di sciocchezze, di una montagna di stupidaggini. Una serie di credenze e di convincimenti che stravolgono completamente il vero valore dell’Enneagramma e che lo svuotano di ogni possibilità operativa. Sono ciechi che hanno sentito parlare della vista (mentre la maggior parte dell’umanità vive la cecità nella totale inconsapevolezza; e il fatto di avere avuto notizia della loro cecità tra l’altro fa sentire costoro superiori a tutti gli altri esseri umani) e credono che, sforzandosi, potranno vedere.
    E così immaginano di vedere, quando in realtà continuano ad essere dei ciechi.

    Insomma non solo restano ciechi (come tutti gli altri), ma rispetto agli altri vivono una bugia più grande. Il loro sentimento di superiorità mi fa ridere allora. Su una cosa hanno ragione: non sono come gli altri ciechi. Sono in una condizione esistenziale peggiore. Sono degli emeriti imbecilli. (Lo posso dire con cognizione di causa perché sono stato imbecille per tanto tempo anch’io e spesso ho il dubbio di esserlo ancora).
    Qual è l’errore, l’equivoco allora? Chi è, che cosa è che rimane se si abbattono tutti i muri difensivi? La metafora è sbagliata. E’ profondamente sbagliata. Purtroppo mi rendo anche conto della difficoltà di presentare la nascita dell’Ego e questa metafora del re che erige attorno e sopra di sé una difesa è la cosa più vicina a dare una spiegazione sensata. Ma è sbagliata.
    Qual è l’errore? L’errore è credere che ci sia “qualcuno” che si difenda. L’Errore è credere che ci sia una “identità” ossia una personalità/ego che si difenda. La personalità nasce con la costruzione difensiva, non prima. Quindi in realtà non c’è un’”identità”, non c’è un “qualcuno”, un “chi” o un “che cosa” prima che venga eretta la difesa.
    L’Ego è una struttura difensiva. L’identità è una struttura difensiva. Se cadono tutte le difese non rimane nessuno. Ecco la verità. SE cadono tutte le strutture difensive non rimane nulla, qualcosa che non è qualcosa, di informe, di senza senso e senza valore (non nel senso di insensato o di privo di valore si badi bene!). E’ qualcosa è autenticamente e veramente libero e privo di qualsiasi tipo di identità.
    Per questo combattere l’ Ego significa in realtà rafforzarlo. Perché si alimenta qualcosa che esiste solo ed unicamente come struttura difensiva.
    Dentro la costruzione non c’è nulla, non c’è nessuno. La verità di se stessi è la perdita di se stessi. E’ la perdita di qualsiasi tipo di verità.
    (fine prima parte- ce ne sono diverse altre)

    #6291 Risposta

    Roberto Maieron

    Un’altra metafora famosa che circola negli ambienti dell’enneagramma è quella utilizzata da Gurdjieff. Il famoso mistico e teosofo così descrive l’essere umano:
    la carrozza, che corrisponde al corpo. I cavalli, che rappresentano le emozioni. Il cocchiere, che costituisce la ragione. Nell’immagine della carrozza trainata dai cavalli guidati da un cocchiere abbiamo l’evidente rappresentazione dell’essere umano quale entità fisica/emotiva/mentale. All’interno della carrozza vi è un passeggero. Il passeggero dovrebbe essere l’Essenza. Questo aspetto della metafora è ingannevole. Forse è anche sbagliato, ma è certamente ingannevole.
    L’inganno consiste di nuovo nel rappresentare l’Essenza come un’entità. L’Essenza non è in realtà un’entità. E’ una non-entità. Esiste un Essenza? Se dico di no dico una cosa palesemente sbagliata. E’ indubbio che esiste una verità più profonda dell’essere umano e che l’essere umano si è separato da se stesso, sviluppando un falso Io, una falsa personalità, un carattere. Ma se dico di sì, e sostengo l’esistenza di un’entità che evidentemente, esistendo (entità e la sostantivazione del participio presente del verbo essere “ente”=”che esiste”, e si riferisce a qualcosa che è, qualcosa che esiste), e – poichè esiste, in forza di questo “esserci”, deve avere delle caratteristiche e deve avere qualcosa che la fa “essere”, incorro nell’errore opposto e affermo una cosa ugualmente sbagliata.
    Leggendo con attenzione quanto dice Gurdjieff ho il forte dubbio che egli abbia utilizzato questa metafora non perché non ne abbia trovata una migliore, ma perché
    sia realmente convinto che questo tipo di metafora rappresenti in modo efficace la Verità dell’essere umano. SE è così egli commette un errore, dice una cosa profondamente sbagliata. Se ho ben inteso il suo punto di vista, egli confonde l’Essenza con la “consapevolezza”, ossia con un livello di coscienza molto profondo, dove non vi è più mente. Si tratta di un errore – se è tale – dovuto al naturale percorso evolutivo di ogni ricercatore di Verità. Dopo aver scoperto di non essere il proprio corpo, di non essere le proprie emozioni, di non essere la propria mente, pian pianino il ricercatore si sente spinto ad aderire all’unica cosa che gli rimane: la consapevolezza, ossia la coscienza. La coscienza di sé, pura. In realtà questo livello, già estremamente difficile da conseguire, costituisce per il Ricercatore sia una tappa che un ostacolo enorme al passo successivo. Non è il traguardo. Vi è qualcosa che origina questa pura consapevolezza e a quella fonte bisogna rivolgersi per giungere all’Essenza. Nella metafora della fortezza che il re costruisce attorno a sé per difesa vi è l’errore di individuare qualcuno o qualcosa che si difende, quando in realtà non c’è nessuno che si difenda. Se smantelliamo la costruzione difensiva non troviamo nulla. L’Essenza non è “qualcosa” o “qualcuno”. Ugualmente, se riuscissimo a guardare dentro la carrozza di Gurdjeff avremmo la bella sorpresa di trovare che la carrozza è completamente vuota, al suo interno non c’è nessuno. Non c’è nessun passeggero. Le persone che utilizzano l’enneagramma come una ricerca spirituale e non come un’occasione per disporre di strumenti per trovare un po’ di sollievo da una vita fatta di difficoltà relazionali e di dolore, sono – da quello che ho visto – completamente coinvolte nell’errore della ricerca di “qualcosa”. In passato ho fatto anch’io un percorso con delle esperienze straordinarie e avevo la sensazione di essere un privilegiato. Sentivo che Dio mi aveva prescelto. Sentivo che Dio mi chiamava e mi dava dei doni che andavano al di là di tutte le mie aspettative. Mi sentivo un eletto, uno dei pochi. Sentivo sviluppare in me un sentimento di compassione e di amore verso l’altro essere umano. In realtà non era vero. Stavo solo sviluppando il mio Ego, a dismisura, e utilizzavo le esperienze che facevo per separarmi ancora di più dagli altri esseri umani. Quando ho visto persone che parlavano come parlavo io, che si atteggiavano come mi atteggiavo io, ho capito che in realtà in loro vi era un profondo disprezzo dell’altro essere umano. Perché loro erano “evoluti” spiritualmente e in loro vi era l’idea che l’altro essere umano era solo un essere privo di consapevolezza che viveva in modo meccanico ed automatico. Ho visto in questi “evoluti” me stesso. Capivo che anch’io ero così. Ne ho provato un grande disgusto e vergogna. Per questo quando vedo persone simili mi viene in mente il pensiero: “che razza di imbecilli!”. Lo sto dicendo anche a me stesso. Per questo quando Antonio condanna certi atteggiamenti di questi esseri superiori sento di aderire completamente a quanto dice.
    “Migliorare”, “progredire”, “evolversi” sono il pane dei ricercatori della Verità di se stessi. In realtà non c’è né da “migliorare” né da “evolversi”. Perché l’oggetto della ricerca non esiste. Non esiste alcun Re prigioniero, non esiste alcun passeggero nella carrozza, non esiste alcuna entità da liberare.
    Personalmente preferisco le persone che utilizzano l’enneagramma per vivere meglio nella pratica della vita. Per trarne sollievo e risolvere le loro difficoltà. Mi sembrano più vere. Tra l’altro, senza che lo sappiano, sono sul vero sentiero spirituale, mentre quelli che veramente hanno deviato sono gli altri, quelli “spirituali” ed “evoluti”, che non sanno che sarà lo stesso percorso spirituale dell’enneagramma a spingerli a negare l’enneagramma stesso. Ma saranno disposti a farlo?

    A questo punto emerge un’altra questione. Se questa Essenza non esiste, ma nel contempo c’è questa sensazione di essere separati da se stessi (e un 4 e un 5 la conoscono bene) che cos’è realmente effettivamente questa cosa qua che viene chiamata Essenza? Non ci sarà un re prigioniero, ma la prigione esiste, è indubbio.
    Non ci sarà un passeggero, ma la carrozza con cavalli e cocchiere è reale, è innegabile. E allora?
    Su questa questione il mio prossimo intervento.

    #6292 Risposta

    Carla Basagni

    perchè sei cosi sicuro che debba esserci un “vuoto”? Non potrebbe esserci un “pieno”?
    Ciao, Carla

    #6293 Risposta

    Maurizio

    Il tuo discorso fila se preso così com’è; ma il punto è che, come dice carla, parti dall’assunto che nessuno costruisca l’impalcatura difensiva e dai per scontato che dentro quelle 5 mura non ci sia nessuno ed è chiaro…ripeto…ma, la domanda allora che potrei porti è: chi è o cos’è che mette in piedi quest’impalcatura difensiva? e che funzionalità ha? serve o non serve l’ego?

    #6294 Risposta

    Roberto Maieron

    Prima di proseguire voglio chiarire che non ho mai parlato di “vuoto”. Ho detto che non c’è nessun prigioniero e nessun passeggero. Ossia non vi è alcuna entità. La prigione è vuota, come la carrozza è vuota. L’essenza non è il vuoto. E’ qualcos’altro. Non e’ neppure il “pieno”. Sul resto uno di questi giorni continuo, un po’ alla volta.

    #6295 Risposta

    Roberto Maieron

    Per spiegare da parte mia in modo minimamente comprensibile come è possibile che ci sia una prigione senza un prigioniero e una carrozza senza un passeggero corre in mio aiuto un’altra metafora utilizzata nell’universo dell’enneagramma. La metafora del bastone a due capi utilizzata dallo stesso Gurdijeff. Il bastone, che ha due capi, permette di comprendere come qualcosa sia duale ma nello stesso tempo unitario.
    L’unità nella dualità. E’ un concetto molto difficile da afferrare e non ho mai sentito nella mia vita una metafora migliore del bastone a due capi che possa spiegare come gli opposti siano l’espressione della stessa cosa. E’ una metafora comunque sbagliata, perché comunque costituisce una concettualizzazione. Ma una metafora migliore sinceramente non l’ho mai incontrata.
    In questi miei interventi sto cercando pian pianino di portare chi mi legge a comprendere che cosa sia l’essenza. L’essenza, come detto, non è qualcosa o qualcuno, non è un’entità, non possiede caratteristiche individuabili, non è in alcun modo definibile. Se cercassi di definire l’Essenza commetterei degli errori evidenti per due ragioni: primo perché l’essenza non è identificabile in qualche modo, secondo perché cercherei di spiegare in termini razionali qualcosa che non ha nulla a che fare con la ragione. Per questo io posso solo portare le persone il più vicino possibile a cercare di afferrare il senso dell’essenza in modo intuitivo. Questo processo intuitivo non posso né predeterminarlo né prevederlo. Posso solo fornire delle suggestioni, dare delle indicazioni che possano condurre la persona in uno stato dove si possa verificare un “salto” intuitivo, dove si possa realizzare una comprensione profonda nella quale avvertire il contatto/conoscere l’essenza. Nel caso si possa realizzare questa cosa ,questo contatto con la verità più profonda di se stessi la conseguenza inevitabile – e bene conoscono questa condizione chiunque abbia avuto questo tipo di esperienza – è la totale incapacità e impossibilità di spiegarla.
    Per questo, chiunque parli della verità più profonda dell’uomo, che l’enneagramma definisce come essenza, tende a spiegarla dicendo che cosa non è. Se dico che cosa non è, se escludo tutto quello che non è essenza, quello che rimane è la verità.
    Il bastone a due capi, l’unità nella dualità, gli opposti che in realtà sono compresenti e costituiscono un’unica cosa, è la metafora che utilizzo per spiegare il rapporto prigione/prigioniero, carrozza/passeggero. Ossia ego/essenza.
    L’ego è uno dei capi del bastone. All’altro capo, opposto, vi è l’essenza. L’ego esiste. E’ molto reale tanto da avere una sua espressione fisica, emotiva, mentale.
    L’essenza non esiste. C’è, perché ne avvertiamo l’esistenza, ma non esiste. Quando dico che non esiste in realtà dovrei dire che la sua è una non-esistenza. Una sorta di esistenza in negativo, un qualcosa che esiste ma in realtà non esiste. Non c’è niente, al contrario dell’ego che possa indicare la sua esistenza. E come se ad un capo del bastone ci fosse l’ego e , cercando di andare all’altro di capo del bastone, non si trovasse niente, come se non ci fosse nulla. Come se avessimo a nostra disposizione un bastone che sembra avere un solo capo. Nessuna traccia dell’altro capo.
    Come conoscere allora l’essenza? E’ semplice. Bisogna conoscere l’Ego. Che cos’è l’ego realmente. L’essenza manifesta la sua assenza (e quindi la sua esistenza) nell’ego e studiando l’ego è possibile giungere a conoscere l’essenza. L’ego è lo strumento conoscitivo dell’essenza. Attraverso la conoscenza della reale natura dell’ego è possibile conoscere l’altro capo del bastone, l’essenza.
    Detto in un altro modo, valutando le metafore precedenti, se l’ego nasconde in sé l’essenza, è nella prigione che si può trovare il prigioniero. Il prigioniero e la prigione sono così indissolubilmente legati, fusi insieme, che è difficile riuscire a distinguerli e a separarli. Anche nella carrozza il passeggero è fuso con la carrozza e tutte le sue parti. Qual è allora la vera natura dell’ego? Che cos’è veramente l’ego? Come è possibile che distinguere ciò che ego e ciò che è essenza?
    A questo nuovo punto comincerò a rispondere (è una risposta molto lunga ed articolata, sarà molto impegnativo per me cercare di essere comprensibile e di semplificare il più possibile) nel prossimo intervento.

    #6296 Risposta

    Maurizio

    Scusami roberto se mi permetto……..la possibile causa di tutti gli apparenti errori del post che posti può derivare dal fatto che scrivi prima in word e poi copi il tutto nell’apposito spazio “messaggio”. In questo modo tutti gli apostrofi e lettere accentate vengono “distorte”.
    Prova, se è così come penso, a scrivere sul “blocco note” ( percorso= start-programmi-accessori-blocco note) creando in tal modo un file .txt che non dovrebbe dare problemi. Se non è così …… ho preso una cantonata’. Ciao!

    #6297 Risposta

    Utente Ospite

    Hai ragione MAurizio. Nessuna cantonata. Prima scrivo in word, poi copio sul messaggio. Sinceramente non so fare diversamente. Ora accolgo con grande piacere il tuo invito e la tua indicazione e ti ringrazio moltissimo. Sono un pessimo conoscitore del computer e dal prossimo post scriverò prima sul blocco note. INtanto metto quello che ho scritto poco fa.
    Credo sia preferibile, per continuare nell’esposizione di questo argomento, procedere per gradi e per passaggi. Se dicessi in modo estremamente sintetico (come mi verrebbe spontaneo fare) credo che il senso delle mie parole verrebbe completamente stravolto. In ogni caso in questi miei interventi vi è comunque un’interpretazione di quello che dico da parte di ogni lettore, perché la parola viene sempre interpretata, ma perlomeno, spiegandomi in modo più diffuso, limito parzialmente l’ampiezza interpretativa. Anche queste pagine che pian pianino vengono a delinearsi costituiscono in verità una sintesi e possono risultare poco comprensibili, ma – per usare un’espressione da cinque – ho poco tempo e man mano che scrivo il mio desiderio di comunicare quello che penso – inizialmente molto forte, direi prepotente – è meno intenso.
    Torniamo alla questione. Ego ed Essenza fusi assieme, dicevo.

    LA prigione e il prigioniero sono intrecciati insieme, in un connubio inestricabile.
    La carrozza/cavalli/cocchiere e il passeggero sono come fusi insieme.
    SE smonto le varie componenti della prigione non trovo niente. Se smonto le varie componenti della carrozza/cocchiere/cavalli non trovo niente. Solo pezzi di prigione , solo pezzi di cocchiere/cavallo/carrozza. Solo ego, smontato e analizzato in tutte le sue parti. Nessuna traccia dell’Essenza. Ma dov’è?
    Bisogna analizzare che cos’è l’Ego. Ora introduco un concetto nuovo, che è una sorta di chiave che consente di comprendere che tipo di percorso intraprendere per stanare l’Essenza. Il concetto nuovo è quello che esistono diversi livelli di verità.
    Una verità è sempre una verità, ed è indiscutibile. Ma dietro una verità ci può essere un’altra verità. Una verità celata dalla verità. Faccio un esempio: se io dico che il sole sorge ad Est e tramonta ad Ovest dico una cosa vera, sotto gli occhi di tutti. Però, se studio meglio la cosa, scopro che in realtà non è il sole che si sposta da est verso ovest ma è il pianeta Terra che ruotando su se stesso mi dà la sensazione del movimento del sole. La prima verità è innegabile (il sole sorge ad est, tramonta ad ovest) ed anche la seconda verità è innegabile (non è il sole a muoversi ma è la terra che ruota su se stessa dando la sensazione del movimento del sole). La seconda verità mette in una nuova luce la prima verità. La prima verità non è diventata qualcosa di falso (il sole continuerà a sorgere sempre ad est e a tramontare ad ovest) , tuttavia
    studiando la prima verità con attenzione si disvela un’altra verità che pone la prima sotto un’ottica diversa.
    SE facciamo questo tipo di operazione sull’essere umano, magari su qualche emozione, possiamo fare lo stesso tipo di scoperta: dietro una verità (che rimane tale) se ne celano altre che danno un altro senso alla verità iniziale. La verità iniziale è una sorta di velo che cela altre verità. SE consideriamo la rabbia possiamo valutarla
    per tutti gli aspetti energetici/fisiologici e per le modalità con cui si manifesta. Possiamo analizzarla e studiarla (milioni di pagine di studio!) ed etichettarla: rabbia. Ma se noi, che la proviamo, aderiamo a questa rabbia e la viviamo interamente senza nasconderla né reprimerla a noi stessi (poi una persona può deciderla di liberarla all’esterno o meno, l’importante è che la viva com’è ) possiamo scoprire che dietro la rabbia c’è un’altra verità: il dolore.
    Dietro la rabbia c’è sempre dolore. La verità di questo dolore nascosto dalla rabbia
    non modifica la rabbia. Una persona può “attraversare” la sua rabbia e scoprire che al di là di essa vi è tanta sofferenza e dolore personale. Tante ferite ricevute nella vita. La rabbia si disvela ai suoi occhi come dolore. Ma la rabbia non diventa normalmente dolore. La rabbia è una cosa, il dolore un’altra cosa. Sono due verità diverse, benché una copra l’altra. Ci sono persone che vivono molto la rabbia e non immaginano neppure di provare dolore. Provate ad andare da un Otto disgregato e ditegli che comprendete il suo dolore: vi spaccherà la faccia! Egli vive la sua verità di rabbia e basta. Che è vera. Assolutamente e totalmente vera. Nel caso dell’Uno poi vi è anche il problema che la verità della rabbia è occultata ai suoi occhi. La formazione reattiva (il meccanismo di difesa dell’Uno) gli impedisce di rivelare a se stesso la sua rabbia. Se egli rispondesse a qualcuno che gli chiedesse : “Provi rabbia normalmente? Sei una persona iraconda?” Egli risponderebbe sinceramente e con verità: “no”.
    Non mente. E’ vero. Non è una menzogna. Rimane una cosa vera. Che copre un’altra verità, che dà un diverso significato alla prima verità. Ricordate il sole che sorge ad est e tramonta ad ovest? Tutti noi sappiamo che non è vero (il sole è fermo) , ma continuiamo a dirlo come se fosse una cosa vera. E crediamo alla nostra percezione.

    Se abbiamo la forza di aderire completamente al nostro dolore, e di viverlo per intero, senza modificarlo, manipolarlo, interpretarlo (solo aderendovi e vivendolo, acccendolo completamente) ecco che si può disvelare una nuova verità che dà un altro senso al dolore. Questa verità è l’amore per se stessi. Ci si vuole bene. Scoprire quello che c’è dietro al dolore è una grande conquista e un momento di passaggio importante nella propria esistenza. Potrei fare un percorso di disvelamento di tutte le emozioni. Dietro ognuna di esse si disvela una verità più profonda, che non modifica né cancella la verità sovrastante. Mi piacebbe sviluppare questo tema di quello che c’è dietro alle emozioni. Ma è un tema che esula da questo mio intervento e corro anche il rischio – se non dico cose che sono assolutamente palesi – di imbattermi in qualcuno che nega che dietro quella determinata emozione che possa considerare vi sia quello che dico. Posso imbattermi in qualcuno come l’Otto disgregato che non riesce a vedere oltre la sua rabbia, o l’Uno disgregato che non riesce a vedere oltre la propria correttezza e giustezza morale. Infatti, se per le emozioni più grossolane la verità sottostante è particolarmente evidente per chi ha un minimo di attenzione su di sé, per le emozioni più sottili ed indefinite la cosa può apparire infatti poco convincente. Il dato importante comunque è il seguente: la verità appare a strati. Ogni verità è vera, nel senso che c’è qualcuno che la crede vera. La verità presuppone sempre un punto di vista. Finchè c’è un punto di vista esiste una verità. Non esiste la verità dal punto di vista della verità, perché la verità non ha punti di vista. Quindi ogni punto di vista ha ragione. Ed ogni verità di ogni individuo è vera. Non perché è vera solo per lui, quando in realtà è falsa, ma proprio perché è vera. Lo ripeto perché sia chiaro: finchè vi è un punto di vista vi è una verità. Tutte le verità di tutte le persone vanno rispettate. Perchè è effettivamente realmente la verità. La verità assoluta non può esistere perché vi sarebbe un punto di vista. O meglio: esiste una verità assoluta, ma questa è priva del tutto di punti di vista e quindi è una verità che è una non-verità. Anche su questo dovrei dilungarmi, ma non voglio perdere di vista il mio obiettivo: scovare l’Essenza .
    Nel prossimo intervento comincio a sviluppare maggiormente questo tema della “verità a strati” e comincio ad inserire oltre al tema dell’emotività, altri temi/componenti dell’ego.
    Voglio concludere questo intervento sottolineando che tutto quello che dico è frutto di esperienza e non di deduzioni di carattere mentale. SE io dovessi parlare del gelato alla fragola perché ho letto diversi libri che ne parlano direi solo un cumulo di menzogne e di costruzioni mentali. SE invece parlassi del gelato alla fragola perché l’ho assaggiato, allora parlerei di un’esperienza e direi una verità. Così per la conoscenza dell’Essenza: ne parlo per esperienza diretta; non c’è una sola frase, un solo pensiero che sia frutto di un ragionamento. Utilizzo la mia mente per spiegare quella conoscenza diretta, quell’esperienza e non il contrario.

    #6298 Risposta

    Roberto Maieron

    Si’ scusate l’ultimo intervento era il mio. Ho omesso il mio nome.

    #6299 Risposta

    moschettiere

    Interessante argometo roberto, continua a scrivere appena puoi!

    #6300 Risposta

    Roberto Maieron

    Nel continuare il mio intervento, credo che sia comunque necessario spiegare la verità che vive ogni persona. Ho detto in precedenza che la verità è a strati e sotto una verità si disvela una nuova verità, che non modifica la prima verità (che rimane verità) ma che la pone sotto un’ottica diversa. La rabbia vista dal punto di vista della rabbia, è solo rabbia. Dietro il velo della rabbia si disvela in realtà il dolore. La rabbia allora, dal nuovo punto di vista , non è più solo rabbia, ma è dolore. La rabbia è il dolore in azione. Posso vedere una persona arrabbiata, furiosa e identificare proprio nella rabbia il dolore. Nel senso che non vedo il dolore DIETRO la rabbia, ma vedo proprio il dolore. La rabbia come manifestazione del dolore. Come se fosse la stessa cosa: il dolore si può manifestare nel pianto, nella tristezza, nell’angoscia, nel senso di abbandono, ecc. ma anche nella rabbia e nella furia cieca. Vedo cioè un’unica cosa che si manifesta in maniera diversa. Questo e’ quello che intendo quando dico che la seconda verità disvelata mette in una luce nuova la prima verità. E’ sempre la stessa cosa, solo che appare in modo diverso. Se poi vivo il dolore e vi aderisco completamente, senza modificarlo ma vivendolo completamente, posso scoprire che dietro di esso si disvela una nuova verità: l’amore di sé. Allora Quando vedo rabbia o vedo dolore, in realtà vedo solo l’amore che quella persona prova per sé. Non rimango sulla prima verità (vedo solo rabbia), né nella seconda (il dolore che si manifesta anche come rabbia ma che è solo dolore), ma nella terza verità, nel terzo disvelamento , l’amore di sé. Allora nella rabbia vedo solo amore di sé, nel dolore vedo solo amore di sé. Continuo a vedere la prima verità della rabbia e la seconda verità del dolore. Ma vedo soprattutto vedo la terza verità che mi mette le prime due verità sotto un’ottica completamente diversa.Non riesco a vedere la rabbia come rabbia o il dolore come dolore perché ho tolto il velo che copre la verità che si trova sotto di loro.
    Mi auguro di cuore di essere riuscito a far comprendere che le cose rimangono sempre le stesse, come sono sempre state, solo che , privi di ogni impedimento, si vedono e si vivono come realmente sono. Ho solo accennato alle emozioni, ma posso parlare di molte altre cose.
    C’è poi un altro punto che mi preme rimarcare, prima di proseguire. Lo ritengo indispensabile. La verità di ogni essere umano. Ogni essere umano vive una verità. Qualcuno potrebbe dire che è il suo punto di vista, che è una verità relativa, che bisogna vedere che cosa c’è dietro, ecc. Questo atteggiamento e questo tipo di pensiero è completamente sbagliato. Una verità è una verità e basta. LA rabbia non cambia se io so che è amore di sé. Rimane rabbia: nelle manifestazioni fisiche, nella sua distruttività, nelle sue caratteristiche. E’ vera, è reale. SE io dicessi a qualcuno: “no, guarda, ti sbagli, quello che vivi in realtà è solo amore di te. Lo esprimi in un modo che non sembra, ma è amore per te stesso”. Questo qualcuno non solo potrebbe non capire, ma sentirebbe che la sua verità non viene riconosciuta, che lui non è riconosciuto. E ha ragione. Perché quella che vivo io è la mia verità , che io cerco di imporre alla sua. Anch’io ho ragione. La verità che vivo è vera. Ma anche quella che vive l’altro è vera. Non sono verità in contrasto fra di loro: è sempre la stessa verità, che appare in modo diverso. Ma è la stessa, unica. Inoltre, se ipotizzo che quello che dico io è vero, o quello che dice Antonio è vero, quello che dice Marina non è vero, o quello che dice Maurizio è vero a metà, o quello che sostiene Carla è vero per certi aspetti e per altri no, non sto facendo altro che misurare la verità degli altri con la mia verità. Come se fosse possibile giungere ad acquisire una verità assoluta e possederla. Ma la verità assoluta non può avere alcun punto di vista. La verità vera è incredibile e terribile: non ha punti di vista. La verità esiste e questa verità è che non esiste. Non è un gioco di parole. Se io poi parlo da un livello di disvelamento e ritengo che il disvelamento che io ho effettuato è superiore a quello di altri, mi sto insuperbendo assurdamente perché dò una connotazione di valore a qualcosa che non ha termini di valore. Un livello di verità non è migliore o peggiore di altri. E’ sempre la verità, solo che appare in modo diverso. Inoltre, negando la verità di altri, non faccio altro che negare la mia stessa verità, che appare in maniera diversa ma è sempre la stessa. Negando la verità di qualcuno contemporaneamente nego la mia stessa verità. Nego che quello strato di bastone sia il bastone, quando anche il mio strato fa parte di quel bastone. E tutti gli strati non hanno nessuna qualità in termini di valore: non ce ne sono migliori o peggiori di altri.
    Mi auguro che quanto ho appena scritto vi possa penetrare profondamente nelle ossa, che si infiltri nelle vostre cellule e si fissi sul dna , fino a causare delle implosioni.
    Tutti sono nella verità. Nel disvelamento della verità tutti vivono un qualche suo strato che è come lo strato del bastone dell’enneagramma. E’ la verità stessa, sempre.
    Negare la verità degli altri esseri umani significa negare anche la verità di se stessi, è ovvio.
    Ritenevo necessario puntualizzare questi due aspetti. Penso che si veda bene ora dove vi sto conducendo: a vedere che cos’è veramente l’ego. A vedere i disvelamenti dell’ego. Il disvelamento dell’ego è l’Essenza stessa. L’ego e l’essenza sono la stessa identica cosa, solo che appaiono in maniera diversa. Come posso dire che l’essenza non esiste, così posso dire ugualmente che l’Ego non esiste. Potrà sembrare un assurdo, ma è vero: la cosa più reale e concreta che esiste in realtà non esiste; disvelato, l’Ego in realtà è l’Essenza. Quindi l’essenza, che non esiste, in realtà è l’unica cosa che esiste. Come è possibile?
    Nel prossimo intervento comincerò a togliere un po’ di veli a questo Ego, a disvelarlo, per giungere gradualmente fino ad afferrare l’Essenza.

    #6301 Risposta

    moschettiere

    Molto ma molto interessante quello che stai scrivendo roberto, ti sto leggendo con piacere. Continua………

    #6302 Risposta

    Maurizio

    vai roberto!!

    #6303 Risposta

    Marina Pierini

    se ho capito bene stai dicendo in primis che è un pò come quando diciamo, facendo un esempio, che se noi capiamo tutti i tipi dell’enneagramma è perchè c’è qualcosa di ciascun tipo in tutti noi. Dunque negare la posizione degli altri tipi, la loro verità, anche se parziale vista dalla mia posizione, significa negare qualcosa di me stessa. Giusto?

    #6304 Risposta

    Roberto Maieron

    Sì Marina, è ANCHE così. Scusa, ma ora continuo. Ci vorrà ancora un po’ ma voglio riuscire ad esprimere tutto quello che sento. La prigione e il prigioniero sono la stessa cosa, non sono distinti. La carrozza/cavalli/cocchiere e il passeggero sono la stessa cosa, non sono distinti.
    L’Ego e l’Essenza sono la stessa cosa. Sotto la verità più superficiale, disvelata, appare la verità più profonda. LA verità più profonda in realtà è anche la realtà più semplice, più evidente, più percepibile. Talmente evidente, talmente chiara, talmente troppo evidente, talmente ovvia che alle persone normalmente sfugge. Troppo evidente. Dico anche questo per far capire che la realtà più profonda è anche la realtà più semplice, la più facile. E’ molto più difficile la realtà che tutti noi crediamo di vivere, la realtà dell’Ego. Molto più complessa, molto più articolata. La verità è la cosa più semplice che esista. Più accessibile e facile che esista. Ma sto già uscendo dall’argomento. Rimaniamo su questo fatto che dietro la verità dell’ego vi sono strati di altre verità, e che – tolto l’ultimo velo – rinveniamo l’Essenza.
    Anche su questo argomento voglio toccare solo aspetti che sono evidenti a tutti, in modo tale che siano comprensibili i vari passaggi che devo attraversare per giungere alla meta rappresentata dall’Essenza. MA intanto voglio farvi capire che se la rabbia disvelata in realtà è amore di sé, pur non mutando la sua forma e la sua struttura, le sue caratteristiche di rabbia, così l’Ego in realtà è l’Essenza, che la prigione in realtà è il prigioniero, che la carrozza/cavalli/cocchiere è il passeggero. Tolti tutti i veli si scopre che questa prigione non esiste e non è mai esistita , anche se la sua percezione resta – al pari dell’esempio della rabbia. Che non esiste nessuna carrozza/cavalli/cocchiere, ma esiste solo il passeggero, anche se la percezione della carrozza/cavalli/cocchiere permane. Di più: senza la prigione non ci potrebbe essere la percezione del prigioniero, senza la carrozza non ci potrebbe essere la percezione del passeggero. Senza l’ego l’essenza non potrebbe manifestarsi. L’Ego è uno strumento attraverso il quale l’Essenza si manifesta. La verità stessa si manifesta dunque attraverso gli esseri umani. Senza di essi non avrebbe modo di manifestarsi.
    E’ l’immanifesto che si fa manifesto. Mi viene da sorridere ora vedendo che cosa sto scrivendo e come sto scivolando sul metafisico, senza neppure accorgermene. Sono parole mie, ma mi avvedo che tendo ad utilizzare termini ed espressioni già utilizzati da altri.
    Rimaniamo sul concreto. Faccio uno sforzo per rimanerci.
    Partiamo da un normalissimo essere umano. Parliamo dell’essere umano dal punto di vista dell’enneagramma. Nella triangolazione di base dell’enneagramma, quella con cui si iniziano le spiegazioni di un qualsiasi corso base, si dice che l’essere umano nello stato di Essenza – per ragioni che qui non è il caso di dibattere anche perché esistono un’infinità di versioni a riguardo – si dimentica di se stesso (corrisponde al punto 9) . Che questa dimenticanza di sé lo spinge a provare paura (punto 6) e che la paura lo spinge ad acquisire un senso ed un significato, ossia lo spinge ad identificarsi in qualche cosa, in qualcuno. Questa identificazione lo porta ad una ulteriore dimenticanza/lontananza da sé e questo alimenta nuovamente la paura che determina una maggiore identificazione in un processo di allontanamento da sé e dalla sua vera natura che sembra perpetuarsi senza soluzione di sorta. E’ questa la modalità base, ossia il processo di identificazione in un ego, in una struttura caratteriale, che porta l’essere umano a separarsi dall’Essenza, a separarsi da se stesso (senza neppure accorgersene) e soprattutto a dimenticarsi completamente di se stesso, della sua vera natura. Ecco la falsa personalità , l’Io, l’ Ego che a causa delle ragioni della sua stessa nascita vive in una trappola fatta di sofferenza ecc. Vive in questa prigione di cui sopra ecc..
    Il punto su cui voglio soffermarmi in questo primissimo intervento di disvelamento dell’ego riguarda il fatto dell’identificazione.
    L’Ego è identificazione. La trappola è identificazione. La carrozza/cavalli/cocchiere è identificazione. La prigione è identificazione. L’’ego è limitato e separato. LA prigione è limitata e separata dal resto della realtà. LA carrozza/cavalli/cocchiere è separata dal resto della realtà. L’identificazione è la convinzione di essere qualcosa/qualcuno. SE pensiamo alle autoimmagini interiorizzate sappiamo che l’1 si identifica in un perfezionista, il 2 in un altruista, il 3 in una personalità di successo, ecc.
    L’identificazione fa sì che ogni essere umano, ogni ego osservi la realtà da un limitato punto di vista, a causa di una fissazione cognitiva.
    Valutiamo la vita allora di ogni ego/essere umano. Tutto viene misurato, nella relazione con gli altri, con il proprio metro identificativo. Posso provare simpatia o antipatia per le persone. Verso chi provo simpatia? Verso chi provo antipatia? Provo simpatia per quelle persone che maggiormente si avvicinano a me, ossia al mio modello identificativo interiore in quale riconosco me stesso; antipatia, ostilità, fastidio verso coloro che mi sembrano più lontani dal mio modello identificativo interiorizzato. E’ un processo estremamente automatizzato. Sono schemi, strutture fortemente consolidate. Rifiuto, faccio resistenza, non accetto, discrimino, giudico, ecc. tutti coloro che si allontano dal mio modello identificato interiorizzato. Da tutti quelli che sento che non sono me.
    Al contrario se vivo con delle persone (dei genitori, dei figli, un/una compagno/a) per le quali riconosco degli aspetti che sento come miei, almeno parzialmente, provo simpatia. Quando le persone care muoiono posso addirittura provare un senso di perdita perché in loro riconosco una parte di me e con la loro morte ho la sensazione che muoia anche una parte di me. Di solito quando nei corsi di enneagramma si lavora fra persone dello stesso gruppo caratteriale si prova una naturale simpatia per gli amici dello stesso gruppo: si ascoltano storie molto simili alla propria, si vede lo stesso atteggiamento, ci si riconosce negli stessi automatismi, negli stessi meccanismi, nelle stesse convinzioni. Fino a quando emergono affinità e somiglianze la propria identificazione porta ad un riconoscimento di sé anche nell’altro, nel senso che si vive l’altro come se si fosse se stessi. Mi ricordo all’ultimo Sat che ho incontrato una ragazza/donna 5 di 45 anni. Parlando con lei mi sembrava di guardarmi allo specchio. Mi sembrava di essere me al femminile. Una cosa impressionante. Con altri 5 che ho conosciuto nel corso degli anni ho visto emergere o meglio ho percepito delle differenze : la mia identificazione era diversa dalla loro per molti aspetti e l’iniziale simpatia era sparita, sostituendosi in breve ad un forte sentimento di ostilità. Anche con la ragazza/donna 5 di 45 anni ad un certo momento è emersa in lei qualcosa (un atteggiamento, un modo di fare) che io non avevo, nel senso che io non riconoscevo in me e ho proprio sentito che si rompeva qualcosa dentro di me, come la percezione della sua diversità da me. La simpatia rimaneva, ma con una sensazione fastidiosa di differenziazione. C’è stato un periodo in cui guardavo le persone, anche solo comminando per la strada, e percepivo quanto fossero vicine o lontane al mio modello identificativo, a quello che io sentivo di me. La cosa più interessante e curiosa riguarda la relazione con le persone sconosciute. All’inizio solo delle impressioni generali, con un sentimento di fondo di indifferenza (e quindi di esclusione) poi, conoscendo gradatamente questi , un sentimento di familiarità crescente. La familiarità non è altro che la percezione di se stessi nell’altro. Si riconosce quello che si sente come proprio, familiare appunto, mentre comunque si disconosce quello che non appartiene al proprio modello caratteriale, alla propria identificazione. Si accetta dell’altro quello che si riconosce come proprio, non si accetta dell’altro quello che non si riconosce come proprio.
    Identificarsi in qualcosa/qualcuno, in un ego o personalità significa limitare il proprio essere ed escludere tutto quello che si ha la sensazione non ci appartenga. L’evitamento (vi prego di non considerare in questo passaggio questa parola nell’accezione presentata dall’enneagramma) serve proprio a questo. A escludere tutto quello che non riconosciamo come nostro. Rifiutiamo rigettiamo escludiamo tutti coloro che mostrano caratteristiche, qualità, atteggiamenti, idee, ecc. ecc. che noi sentiamo che non sono nostri. In realtà, se noi non ci imprigionassimo in una personalità, se non ci restringessimo in una visuale così ridotta del mondo, se spezzassimo il modello identificativo allora ci identificheremmo in tutti i comportamenti e in tutti i pensieri, gli atteggiamenti, i modi di fare, ecc.
    Avete presente la struttura dell’ennegramma no? La propria personalità è rappresentata da un puntino disposto sul cerchio. DA quel punto guardiamo gli altri e il mondo. Possiamo estendere la nostra capacità visiva, uscire parzialmente dalla fissazione cognitiva, accedendo ad altri punti disposti sul cerchio. In effetti se non ci autolimitassimo ad un punto ma ci liberassimo, e rompessimo la struttura identificativa, succederebbe che vedremmo il mondo e gli altri da tutti i punti disposti sul cerchio dell’ennegramma. Ci identificheremmo in tutti. Io mi riconoscerei sempre nell’altro essere umano. Vedrei sempre me stesso, in azione. Proverei una naturale simpatia, compassione, comprensione, amore per me stesso ossia per tutti gli esseri umani. Perché mi riconoscerei sempre in loro.
    Ma normalmente che rapporto abbiamo con noi stessi? Poiché viviamo una inconsapevole identificazione, con l’immagine interiorizzata di noi stessi , che incoscientemente in tutti i modi cerchiamo di rafforzare e di confermare, escludiamo dalla nostra interiorità tutto quello che ci risulta sgradevole e che non combacia con la nostra identificazione. La nostra realtà interiore si estende a 360 gradi e non è affatto limitata: noi possiamo provare sentimenti di odio, di rifiuto, di invidia, possiamo provare tutte le passioni, tutte le emozioni più diverse. Siamo avari, incapaci, stupidi, sgradevoli, cattivi, ingiusti, bugiardi, infelici, superbi, falliti, vanitosi, ecc. Siamo anche il contrario di tutto questo, certo. Ma siamo anche tutta l’Ombra a 360 gradi. Possiamo essere dei bastardi straordinari, dei veri e propri figli di puttana. Possiamo essere violenti e terribili, narcisisti, egocentrici, ingordi, ecc.
    Non siamo solo quello. Ma siamo anche quello. Siamo anche quello. Noi rifiutiamo , respingiamo, rigettiamo l’altro essere umano, lo sentiamo diverso da noi quando mostra un qualcosa che noi NON VOGLIAMO avere. L’abbiamo anche noi, ma ci rifiutiamo in tutti i modi di riconoscerlo. Lavorare su se s tessi, come fanno molti, per “migliorare” significa lavorare contro se stessi e contro l’essenza. La verità è che noi possiamo manifestarci in qualsiasi modo, provare qualsiasi emozione , avere i pensieri più tremendi ed orribili, fare le cose più abiette e schifose. Lavorare per essere qualcosa di meglio significa rifiutare ancora di più, respingere ancora di più, emarginare ancora di più tutte quelle parti di noi che chiedono solo di essere riconosciute ed accettate da noi. Significa rafforzare l’ego. Significa rafforzare l’identificazione. Significa mettere ancora più energia nella struttura caratteriale per renderla più gradevole agli occhi nostri e agli occhi degli altri. Significa andare a sud quando si sostiene di voler andare a nord. E’ un’operazione di ipocrisia che si ritorce comunque su di noi. Perché l’insoddisfazione rimarrà. Perché saremo falsi e dentro di noi qualcosa ce lo dice. Tutta questa gente che con qualche piccola esperienza spirituale che si eleva sugli altri, che si sente d’oro, quando in realtà è anche merda (è d’oro è vero, ma è anche merda), che si comporta come se fossero le persone più buone, gentili e disponibili del mondo, mi dà il voltastomaco, mi dà il desiderio di prenderli a calci in culo. Ho sempre ammirato i maestri spirituali che sono gentili con i novizi e maltrattano pesantemente gli allievi evoluti. Lo vedo e lo vivo come un grande gesto d’amore.

    Su questo tema dell’identificazione è necessario che io introduca un argomento assodato da tutti e che è indispensabile per il passaggio successivo: la critica. Sarà oggetto del prossimo intervento.

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