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Questo argomento contiene 43 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da un atomo 13 anni, 2 mesi fa.
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Utente OspiteScusa Roberto, ma non sono d’accordo con te su molte delle tue conclusioni, in questo tuo ultimo intervento. Per cominciare vorrei chiarire, che secondo la linea di pensiero che segue Antonio, e dunque secondo quello che ho appreso da lui (che è contestabile per carità) ma anche dallo studio dell’analisi sistemica che sto affrontando che mi riporta certe conferme, l’Evitamento NON è un meccanismo che ci serve ad escludere ciò che NON è nostro, altrimenti non ci sarebbe bisogno di evitare. E’ un fatto oggettivo che in uno stato di “media normalità psicologica” noi evitiamo qualcosa quando c’è, non quando non esiste. Se guido e la strada è sgombra io non ho bisogno di sterzare all’improvviso, cosa che non posso non fare quando mi si para di fronte un’ostacolo o qualcosa che io ritengo tale. Se poi sono folle e ho allucinazioni questi discorsi saltano, ma non stiamo parlando di stati di esagerata alterazione. Dunque l’evitamento è un meccanismo inconscio che ci spinge a non considerare scelte e soluzioni PRESENTI in noi, che ci allontanerebbero dallo stato “fisso” della nostra Fissazione appunto e di conseguenza della nostra Passione. Faccio un esempio, se mi accontento di quello che ho e smetto di desiderare quello che non ho, placo la mia insoddisfazione e se la placo crolla la struttura della mia passione che è l’invidia. Siccome la nostra meccanicità è un sistema complesso (quale che sia la sua reale utilità o natura) nessuna complessità si smonta in mille pezzi tanto facilmente. Dunque, in me c’è sicuramente la tentazione di sentirmi appagata, perchè vi sono in me gli aspetti di tutte le altre realtà, ma siccome “qualcosa” (chiamalo ego o peppino, come ti pare) mi fa provare paura nel differenziarmi dalle mie abitudini consolidate, io evito. Evito di dare spazio alle altre soluzioni dentro me. Dunque mi impedisco di riconoscere come parte di me, un aspetto della mia complessità che non riesco ad “accettare” nell’immagine rimpicciolita che mi sono data. Immagine idealizzata del sè. Evito ciò che è dentro me, ma che alla mia coscienza è inaccettabile perchè non entra nel rigido schema della fissità. La fissità mi ridimensiona, mentre la dinamicità mi sposta elasticamente in perimetri interiori che sono molto più vasti di quanto, per paura, io mi consenta di accettare. E’ come se noi fossimo capaci di sostenere una sola dimensione esistenziale, ad esempio, che il mondo è piatto e che le colonne di ercole sono i confini del nostro mondo. Qualcosa dentro ci dice che se le superiamo, moriamo. Anche se questo non è reale e l’interezza del mondo, rimanendo presente in noi, ci rimanda costantemente ad altre lingue, altre culture, altre scelte. Opporci a loro è l’evitamento, affinchè la percezione del nostro mondo rimanga piatta. La mia fissità è la mia autoillusione, la mia complessità è la mia realtà interiore, che cerco di evitare perchè non collima con quanto sono disposta ad accogliere. Secondo punto su cui non sento rappresentate certe cose, tu dici ripetutamente questo: “la familiarità non è altro che la percezione di se stessi nell’altro. Si riconosce quello che si sente come proprio, familiare appunto, mentre comunque si disconosce quello che non appartiene al proprio modello caratteriale, alla propria identificazione”. Io mi spingerei oltre e chiarirei che, così come per l’evitamento, le cose non stanno solo così, ma anche esattamente al contrario. Vi sono intere letterature psicologiche che sostengono una cosa su cui si fonda buona parte della psicologia moderna e cioè, che quello che non ci piace degli altri è proprio ciò che inconsciamente riconosciamo in noi stessi ma che è inaccettabile alla nostra coscienza. Io tendo a credere e prendere per buona questa cosa, non solo perchè se scavalco le mie resistenze la sento vera, ma anche perchè, se pure posso non concordare con tutte le teorie e tecniche psicoanalitiche in uso (ammesso che io le conosca tutte, cosa che non è) quando la molteplicità di coloro che studiano un fenomeno concorda, sulla base di punti di osservazione differenti, vuol dire che la cosa osservata, il risultato, corrispondono alla realtà. Questo non vuol dire che non possano essere stravolte le realtà, scavando nei substrati come tu dicevi. Ma per ora il risultato è un fatto ormai acclarato: quando noi rifiutiamo qualcuno, vuol dire che egli ci specchia qualcosa della nostra stessa immagine che noi non accettiamo di vedere. Qualcosa che dentro noi suona come una colpa, un difetto, una debolezza, un limite o altro. Qualche volta, gli altri ci riflettono atteggiamenti che rispecchiano situazioni apprese nel nucleo familiare, che non ci piacciono perchè ci costringono a provare antichi sentimenti negativi di rabbia, risentimento, vergogna ecc. e dunque anche se quei comportamenti non sono inconsciamente nostri, sono comunque azioni che ci costringono a contattare parti di noi, esperienze di noi, che rifiutiamo. Credo di poter dire, senza affermare una mostruosità, che questo sia uno dei cardini su cui poggia la conoscenza del sè. L’accettazione ed il rifiuto, oltre all’identificazione. Noi siamo partecipi delle nostre scelte, anche quando esse ci conducono alla meccanicità. Non c’è lavoro utile che possiamo fare su noi stessi, se non siamo disposti ad affrontare quello che degli altri non ci piace, per trovare noi stessi e riconciliarci con le parti rifiutate della nostra complessità. La familiarità dunque, è certamente quello che io riconosco di me nell’altro, ma tanto vale anche (anzi di più) per tutto quanto a me degli altri non piace. Tu parli solo di identificazione, ma credo che sia un modo parziale di vedere una complessità che non si può spiegare in una sola parola. Esiste l’identificazione positiva, ma anche quella negativa, esiste l’accettazione e il rifiuto di parti del sè e molto molto molto altro. Altro che non può essere omesso o trascurato, a mio avviso se non si vuole correre il rischio di partire da presuposti magari esatti per giungere a conclusioni non esatte (ammesso che vi siano conclusioni certe nell’ambito del non visibile). Punto terzo: tu racconti che sempre, quando provi familiarità verso qualcuno, sempre prima o poi, ti capita di percepire un suono distonico che all’improvviso ti gela, ti fa crollare l’immagine di quella persona e ti blocca quel calore interiore che te la faceva sentire molto vicina, quasi uguale a te. Non posso fare a meno di osservare, Roberto, che in questo racconto c’è il succo della passione del 5. Mi rendo conto di rilevare una cosa che forse ti fa girare le palle, visto che stai cercando di portarci altrove, ma non si può guidare un’auto per strade avventurose, trascurando di mettere la benzina, gonfiare le gomme ecc. ecc. Le cose terrene ci richiamano a noi, anche quando vogliamo spiccare il volo. Il meccanismo di Totemizzazione, di distruzione e di intima e profonda sfiducia che l’altro possa davvero essere uno sforzo che vale la pena (che tu conosci benissimo perchè ce lo hai testimoniato) sono parte integrante della fissità del 5, e a me sembra, da lontano per carità, che quanto racconti rappresenta proprio questa dinamica. Detto questo…al di là di ogni opinione personale e qualunque disquisire …nel leggerti mi colpisce una sola ed unica emozione….ripetutamente…e vorrei rendertela. Nel leggerti io percepisco una furiosa rabbia distruttiva. Non so come mai, e da dove venga, ma leggendoti, oltre ai ragionamenti è sempre presente un’emozione dominante, di cui sono impregnate le tue parole, e vorrei rispecchiartela tale e quale mi giunge. Per farci cosa non lo so, visto che non è mia, la sto solo percependo. Ovviamente adesso parlerai della critica e quindi come una polla mi espongo a chissà quale iperbolica verità che mi investirà in pieno 🙂 ma quando non sono coraggiosa sono incosciente, e mi auguro che questo fiume in piena non sia solo un parlare a te stesso, ma anche a noi. Se a qualcosa serve, il mio intento non è la critica ma lo scambio e la riflessione ….dove per riflessione io intendo tutto ciò che è frutto del pensiero ma anche di ciò che ci torna indietro come immagine riflessa…. Un bacione.
Marina Pieriniovviamente questa valanga sono io, non mi ero firmata scusa.
MaurizioMi sembra che ci sia verità in entrambi i punti di vista.
Bisogna capire però da quale dei punti di vista si voglia seguire e portare avanti il discorso.
L’unico fraintendimento c’è sul concetto di evitamento.
Roberto ha precisato che non si riferiva all'”evitamento” in senso strettamente enneagrammatico ma semplicemente all’atto di evitare determinate situazioni e persone, visto dagli occhi di chi ha poca consapevolezza del suo agire.
Che poi la matrice di quell’evitare possa essere quella che l’enneagramma spiega così dettagliatamente ed efficacemente……..o non esserlo, questo è un’altro discorso.
Mi sentirei di ricongiungere le due posizioni dicendo che l”evitamento” ed il “familiare” descritti da Roberto sono una rappresentazione di un comportamento di un ego non integrato (che è solo funzionale al filo del suo discorso); quello che Marina descrive in maniera lucidissima è, da un lato, il meccanismo dell’evitamento in senso enneagramm. e dall’altro, una visione della percezione del “diverso da se”, del “non familiare che ci infastidisce” non perchè è diverso ma perchè, ad un livello più profondo, ci fa da specchio e ci fa vedere parti di noi che nascondiamo a noi stessi e agli altri; quindi ci infastidisce perché, a livello profondo, “non diverso ma faticosamente nascosto”………… ma assolutamente NON SONO visioni contrastanti, sono livelli di osservazione diversi e Roberto parla e descrive la situazione da quel livello perchè gli è funzionale al discorso che porta avanti; detto ciò ben vengano le precisazioni perchè chi approccia per la prima volta questi argomenti potrebbe sentirsi spaesato e a disagio.
Sulla percezione di un atteggiamento rabbioso e distruttivo che richiama la matrice dell’ego di Roberto sinceramente sorvolerei.
Marina Pieriniallora se sorvoleresti perchè precisi 🙂 ehehehehehe scherzo….io invece penso che prendere atto di un’emozione che ci arriva insistentemente, nel tessuto di quello che concettualmente cerchiamo di dire, ha la sua importanza ed il suo posto e non è da trascurare. Non da giudicare certo, ma da osservare come facente parte del tutto. Trama, tessuto, disegno, la complessità ha ragioni che i singoli elementi potrebbero non manifestare…
Marina Pierini..p.s. è vero che Roberto non intendeva usare l’evitamento come termine puramente descrittivo di un meccanismo dell’edp. Mi chiedo però sulla base di quale osservazione lo descrive come meccanismo che ci condiziona. Voglio dire, anche se non ragioniamo in termini di enneagramma, evitare significa cambiare direzione per non affrontare qualcosa che c’è, non il contrario. Quindi mi sembra che non vi sia una possibile conciliazione delle due cose dette perchè una esclude l’altra.
Marina Pierinie va bene…perdonami, ma vedi che poi una cosa tira l’altra e le riflessioni a volte diventano dirompenti….adesso Roberto non è che c’entri molto con quello che scrivo…solo ti faccio notare che gli evitamenti non sono qualcosa di teorico da osservare con una colomba che vola, Maurizio. L’interezza di un messaggio sta nel suo contenuto logico, in quello emozionale e anche in quello motorio (come gesticolo ad es.). Tutti e tre i contenuti sono parte del messaggio stesso, sono IL messaggio. Impedirci di osservare tutte e tre le sue componenti significa reagire ad un tabù interiore ed inconscio e mettere in azione….un evitamento! Non possiamo parlare di argomentoni e nemmeno di argomentini che attengano al complesso mondo dell’uomo sezionando, evitando, scomponendo parti del messaggio, perchè questo vuol dire osservare le cose come diciamo di non volerle osservare. Anche la collocazione da dare ad un messaggio, cambia profondamente a seconda se io mi lascio permeare dal messaggio intero oppure solo da parte di esso. Maurizio se noi cerchiamo noi stessi, il primo luogo in cui guardare è dove non vorremmo. E’ un caso che l’emozione dominante nel messaggio di Roberto (o quella che a me è giunta come tale) sia qualcosa dalla quale tu pensi di poter prescindere? Insomma Maurì…dove c’è scissione non c’è la possibilità di cogliere le cose nella loro complessità ed interezza. Quando parliamo di evitamenti parliamo di questo. Di quando noi diciamo, si vabbè, però questa cosa qui non è importante, o è pericolosa, o non mi piace, lasciamola stare, guardiamo dove il paesaggio sembra più bello…
Roberto MaieronIl limite è sempre nella parola. Sto cercando di utilizzare un linguaggio molto terra terra, il più semplice che mi è possibile. Evitare, rifiutare, respingere, odiare, disconoscere, resistere , chiudersi, ritirarsi, isolarsi… in qualsiasi modo lo possa dire il senso è: vedere l’altro come diverso da se’. Punto. La parola “identificazione” poi la uso nell’accezione più semplice ed elementare. Che ci siano processi di identificazione inconsci anche in termini “negativi” è evidente, si pensi all’8 che diventa come il genitore da cui ha subito la violenza fisica e psichica. Ma rimaniamo sul semplice. Prendete le mie parole senza valutarle nell’accezione della psicanalisi o delle trentamila sfumature distinzioni eccezioni ecc. su cui ancora gli “esperti” continuano sterilmente a discutere e a polemizzare.
Per quanto riguarda l’aspetto emozionale è estremamente importante. Io sono nella parola. Perchè sto cercando di trasmettere qualcosa. Il veicolo emozionale mi è indispensabile per trasmetterlo. La rabbia percepita da Marina in realtà non è rabbia, non investe nessuno nè me nè gli altri: è una energia rivolta ad abbattere qualsiasi resistenza interiore che possa provare per esprimere compiutamente la mia esperienza. Non ha nulla a che fare con la rabbia: in realtà è ebbrezza, è una profonda incontenibile insostenibile gioia di quello che sento dentro di me. Vi prego di non sottolizzare su qualche sfumatura, ma di cogliere la linea, il senso di quello che sto dicendo. Mi rendo conto Marina che sto facendo un monologo, ma il mio obiettivo non è quello di mettermi a discutere, ma di esporre per intero tutto quello che avverto sull ego e sull’essenza, risultato di oltre 25 anni di investigazione personale, dove ho rivoltato la frittata un’infinità di volte, modificando radicalmente ogni volta la mia collocazione esistenziale (non la mia visione del mondo, perchè io in realtà non ho nessuna visione del mondo a dispetto di quello che può apparire).
Roberto MaieronInvestigazione, lo sottolinerei un miliardo di volte, di carattere puramente ed esclusivamente esperienziale. I libri determinano un accumulo straordinario di ignoranza. Sono uno strumento estremamente nocivo e pericoloso.
Possono anche essere utilizzati ma con lo stesso riguardo e la stessa precauzione che si ha con un serpente dal veleno letale. Sono una delle cause della relazione esclusivamente mentale delle persone. Non sono le persone, le Essenze delle persone a relazionarsi, ma le loro menti. Quando due menti si relazionano e non si relazionano gli individui, gli esseri umani, è il disastro. Una mente non è mai d’accordo con l’altra (c’e’ sempre la questione del “io sono diverso da te”). Stasera cercherò di continuare il mio intervento che è ancora piuttosto lontano dalla sua conclusione.
MaurizioMarina, i tuoi spunti sono interessanti e molto belli da sviscerare ma così facendo si rischierebbe di far perdere il filo del discorso a Roberto che secondo me sta scrivendo cose belle, difficili da esprimere e tanto più belle perchè scritte da un 5 che normalmente fa una fatica del diavolo a darsi così tanto (e lui lo dice apertamente). E’ per questo che dico, senza esprimere alcun parere in merito, che su alcune cose sorvolerei. Solo per questo; poi se si vuole parlare della scarsa percezione della rabbia di alcuni sottotipi misti del 4 (io per esempio) e degli evitamenti messi in atto per distogliere l’attenzione da situazioni che potrebbero indurli a contattarla non ci sono problemi ma facciamolo in un altro post.
Sull’evitamento; tu dici “evitare significa cambiare direzione per non affrontare qualcosa che c’è, non il contrario???” è esattamente così. Il Problema è capire chi vede cosa. Tu sai che nell’evitare qualcosa si perde una possibilità di crescita ma l’80% della popolazione mondiale non penso che pensi lo stesso. Io la penso come te si ben chiaro. Ma il problema è capire chi (noi due o il resto del mondo) vede cosa (una situazione che si vuole evitare, il resto del mondo; un’occasione da non perdere difficile, diversa, fastidiosa che potrà però darci una via di crescita, noi due). e allora?……dov’è la verità? boh!!
MaurizioRoberto mi raccomando non perdere le energie!!!!!!1
Marina PieriniCredo che il dove sia la verità non ci interessi proprio. Visto che non possiamo stabilirlo in nessun modo. Io ho partecipato a quanto scritto da Roberto perchè non sento piacere nel subire passivamente quanto altri sviscerano,non mi sembra sana la posizione di pattumiera, o armadio a muro, quali che siano le cose messe dentro. Visto che questo è un luogo di scambio, non è una pagina di un libro in cui lo scrittore ha un chiaro ruolo (quello attivo) ed il lettore altrettanto (cioè quello passivo, che ha consapevolmente scelto). Nel mio partecipare ho espresso vari pensieri e connessioni che attenevano, mi sembra, al messaggio tutto intero. Se poi ho generato una interferenza in un monologo lunghissimo in cui tu sei contenitore e Roberto fiume incontinente, allora mi sa che ho sbagliato forum 🙂 oppure ne ho interpretato male il senso. Insomma sto assistendo ad una megasega (scusate il paragone biblico) da osservare in silenzio per poi avere un orgasmo virtuale, ed ho interrotto il coito? Roberto…non perdere le energie…per carità…sennò avrò un peso enorme sulla coscienza!
Mauriziomarina, ho solo detto che hai tirato in ballo argomenti che secondo me non sarebbe il caso di trattare in questo post ma in un altro, e poi, ho detto…… “secondo me” ossia secondo il mio parere. Se la pensi diversamente mi sembra chiaro che puoi fare quello che vuoi. Ricordati di domani! Ciao
Roberto MaieronSono perfettamente d’accordo con te Marina. Ho scelto una modalità espositiva che vuole essere un monologo e non una discussione. Voglio solo comunicare la mia esperienza conoscitiva sull’Essenza per intero. Perchè ne sento un forte bisogno. E’ una forma per evitare un confronto? E’ una masturbazione intellettuale? Qualsiasi cosa sia quando ho iniziato ho pensato che avrei dato la mia spiegazione su che cos’è l’Essenza e lo faro’ comunque.
E’ una cosa che non ho mai fatto se non in forma molto parcellizzata con alcune persone con cui ho condiviso per anni le stesse esperienze e che poi ho lasciato per ragioni mie. Se ritieni che questo luogo non sia adatto per un intervento di questo tipo, e lo fai nelle vesti di una dei responsabili del forum, cesserò immediatamente di scrivere. Questo buttar giù è come fare per me il punto della situazione e mi rendo conto che in realtà scrivo solo per me stesso.Mi spiace se eventualmente ti sentissi ferita da questo mio modo di fare, ma non è mia intenzione ferirti. Sto solo esprimendo me stesso.
Roberto MaieronPrima un raccordo: come ho cercato di spiegare nel precedente intervento, ognuno di noi ha una idea di sé , chiamiamola identificazione, chiamiamola autoimmagine interiorizzata, chiamiamola come vogliamo (l’importante è il senso di quello che dico, non attaccatevi alla singola parola) il fatto concreto è che ognuno di noi si sente un “qualcuno” con delle caratteristiche più o meno statiche, più o meno dinamiche. La tendenza inconscia ed interiore è quella di escludere quello che si crede profondamente di non essere. Vi è in noi un fortissimo senso di unicità che ci differenzia dagli altri. E’ questo senso di identità, di unicità, di diversità dagli altri, che costituisce il nucleo dell’ego. Non ha importanza se si cambiano le abitudini, se si vivono emozioni diverse, se si decide di vivere in maniera diversa, se si fanno scelte che trasformano la nostra vita. Cambierà lo scenario mentale, lo scenario emotivo, lo scenario anche fisico (invecchiamo, ci ammaliamo, ci risaniamo, rafforziamo, dimagriamo, ingrassiamo, ci lasciamo crescere i capelli, li perdiamo, ecc.), ma non cambia il senso di separazione e di limitatezza che ognuno di noi vive, che ognuno di noi sperimenta continuamente, giorno e notte, anche in questo esatto momento. Quello è l’ego. Può cambiare la vetrina, anche completamente, ma l’ego rimane. Il dato sostanziale rimane. Il senso di separazione e di limitatezza rimane. E’ quello l’ego, lo ripeto. Puo’ modificarsi il vestito mentale o emotivo , può modificarsi l’aspetto fisico ma la nostra sensazione che noi siamo noi e che gli altri sono gli altri, diversi da noi, permane. Gli altri non sono noi. La nostra verità non è la verità degli altri. E’ una percezione fortissima.
In realtà , anche se noi crediamo di aver fatto un percorso, di essere “cresciuti”, di essere “maturati”, di essere “migliorati” o “peggiorati”, di esserci “integrati” perché ora possediamo le qualità di altri enneatipi (che assurdità!), in effetti siamo sempre fermi al solito posto. Non ci siamo mossi. Avvertiamo il senso di limitatezza e di separazione dagli altri. Siamo differenti dagli altri. Alla faccia del progresso e dell’evoluzione! La vetrina sarà più gradevole, ma ci ritroviamo sempre con l’Ego, ossia con una personalità, ossia separati dalla verità di noi stessi, dall’Essenza.
Abbiamo rinvenuto/costruito un ego più soddisfacente e personale. Non abbiamo abbandonato l’ego: lo abbiamo evoluto. Quello sì. Lo abbiamo adattato alle nostre rinnovate necessità, lo abbiamo reso più funzionale. MA siamo sempre separati dalla verità di noi stessi e ci identifichiamo con il nostro ego, autoingannandoci.
Introduco ora un elemento nuovo da cui ripartire: il rapporto con noi stessi e il rapporto con gli altri. Il rapporto che noi abbiamo con noi stessi è lo stesso identico rapporto che abbiamo con gli altri. Prima voglio parlare del rapporto che abbiamo con gli altri, poi parlerò del rapporto che abbiamo con noi stessi.
Nel rapporto con gli altri misuriamo sempre (in modo totalmente inconsapevole) la nostra unicità e diversità. Gli altri sono sempre diversi da noi. Di più o di meno.
Non accettiamo nessuno. SE accettassimo l’altro essere umano vedremmo noi stessi.
SE lo vediamo diverso da noi vuol dire che non lo accettiamo. La tendenza è quella di identificare l’altro come personalità. E quella personalità è diversa dalla nostra, dal nostro ego. Per cui rifiutiamo, neghiamo, respingiamo l’altro. Lo facciamo con la critica. La critica, bene stavi dicendo Marina, sussiste quando non si accetta qualcosa dell’altro essere umano che è anche nostro. E’ una modalità in cui si dimostra che non si accetta qualcosa di se stessi. Se critico una persona sto criticando qualcosa di me che non riesco né a vedere né tanto meno ad accettare. Volete conoscere veramente una persona? Ascoltatela quando critica qualcuno: sta parlando di se stessa. Mettetevi ad ascoltare le persone in giro, nelle strade, negli uffici, nei vari ambienti che frequentate: oltre il 90 per cento dei discorsi è critica. LA critica consiste nell’utilizzo di una energia dove condanno l’altro, dove lo nego, non lo accetto. Comprendere bene che cos’è esattamente la critica non è facile: dovrei scriverci un libro per riuscire ad essere sufficientemente chiaro. Cerco di semplificare il più possibile in poche parole. La critica – che è il rifiuto/negazione dell’altro e quindi il rifiuto/negazione di parti di sé – consiste non solo nel parlare male di qualcuno, nel biasimare o condannare un comportamento, un’azione, un gesto. E’ un’energia che si manifesta anche indirettamente, rifiutando la verità dell’altro, impedendogli di esprimere le sue idee e i suoi valori, impedendogli di godere della sua esperienza. Impedendogli di essere se stesso. La critica si manifesta non solo con le parole. A volte può bastare un gesto di condanna o di rimprovero, uno sguardo,
un irrigidimento del proprio corpo. La critica alla libera manifestazione dell’altro essere umano e alla sua verità si può manifestare anche semplicemente pensando male dell’altro e credendo ai propri pensieri. Se sento interiormente una forte critica verso qualcuno, anche se non la manifesto con le parole o con un gesto, o anche se non la tradisco in qualche forma (magari anche solo azzittendomi o incrociando le braccia quando sono in sua compagnia), comunque questa è una forma di energia che rifiuta l’altro essere umano, non accetta una sua parte (e quindi una parte di se stessi).
C’è un dato che caratterizza, che impronta la critica: vi è un’energia di negazione dell’altro e/o di una sua parte. Bisogna comprendere anche esattamente che cosa si critica, perché nella stragrande maggioranza delle volte si critica senza esserne coscienti e in una modalità che non è chiara. Faccio un esempio: immaginiamo che io sia in strada. Passa un ragazzo con una moto con la marmitta rotta. Mi passa vicino facendo un fracasso eccezionale. Quando passa sento fastidio, o mi arrabbio, o mi irrigidisco, o penso “che deficiente”, o lo guardo male o in qualsiasi altro modo si manifesti, condanno e nego questa manifestazione dell’altro essere umano.
Una persona magari mi è vicino. Mi guarda, comprende che me la sono presa con quella persona e mi dice: “Che cosa ti succede?” Io posso rispondere in modo educato o meno, con un controllo emotivo o meno, biasimando/criticando il ragazzo.
L’altro, che è mio amico, mi ricorda la critica sull’altro essere umano e mi ricorda che in realtà sto rifiutando una parte di me. “Impossibile! Dico io. A me non piacciono le moto. Io non me ne andrei mai con la marmitta bucata a fare tutto sto fracasso rompendo le scatole alla gente”. Sto dicendo quello che penso ed è vero. A me non piacciono le moto. Non ci sono mai stato sopra , ho quasi 50 anni e non mi interessano le moto. Se me la regalassero, la darei via. Non saprei cosa farci. Ergo,
veramente non mi comporterei così. MA è veramente quello che sto criticando? In realtà quello che sto criticando non è il fatto che passi rombando con la moto rotta, ma magari il fatto che il ragazzo vuole richiamare l’attenzione su di sé, vuole che tutti si accorgano quando lui passa, vuole essere al centro dell’attenzione di tutti. Quello sto criticando. E quello ho fatto e faccio nella mia vita. Anche se non riesco a vederlo e non lo accetto. Che cosa dunque si critica? Si critica quello che si fa o si è fatto e, se non si mai fatto, si potrebbe fare. C’è in ognuno di noi una potenzialità. Quando sento il moralista che condanna l’adulterio, so benissimo che o ha vissuto l’adulterio o lo vivrà o lo potrebbe vivere. Molti anni fa, quando il mio maestro di allora mi aveva portato a respirare il mondo della critica, mi ricordo che c’erano alcune cose che, senza confessarle ad altri, ritenevo “impossibili” per me. Mi sentivo pieno di amore e di comprensione per tutti (ma mantenevo il senso di separatezza e di limitatezza e solo più tardi ho scoperto che ero caduto in una identificazione, in un nuovo ego più soddisfacente di un tempo e che quello che ero non era vero, ma solo un livello di verità oltre il velo del quale c’era un’altra verità che avrei dovuto raggiungere) e pensavo che non avrei mai potuto provare certi sentimenti o fare certe cose. “Non violenterei mai una donna” pensavo. “Non ammazzerei mai nessuno, piuttosto mi lascio ammazzare. In generale quello che ho imparato sulla critica è vero, ma ci sono alcune cose che non sono mie e non lo saranno mai neppure in potenza”.
Anni dopo mi sono ritrovato a desiderare la morte di una persona. Lì ho capito che in realtà io avevo la potenzialità per fare qualsiasi cosa e che giudicare/nel senso di criticare cioè considerare l’altro diverso da me, era probabilmente l’errore o uno degli errori di base della mia vita. Fra chi mi legge qualcuno potrebbe obiettare che desiderare la morte di qualcuno non è come uccidere. Nella forma/vetrina è vero. MA nella sostanza è la stessa medesima cosa. Il desiderio , posto in nuove condizioni esistenziali ed ambientali, può portare alla sua materializzazione. Io ho proprio “sentito” che avevo questa potenzialità di uccidere qualcuno. Potevo e posso farlo. Ho questa potenzialità. E chi sono io allora per giudicare un assassino? Potrei esserlo anch’io. Non posso rigettare questa parte di me solo perché non mi piace. Non posso rigettare tutto quello che è ombra degli altri esseri umani solo perché non lo riconosco come la mia ombra.
Io e l’altro essere umano siamo la stessa identica cosa. C’è una differenza fisica, può modificarsi la vetrina (mente/corpo/emozione), ma siamo la stessa identica cosa. Perché io e l’altro essere umano siamo un’unica cosa, ed io non sono separato da nessuno.
Ho avuto una volta un’esperienza diretta di me stesso molto molto bella, settimane dopo la mia scoperta sul fatto che anch’io avrei potuto uccidere. Ero di fronte ad una persona e improvvisamente tutto è come scomparso, la sensazione della scomparsa di me (in realtà del mio ego) e mi sono sentito pieno di amore per tutto quello che vedevo. Tutto mi sembrava meraviglioso e perfetto. La persona di fronte a me era di una bellezza indescrivibile: non c’era gesto, non c’era espressione, non c’era parola, non c’era nulla in lei che non trasudasse amore e perfezione. Quando sono ricaduto nel mio ego, finita l’esperienza, ho pensato che se quella persona si fosse alzata e mi avesse ucciso io avrei amato anche quel gesto, così perfetto, così meraviglioso, così pieno d’amore. Non avrei fatto nulla per impedirlo. Mi ricordo che ho pianto per ore. Quello che avevo contattato di me era un amore incondizionato, di totale accettazione dell’altro essere umano (e quindi anche di me). Quando si abbandona l’ego, quando si abbandona lo stato di separazione e di limitatezza, quando si smette di negare l’altro essere umano e la verità dell’altro essere umano, spontaneamente si ritorna al proprio stato naturale, si diventa Essenza, si diventa quello che si è sempre stati, uno stato di pienezza dove, non più limitati, ci si riconosce nell’altro essere umano.
Nel prossimo intervento parlerò del rapporto che abbiamo con noi stessi. Se il rapporto con gli altri esseri umani è legato alla negazione degli altri per perpetuare il proprio ego, e si manifesta anche con la critica, nel rapporto con se stessi succede la stessa cosa. Ma in che modo ci impediamo di essere noi stessi? In che modo ci impediamo di lasciare l’ego e di abbandonarci alla nostra vera natura? Questo tema è molto impegnativo, spero che emergano delle cose chiare e non troppo articolate.
Carla BasagniEhi! anch’io sto leggendo queste vostre riflessioni e mi diverto a scoprire se corrispondono o meno alle mie riflessioni sull’esperienza di vita vissuta. Mi fa molto piacere che questo sia uno spazio dove sentiamo di poter esprimere il nostro pensiero interiore senza remore. E’ una cosa rara che nella vita quotidiana non succede mai Per questo vi inviterei a…continuare tutti ad esprimervi. Personalmente, sto aspettando di vedere dove Roberto va a parare per dire anch’io le mie osservazioni sull’argomento. Comunque ora posso dire che concordo più con quello che dice Marina, che fa proprio parte della mia esperienza vissuta, piuttosto che con quello che dice Roberto. Ma, ripeto, aspettiamo che lui finisca e poi vediamo. Coraggio, Roberto, continua pure a scrivere liberamente!
Ciao a tutti da Carla -
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