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Il Nove fra rabbia ed obbedienza

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Questo argomento contiene 18 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da  Chiara 13 anni, 2 mesi fa.

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  • #685 Risposta

    Antonio Barbato

    Un tipo Nove ex mio collega di lavoro mi ha raccontato di recente la seguente storia, tratta dalla sua stessa vita, che mi sembra molto indicativa del dilemma che un Nove si trova spesso ad affrontare nella sua vita. Da bambino viveva in un paesino in una famiglia molto povera e l’unica cosa bella, che aspettava tutto l’anno, era la festa di Natale che si faceva nella parrocchia del suo paese. L’anno in cui aveva compiuto sette anni la mamma aveva fatto, per lui e gli altri suoi fratellini, un vestito di lana pewr andare alla festa di Natale. I vestiti erano, ovviamente, tutti uguali ma il suo gli andava particolarmente stretto. Non appena lo ebbe indossato, infatti, cominciò a sentire un formicilio ed un forte prurito per cui cominciò a grattarsi. Il fastidio che sentiva era insopportabile ed avrebbe voluto togliersi il vestito, ma la mamma gli disse che, senza il suo vestito, non sarebbe potuto andare alla festa, perché non aveva altro da mettersi. L’unica alternativa era quella di restare a casa nel suo letto da solo in attesa che gli altri tornassero. Allora lui cercò di sopportare senza dire nulla, ma, evidentemente, non poteva evitare di grattarsi e la mamma se ne accorse. Per cercare di aiutarlo la mamma decise di inumidire la lana per renderla più morbida e bagnò il vestito. questo, però, non didede alcun sollievo è l’unico risultato fu quello di avere un vestito bagnato che faceva prurito. A distanza di ormai quasi settanta anni, il mio ex collega ricorda ancora la rabbia che provava, ma non voleva esprimere, per quella obbedienza che gli era imposta ed il suo sforzo di non sentire e sopportare il prurito. Andò alla festa anche se stette malissimo, e non osò nemmeno togliersi la giacca per non far dispiacere alla mamma, ma il giorno dopo aveva una feroce orticaria su tutto il corpo. Questo è il dilemma tipico di un Nove: affermarsi significa esprimere la rabbia, ma questo significa disobbedire e porta con sè il rischio di far perdere l’approvazione delle persone care.

    #6342 Risposta

    Carla Basagni

    Sì è vero, la storia è esemplificativa della condizione spirituale del Nove. Comunque questo fatto di tenersi dentro la rabbia e non esprimerla non è solo del Nove. Io, per esempio, che mi riconosco abbastanza nel Quattro sociale, ho avuto sempre grandi problemi ad affrontare situazioni di conflitto o anche, semplicemente, ad esprimere quello che pensavo. Ho dovuto fare un percorso personale per capire che la rabbia non è affatto negativa e che, anzi sostiene la dignità dell’io, in molti casi. Questo l’ho imparato dalle esperienze di vita, soprattutto nel mondo del lavoro. Ho visto che proporsi in maniera eccessivamente modesta, come ero portata a fare per mia natura, innescava facilmente comportamenti di svalutazione degli altri nei miei confronti e la mia rabbia è stata tale che…. ho cominciato ad esprimermi e a “sperimentare la mia forza”, portando dei cambiamenti sostanziali alla mia vita. L’ultimo e più importante è stato quello dell’adozione di mio figlio Son.

    #6343 Risposta

    Marina Pierini

    Io ho la sensazione che spesso si confonda la rabbia, in quanto emozione o reazione emotiva che dir si voglia, con l’aggressività. Non tutti sono in grado di mostrare la propria rabbia, proprio come racconta Antonio o Raffi, mentre invece tutti sanno trovare soluzioni varie per manifestare la propria aggressività, passiva o attiva che sia. Studiando gli istinti e quindi le varianti istintuali degli enneatipi, mi è saltato agli occhi, in maniera molto chiara, che tutti gli esseri umani sono sottoposti alle spinte istintuali e che quando uno o più di essi corrompono l’ego le nostre manifestazioni relazionali e caratteriali vengono colorate da alcuni comportamenti riconoscibili. Condivido quanto scritto nei vostri interventi e mi sento in linea con la testimonianza di Carla, visto che come tipo 4, anche io nel passato sono stata condizionata dalla vergogna che mi legava la gola e mi impediva di esprimere i miei pensieri o difendere le mie idee e la mia persona. Devo anche ammettere, che nonostante oggi il mio istinto di espansione abbia prevalso e quindi in qualche modo si sia rotto questo blocco alla gola, la rabbia è e rimane un’emozione di reazione. Voglio dire che, se per esprimere quello che penso ho bisogno della rabbia, sono condizionata tanto quanto lo ero quando la vergogna mi bloccava la gola, è solo cambiata l’emozione apparentemente dominante. Penso che sia umano arrabbiarsi per qualcosa, ma non penso sia giusto dare un giudizio di valore alle nostre reazioni emotive, fintanto che sono reazioni. Dire ad esempio che la rabbia è giusta o sbagliata può portare a mio avviso, a trascurare un fattore più importante e cioè “perchè” una data situazione scatena rabbia in me, a cosa sto reagendo, a quale tempo della vita sto veramente dando risposta, a quale evento ripetititvo sto nuovamente dando spazio, se la rabbia è l’unica soluzione…l’unica strada.. e sopratutto se la mia reazione è davvero proporzionata alla realtà dell’evento che sembra averla causata. Questo vale per tutti chiaramente e per tutte le emozioni che ci condizionano. Vale per un tipo 5 quando si “sottrae” alla relazione, vale per un 9 quando toglie ascolto a sè stesso, vale per un 4 quando cede alla vergogna o quando cede alla rabbia, vale per tutti noi, che non riusciamo a trovare altro modo che “quello abituale” per affrontare un dato evento della nostra vita. Credo che per poter essere forti, coraggiosi, capaci di difendere noi stessi e le cose in cui crediamo sia necessario affrontare e possibilmente risolvere proprio quelle emozioni che ci spingono sempre e solo in un’unica direzione. Capisco bene che per un 4, che si è sentito frustrato ogni volta che non è riuscito a farsi ascoltare, la rabbia ed i suoi apparenti “vantaggi” possano sembrare un traguardo, ma personalmente, mi rendo conto che si tratta un pò della stessa illusione dell’ego, solo vista alla rovescia e che tutto quanto ci fa veramente addolorare è ancora lì..che ci rende deboli e reattivi rispetto alle nostre emozioni …siano esse di paura, di vergogna o di rabbia. Per quanto mi riguarda l’unico vero vantaggio che l’espressione diretta della rabbia mi ha dato, è stato capire che si può scegliere un modo diverso di comportarsi. Non vedo l’ora, se mai accadrà, di potermi liberare della necessità di usare certe emozioni piuttosto che altre per esprimermi, perchè questo significherà per me, che sarò riuscita ad interpretare ogni volta, in maniera unica e creativa, gli eventi della mia vita…………………..P.S. Carla a proposito come sta tuo figlio??? Non l’ho mai visto, ti va di mandarci qualche bella foto?? Mi piacerebbe 🙂 un bacione a tutti..

    #6344 Risposta

    Chiara

    Sì sono molto d’accordo con te, Marina: noi reagiamo in un certo modo ma non reagiamo a qualcosa che accade adesso, ma a qualcosa che è accaduto ieri.
    Proprio a questo proposito vorrei condividere con voi, un episodio che mi è accaduto giorni fa. Gianco, (per chi non lo conosce mio marito) mi informava che uno dei tre giorni che avevamo progettato di trascorrere insieme, sarebbe saltato. Scendeva sua sorella, (con cui ha un pessimo rapporto, distante e anaffettivo) a Napoli per un giorno e lui voleva salutarla. Ovviamente io capivo benissimo a livello razionale la situazione, ma in barba al movimento cognitivo, non potevo tacere un sentimento di dolore profondo che mi faceva sentire una bambina abbandonata…Come può, pensavo, preferire allo stare con me un incontro con la sorella che lui evita come la peste???
    Ho incominciato a provocarlo ad arrabbiarmi con lui, accampando mille ragioni e scuse, in realtà volevo essere io la preferita, volevo che lui scegliesse me…Ad un tratto c’è stato uno scatto temporale…qualcosa si è aperto dentro me e mi sono vista bambina di 5 anni, soffrire per una mamma sfuggente che preferiva anche il pomeriggio, fare lezioni private su lezioni private a alunne che spuntavano come funghi, anzichè stare con sua figlia…che l’aspettava da mattina a sera…
    Ho percepito l’esatto preciso momento in cui il presente diventava passato remoto. Non c’era mio marito lì davanti a me ma mia mamma. Ed io sentivo lo stesso esatto dolore, la frustrazione, il desiderio, la stessa solitudine, di una bambina senza ragioni che sbatteva i piedi.
    Aveva 5 anni la bambina e 38 anni la donna, ma l’emozione e l’impotenza erano uguali, sempre le stesse, come prigioniere di un sottile eterno ritorno…
    Un abbraccio.

    #6345 Risposta

    Antonio Barbato

    Cara Chiara e care tutte mi piace questo dibattito, che sul filo del ricordo specifico di un Nove, ha condotto ad un punto che io ritengo veramente decisivo. La riemersione in una forma non addomesticabile razionalmente, di quel passato che non è ieri, ma è oggi nel nostro cervello emozionale. Credo che non sarà mai suficiente ripetere che in questi casi possiamo ricevere da queste esperienze, indotte da quella specifica modalità che io chiamo Cicatrice o Evento Sentinella, un dono profondissimo. Quello di capire che il bambino emozionale sta ancora aspettando di ricevere quello che non ebbe, o a cui dovette rinunciare, e che nessun altro, tranne che noi stessi, possiamo darglielo. Questo è un punto più che importante, determinante, nel nostro percorso di crescita perchè da lì possiamo capire quale energia è quella più carente dentro di noi e cercare, finalmente, di assumerci la vera responsabilità di noi stessi e della nostra vita. Un abbraccio a tutte, Antonio.

    #6346 Risposta

    Carla Basagni

    Cari amici,
    vorrei chiarire alcune cose dette nel messaggio precedente. Volevo dire che, ad un certo punto della mia vita, stanca di stare sempre zitta e mettermi spesso da parte, come mi succedeva prima, ho cominciato ad esprimermi e comportarmi in modo da incidere di più nella mia realtà. Questo l’ho fatto non con scenate di rabbia, ma con delle azioni dirette a fini ben precisi guidate dalla rabbia per le umiliazioni subite, in particolare nell’ambiente di lavoro. Le umiliazioni erano ben presenti e non erano risentimenti di emozioni passate. Diciamo che ho superato bene una storia di mobbing nel mondo del lavoro. Da quell’esperienza dolorosa, però, ho preso spunto per guardarmi un po’ dall’esterno e mi sono resa conto di diversi limiti della mia personalità che potevano aggravare la situazione già non gradevole in cui mi trovavo. Questi limiti erano il timore del conflitto, il fatto di non saper reagire prontamente ad eventuali provocazioni,l’eccessiva modestia nel modo di propormi, come dicevo, e il fatto di non esprimere sempre la mia opinione. Ho capito, con il tempo, che non si può non parlare affatto: se non si parla, la gente, soprattutto quella che non ti conosce, riempie il vuoto con quello che ha in testa lei e ti dipinge certi ritrattini della personalità che non hanno nulla a che vedere con quello che sei veramente!
    Per tornare all’Enneagramma, proprio per queste ragioni mi sono riconosciuta anch’io molto nel Nove, soprattutto quando ho letto i primi testi sull’argomento. Ci sono molti nodi emotivi del Nove che riguardano anche me, però in chiave un po’ diversa, per così dire. Cara Marina, ti manderò volentieri qualche foto del mio bambino che è veramente bello, ma preferisco mandarla al tuo indirizzo email.
    Salutoni, Carla

    #6347 Risposta

    Marina Pierini

    E’ vero, Carla, che se non si parla la gente riempie i tuoi silenzi con quello che vuole. Purtroppo accade altrettanto anche quando si parla, perchè le proiezioni e le interpretazioni soggettive di qualunque tipo, sono meccanismi continuamente in azione. Aggiungerei a quello che hai detto, che a volte anche se è giusto esprimere il proprio punto di vista è altrettanto saggio e giusto non preoccuparsi troppo di quello che gli altri hanno voluto vedere, capire o interpretare perchè è una battaglia quasi persa in partenza. Gli equivoci capitano, certo è normale, ma se si supera la soglia di un chiarimento e la discussione risulta interminabile, per noi 4 diventa una tentazione pericolosa quella di voler chiarire e chiarire all’infinito quello che l’altro non vuole in realtà ascoltare o quello che ci sembra di non aver espresso efficacemente. Anche a te capita questa cosa? Per quanto riguarda la foto del bimbo…assolutamente si…in privato per ovvi motivi di riservatezza e tutela di minori 🙂 sono curiosissima di vederlo … mi ricordi quanti anni ha adesso? Un bacione..

    #6348 Risposta

    Carla Basagni

    Ciao Marina, ti ho appena spedito alcune foto di Son, che ora ha sette anni. L’abbiamo adottato due anni fa, in Vietnam, e da due anni ci sembra di essere su un treno in corsa per i cambiamenti e progressi continui che fa nostro figlio. Son ha un carattere brioso e allegro, molto socievole ed espressivo E’ un vero maestro della comunicazione, uno di quelli che riesce a parlare anche con i muri. Non so dire con quante persone mi ha fatto parlare finora Son, con le quali non sarei mai entrata in contatto, altrimenti.
    Per quanto riguarda i 4, a me capita di fissarmi troppo a lungo su particolari che mi hanno dato fastidio e lo riconosco come mio grande limite. La sensibilità viene generalmente presentata come una cosa bella, ma spesso cado nell’ipersensibilità e non sempre riesco a “buttarmi dietro le spalle” le impressioni negative. Per un tipo come me, la tendenza all’isolamento può essere un pericolo reale, ma ora sono aiutata da mio figlio, un vero ponte di comunicazione con il mondo.
    Saluti carissimi,
    Carla

    #6349 Risposta

    Marina Pierini

    Cara Carla, mi hai fatta sorridere di cuore quando hai parlato di ipersensibilità perchè è stato come descrivere cos’è un manto pezzato ad una giraffa ehehehehehe ti capisco benissimo credimi! Per quanto riguarda tuo figlio, così come ti ho già scritto, sono stupita dalla bellezza e dallo sguardo incredibile che questo bambino ha. E’ un grande dono della vita. Lo siete gli uni per gli altri. E’ molto bello lasciare che i nostri figli ci insegnino le cose della vita. Troppo spesso noi crediamo di sapere tutto…eppure loro hanno uno sguardo pulito e chiaro sul mondo e del mondo che noi abbiamo perduto, perchè vediamo le cose come attraverso una cortina fumosa e complicata. Attraverso le loro verità, noi abbiamo l’occasione preziosa di riprenderci cose che abbiamo smarrito lungo la strada. Vi faccio veramente tanti auguri perchè la vostra vita sia sempre fortunata e ricca di amore, mi incuriosisce molto la vostra storia e se e quando vorrai mi piacerebbe sentirti raccontare la tua esperienza con un bambino addottivo (ovviamente o qui o in privato se non sono invadente). Un bacione forte..

    #6350 Risposta

    Carla Basagni

    Cara Marina,
    è proprio vero. Son mi ha insegnato tantissime cose: primaditutto a diventare mamma. Quando io e mio marito siamo andati a prenderlo non avevamo idea di quello che ci attendeva, nonostante tuttìi i libri letti e le conferenze ascoltate. All’inizio perdevamo la pazienza più facilmente, lo sgridavamo di più, eravamo perfino più stanchi. Ora abbiamo imparato ad essere pazienti e a non piegarci alle sue frequenti richieste, ad imporgli dei limiti, ma con maggior dolcezza rispetto a prima. Abbiamo anche imparato a giocare di più, a scherzare con lui e fra di noi. Sono sicura che è il bambino ad aver operato questo cambiamento nei suoi genitori, trasformandoci in quello di cui lui aveva bisogno. In questo senso è davvero un “piccolo maestro” per noi due.
    Forse nei prossimi giorni, ti scriverò qualcosa sulla storia della nostra adozione, alla tua email.
    Un bacione, Carla

    #6351 Risposta

    Marina Pierini

    Grazie Carla mi farà molto piacere, e visto che me ne dai lo spunto e l’opportunità, mi incuriosisce molto ad esempio conoscere le differenze “pratiche” riscontrate sul campo, rispetto ai suggerimenti magari letti sui libri. Insomma la realtà quotidiana è stata conciliabile con la dimensione “adozione” proposta dalle eminenti teste grigie? Oppure alcune cose sono state risolte in modi completamente differenti? Credo che le testimonianze dirette a volte siano molto più utili che tante pagine di libro. Aspetto con ansia qualche tuo racconto….un bacione.

    #6352 Risposta

    Raffaella Foggia

    Caro Antonio, che dolore mi ha fatto provare questa storia….. Fortunatamente nella mia vita novesca non ho dovuto subire una cosa così, però quanto l’ho sentito chiaro, quello che il tuo collega ha espresso… Riflettendo, noi Nove in qualche modo la sentiamo la rabbia, ma prima che possa non dico esplodere, ma evidenziarsi, la mandiamo giù. Immagino con molta tenerezza quel bambino che non ha detto nulla del fastidio anzi del dolore che sentiva (il prurito prolungato…. mamma mia!!) e lo immagino che si guardava intorno prima di concedersi un piccolo sollievo. Tra l’altro anche il modo con cui ha raccontato il modo con cui gli hanno risposto è da nove: quello che ha sentito è se fai come vuoi rinunci a quello che desideravi tanto…. e deve aver pensato me ne sto da solo? o soffro quel tanto che riesco (perchè poi in fondo ci riesco) per fare una cosa che mi piace e per di più con le persone a cui voglio bene? Per un Nove non c’è alcun dubbio sulla risposta….. L’espressione della rabbia è un modo per esprimere la propria opinione, il proprio Sé con il rischio (sentito in modo abnorme da un Nove) che gli altri ti voltino letteralmente le spalle (o ti lascino solo nel tuo lettino….): solo il pensiero è talmente spaventoso ceh si sopporterebbe qualsiasi cosa pur di non provare questa sensazione…..

    #6353 Risposta

    Carla Basagni

    Cara Marina,
    a questo ti posso rispondere subito. Quello che sconcerta, nell’esperienza pratica dell’adozione di un bimbo già quasi in età scolare, come il mio (adottato a 5 anni e mezzo), è che tutto accade nello stesso tempo e che questo terremoto incredibile travolge letteralmente la vita dei genitori adottivi, soprattutto di quelli al primo figlio. Nel primo periodo le aspettative dei genitori da una parte e del bambino dall’altra sono fortissime, ma sono fortissime anche le paure. Il bambino “mette alla prova” in modo spesso esasperante i suoi nuovi genitori, perchè ha paura di essere abbandonato “di nuovo”. La comunicazione è difficile, in tutti i sensi e non solo perchè si parlano lingue diverse, ma perchè non si è avuto un vissuto insieme. Il legame all’inizio è molto fragile, il bimbo non ti ascolta, sembra che dia retta a tutti meno che a te. Mentre sei in quel caos, la burocrazia certo non ti aiuta per niente e devi fare code in ogni tipo di ufficio perchè il bimbo sia finalmente riconosciuto come tuo figlio e cittadino italiano, con il codice fiscale, la tessera sanitaria, etc. Nel frattempo, devi seguire le vaccinazioni, i controlli medici, le malattie del bambino come tutte le altre mamme. Dopo pochi mesi c’è subito l’inserimento scolastico che per il bambino rinnova, all’inizio, la sua paura dell’abbandono. I pianti sono strazianti, il distacco temporaneo è difficile, ma si supera. E la scuola materna non è niente. Quando c’è il passaggio alle elementari a tutte le altre difficoltà si aggiungono i problemi scolastici che tutti i bambini adottati hanno. A loro non importa molto quello che si insegna a scuola, le loro prioirità sono altre (essere amati e coccolati da mamma e babbo), non hanno le performance elevate degli altri bambini, ci mettono molto tempo ad organizzarsi, etc. etc. Bisognerebbe che questo fosse capito di più dalle insegnanti e purtroppo non tutte sono consapevoli del fatto che questi bambini hanno delle difficoltà e non sono semplicemente “svogliati”. Quindi sono difficili anche i rapporti con il mondo della scuola. In tutto ciò, quello che dicono gli esperti sull’adozione aiuta moltissimo, perchè il percorso dei genitori adottivi è, per certi versi, simile a quello dei genitori biologici, ma anche molto diverso e, credo, più difficile del percorso naturale. Devo dire, però che, fatica a parte, è un ‘esperienza che arricchisce e dà senso alla propria vita ed è una vera rinascita, sia per il bimbo che per i suoi genitori.
    Ti saluto con simpatia, Carla

    #6354 Risposta

    Marina Pierini

    Cara Carla, ho letto con interesse quanto mi hai scritto…devo assentarmi per una settimana, dunque posticiperò la mia risposta, volevo solo avvisarti perchè mi spiace lasciare un silenzio così lungo. E’ comunque triste vedere quanto le istituzioni, che diventano la seconda casa dei nostri figli per un bel pezzo della loro vita, siano completamente impreparate a seguire ed accogliere nel migliore dei modi, coloro che rappresentano il nostro futuro…un bacione, a presto!

    #6355 Risposta

    Marina Pierini

    Cara Carla, per quanto possibile, vorrei non abbandonare questo argomento e approfittare della tua disponibilità per esplorare altri aspetti di questa importante esperienza che stai vivendo. Mi chiedevo ad esempio com’è stato l’approccio dei tuoi parenti, vicini o meno, quando tuo figlio è entrato anche nella loro vita. Ti sei scontrata con reazioni impreviste? Ci sono stati strani fenomeni di irrigidimento, mancanza di spontaneità o altro? Ti andrebbe di raccontarmi qualcosa ancora? Un bacione…

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