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La Bibbia del Diavolo- la forza dell’istinto di conservazione in un Cinque

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Questo argomento contiene 6 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da   13 anni, 2 mesi fa.

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  • #687 Risposta

    Antonio Barbato

    Nel mio lavoro sui sottotipi, in particolare su quelli misti, ho sempre cercato di verificare sul campo, quindi con l’osservazione diretta, la verità di quello che andavo affermando. Fedele all’impostazione che mi ero dato con l’Infant Observation e l’Infant Research, per cercare di comprendere l’origine infantile della Ferita su cui si struttura il tipo caratteriale, ho applicato le stesse regole alle manifestazioni istintuali che andavo studiando. Nel caso del Cinque un esempio eclatante è dato dal Codex Gigas, la cosiddetta Bibbia del Diavolo, il più grande manoscritto, in termini di volume complessivo e di peso, compilato da ignoti nell’alto medio evo. Ciò che rende straordinario il volume è la sua pretesa di trascrivere, in un solo tomo, non solo le sacre scritture, ma tutta la conoscenza utile ad un uomo del dodicesimo secolo. Una pretesa intellettuale simile a quella che il grande Cinque Jorge Luis Borges attribuisce ai suoi fanatici ricercatori del libro totale, nel suo immortale racconto la Biblioteca di Babele. Il libro, conservato in discreto stato a Stoccolma, fu compilato con ogni probabilità in Boemia intorno alla metà del 1200, ed è celebre negli ambienti bibliofili, perché la leggenda ne attribuisce la creazione ad una sola notte di lavoro, grazie ad un patto stretto fra un monaco condannato ad essere murato vivo ed il diavolo. Aldilà della leggenda, sottoprodotto della mentalità infantile e magica dell’alto medioevo, quello che è straordinario nel volume non è la figura a pagina piena del diavolo, raffigurato come un essere simile al dio pagano Pan, con due lingue che sporgono dalla bocca quasi per afferrare il lettore e artigli da predatore, ma l’incredibile quantità di libri miniati che esso contiene. Anche se nei secoli moltissimi furono quelli che, affascinati da quella figura incredibile, persero letteralmente il senno, come l’imperatore Rodolfo di Asburgo, cercando attraverso il libro, un qualche contatto fra il mondo del naturale e quello dell’ultraterreno, il vero tema rivelato dal libro è quello della Conoscenza intesa come potere, che offusca spesso la percezione interiore del senso di sé di un Cinque. Fra tutti i tipi il Cinque è quello, infatti, che più inclina a cercare il soprannaturale, il potere attraverso l’occulto, ed a sentire una stretta connessione fra se stesso e lo spirituale, inteso quasi come contrapposto allo psicologico. Per questa ricerca tutta fatta, in ultima analisi, di arroganza intellettuale, il Cinque può tendere a separarsi dalla realtà, ad auto rinchiudersi in una reclusione che può durare l’intera vita. Per tale motivo in alcuni libri dell’EdT viene definito come l’anacoreta, il Buddha non illuminato, il recluso, l’indagatore dell’inafferrabile, e nella ricerca su basi neuro fisiologiche, si sostiene che abbia una particolare relazione del resto del cervello col lobo temporale destro, quello che, in qualche maniera, racchiude su base fisiologica la percezione stessa del sovrannaturale e di Dio (qualunque cosa questo significhi per i lettori). La ricerca, condotta per cinque anni da una equipe di scienziati di varie discipline sul libro, conferma tutto quello che l’EdT ha sostenuto da tempo sul Cinque ed, in particolare, sulla variante mista Conservazione/Sociale, che io ho teorizzato nel 2002. Non voglio fare una lezione, ne un lungo monologo, per cui se qualcuno è interessato a questo tema mi scriva, ed io continuerò raccontando quali conclusioni gli studiosi hanno ricavato dalla Bibbia del Diavolo.

    #6367 Risposta

    Utente Ospite

    E’ interessante, ma……. che cos’è l’EdT??? conoscevo l’EdP!!!

    #6368 Risposta

    Carla Basagni

    Questa Bibbia del Diavolo è veramente un’opera bellissima. Non la conoscevo e quindi sono andata a vedere le informazioni disponibili in Internet e ho visto le immagini. Come si lega quest’opera al discorso sull’Enneatipo 5? Vorrei capire meglio. IL codice non sembra davvero frutto dell’ingegno di un solo autore ma, più verosimilmente, di un intero “scriptorium” del monastero presso il quale è stato scritto. Credo sia un’opera collettiva, frutto di più menti, certo molto raffinate ed abituate allo studio, come si vede dall’eleganza della scrittura e dalla qualità delle miniature. Quanto al testo, non ho approfondito cosa ci sia scritto oltre le Sacre Scritture, ma so che gli “scriptoria” dei monasteri,nel Medioevo, hanno svolto un preziosissimo lavoro di trascrizione e abbellimento anche dei testi classici, che sono giunti a noi proprio grazie al loro instancabile lavoro. Quindi non certo una, ma molte menti sono dietro a quest’opera. Sono curiosa di sapere cosa dirai su ciò che lega il “Codex Gigas” all’Enneatipo 5.
    Ciao, Carla

    #6369 Risposta

    Antonio Barbato

    Carla carissima, una delle sorprese più eclatanti fatte dall’equipe di studiosi, che hanno lavorato per cinque anni sul codice Gigas, è che l’intera opera non è frutto di uno “scriptorium”. A questa conclusione concorrevano l’osservazione che le miniature avevano tutte uno stile ingenuo e dilettantesco uguale, e non simile a quello di altre opere di miniatori professionali, l’assenza di variazioni nell’uso degli inchiostri e della loro modalità di composizione. E’ bene ricordare che ogni copista medioevale produceva secondo una miscela individuale l’inchiostro col quale vergava le pagine e che, di conseguenza ogni codice riporta queste differenze. Inoltre, nel caso del codice Gigas, i grafologi che componevano l’equipe concordavano nel ritenere che la grafia, per i suoi segni fondamentali che tu conosci bene, quali pressione, inclinazione, aderenza al rigo, eccetera, erano frutti di una sola mano. Un solo creatore, quindi, era l’autore di un’opera tanto imponente, e lo sforzo che gli era costato per compirla aveva occupato una vita intera. Considerato, infatti, il tempo necessario per scrivere una riga su una pergamena, le incombenze alle quali un monaco doveva, in ogni caso, attenersi, e le condizioni di luce utilizzabili, il compimento dell’intera opera aveva richiesto almeno trenta/trenta cinque anni. La leggenda attribuiva la creazione del codice ad una notte sola di lavoro, grazie al patto sottoscritto fra un monaco condannato ad essere murato vivo ed il diavolo, che gli avrebbe prestato il suo soccorso in cambio della sua anima. Gli studiosi ritenevano che, dietro l’evidente contenuto favolistico, vi potesse essere una parte di verità che era stata deformata e cercarono attraverso l’opera stessa, qualche indizio che potesse avvalorare la loro tesi ed…..effettivamente la trovarono nella parte finale del codice che riportava i nomi di una serie di abati e monaci del monastero nel quale il codice era stato scritto. Inoltre, la figura del diavolo non corrispondeva ad altra figura trovata in nessun libro ed era frutto di una visione che doveva, necessariamente, risalire ad una sola persona. Interessante, non è vero????

    #6370 Risposta

    Antonio Barbato

    Nella parte finale del manoscritto fra molteplici nomi di abati, vescovi e monaci di rilievo vi era, in corrispondenza del plausibile anno di composizione, un nome con una annotazione il nome era Hermanus cui era attribuito il titolo di inclusus. Questa parola in latino aveva due significati. Da un lato indicava qualcuno che era stato recluso, nel senso di condannato, ed a questo aveva fatto sicuramente riferimento la leggenda, dall’altro indicava qualcuno che aveva scelto per propria volontà di starsene ritirato, separato dal resto del mondo, votato ad un unica ragione; il compimento di un’opera di saggezza universale che avrebbe dato splendore e lustro al proprio monastero. Un tratto tipico ed incontrovertibile del tipo Cinque di conservazione, che sta benissimo in una condizione nella quale non deve preoccuparsi di cose materiali, che gli vengono fornite da altri, per potersi dedicare esclusivamente alla ricerca del sapere ed alla sua sistematizzazione. Come nel caso delle sacerdotesse di Vesta, che dovevano subire la reclusione da ogni altro tipo di rapporto per donarsi al fuoco di una unica fiamma, in questo caso il monaco aveva accettato di auto secludersi per giungere al compimento di una opera magistrale. Una forma di arroganza intellettuale che porta la persona a ritenere che quello che esprime e fa sia il compimento di una vita intera. Non a caso san Giovanni della Croce, il mistico più famoso della cristianità, che era un tipo Quattro, denuncia questa tendenza come il sapere che corrompe l’anima e la porta a preferire l’astratto al concreto, un mondo fatto di visioni rispetto all’esercizio dell’amore che è la via maestra per giungere a qualsiasi risultato.

    #6371 Risposta

    Utente Ospite

    Ieri ho provato a scrivere una risposta che non è arrivata. Quindi ora rifaccio un tentativo prima di scrivere. Carla

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