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Questo argomento contiene 19 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da Alice/Stefania 13 anni, 1 mese fa.
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Marina PieriniMi ricollego a quanto scritto da Chiara Tortorelli, in merito all’esperienza recentemente condivisa all’ultimo seminario di Antonio. Volevo solo avere un piccolo spazio per poter dire sia ad Anto che a Chiara e a chi legge e partecipa che si e’ trattata di una stranissima esperienza. L’inizio. Uno di quei momenti in cui, tutto sommato, ti sembra che nulla di nuovo ti venga detto, vedi la tua storia, i fili argentati che ti uniscono ad un certo modo di sentire la vita, ti sembra di vedere quasi dal di fuori un film che sembra essere comune a tutti i 4, cosi’ come devono averlo sentito comune gli altri enneatipi tra loro. Eppure….qualcosa frana dentro. Pietruzze dell’anima che si scompongono, in un rumore leggero, all’inizio. Poi qualcosa scivola, ti sfugge ai fianchi, senti che si e’ spalancata una porta, una breccia, indefinibile. Tutto sembra noto eppure l’eco di un turbamento lontano… rimbomba. Come quando piove all’orizzonte, tu sai che non e’ da te che piove eppure….quasi senti l’odore della terra bagnata e cominci a pensare che le nuvole prima o poi ti scivoleranno addosso, e’ inevitabile. Grazie Antonio, e grazie a chi, durante il seminario ha condiviso con profondita’ ed onesta’ la propria esperienza. Molti di noi non erano piu’ adulti, ma tanti bambini a disagio sulle sedie, che guardavano un po’ rimpiccioliti un mondo che sembrava inesplicabile. Andare avanti, oggi conta piu’ di ieri. Scoprire altro, lasciare che le nuvole arrivino, dunque, per scoprire che sapore ha la pioggia, dopo tanto tuonare.
Utente OspiteCara Marina,
belle le tue parole, intense come l’esperienza dei giorni scorsi! Le tue impressioni sono state molto simili alle mie. Anch’io all’inizio non percepivo niente che già non mi sembrasse conosciuto, eppure c’era qualcosa nell’aria di diverso, un disagio quasi palpabile..
Quando Antonio ha incominciato a enunciare con insolita drammaticità (lui che è sempre propenso alla battuta) quello che è davvero un dramma cioè perchè un bambino ha dovuto scegliere un determinato meccanismo che è limitante e lo costringerà per tutta la vita a adottare sempre quel paraocchi per sopravvivere, mi sono venuti i brividi. Quando Antonio ha pronunciato quella parolina che sembrava così inoffensiva:”Abbandono” mi sono venute le lacrime, ho di nuovo sentito la voce di mio papà “se non fai la brava me ne vado in Venezuela!”parole dimenticate da tanto, e mi sono vista mentre nel mio vestitino più carino e le scarpe di vernice trotterellavo dicendo tutta vezzosa: “Eccomi” tutte le volte che mi chiamavano…
Mi sono vista oggi quando tutte le volte che mio marito Gianco parte per una trasferta c’è una parte di me che si sente inevitabilmente “abbandonata”, ma guai a darlo a vedere troppo perchè se no come essere la “piena d’interessi, l’indipendente quella che mai confesserebbe di essere dipendente dal rapporto più di “una donna che ama troppo”???”
Davvero quanta vita, quanti momenti dietro quella semplice parolina “abbandono”, quanta difficoltà a crescere e a diventare grande e non più la bambina bambolina di papà!
Quanta difficoltà a esprimere a gridare la propria verità e non solo quello che gli altri vogliono sentirsi dire, quanta paura del rifiuto e di quell’abbandono come assenza d’amore, di calore…
I 2 orgoglio di mamma e papà hanno fatto di quell’orgoglio il loro.
Mi sono vista barcamenarmi tra l’amore di papà il preferito e quello di mamma..
Non è stato facile questo primo approccio alla ferita: durante la lezione Gianco ha di nuovo preso a girare come un folle l’enneagramma forse per sfuggire, non lo so…
Marina, hai ragione eravamo tanti piccoli bambini dell’asilo fraintesi e confusi sulle loro sedioline, rintronati perchè è stato messo allo scoperto il loro gioco segreto e ora come si fa?
Ora sto aspettando che sedimenti…
ChiaraScusate il messaggio di prima era il mio, non mi ero accorta di non essermi registrata! Chiara
Teresa🙁 🙁 🙁 mi sa che mi sono persa proprio una bella cosa. Marina la tua descrizione così intensa e così precisa, ha reso perfettamente l’idea di quanto profondo e incisivo è stato il vostro lavoro. Antonio ti chiedo di farmi sapere quando organizzi delle cose a Napoli, mi farebbe piacere partecipare qualche volta. Mi avevi accennato qualcosa rispetto ad un altro seminario, ma forse non ho capito bene. Ciao a tutti. Teresa
Marina PieriniTeresa Teresina…ti ricordo che anche il lavoro che abbiamo iniziato a svolgere a Firenze ci portera’ a lavorare sulla ferita originaria, per cui se sei interessata ricorda sempre di mettere qualcosa da parte nel salvadanaio per raggiungerci ogni 3 mesi ok??? il prossimo incontro sara’ a marzo…mi raccomando!!!! Vi abbraccio tutti e vi ringrazio per il calore che sempre avete voglia di condividere 🙂
Marina PieriniVolevo anche aggiungere una cosa. Ad un certo punto, domenica durante la fine del seminario, qualcuno ha detto che non bisogna pensare che quei genitori, che tante ferite e condizionamenti hanno causato, sono dei mostri. In qualche modo io mi sono associata a questa persona ed ho guardato a me, in quanto madre. Ho cercato di vedermi con gli occhi impietosi di un figlio, che domani scendendo nei propri abissi potrebbe guardare a me, come ad una persona che non ha saputo capirlo, che non lo ha amato abbastanza, che ha sbagliato e quant’altro. Lui, lo specchio dei miei limiti, cosi’ come me, prima di lui. Mi sono resa conto, che lavorare seguendo un solo senso di marcia, ci fa perdere l’orientamento, per un po’, ci spinge forse a dimenticare quella pieta’, quella umilta’ che sono sempre e comunque necessarie anche verso genitori che hanno potuto sbagliare molto. Quei nostri genitori ai quali tante e tante ne abbiamo dette 🙂 …siamo anche noi, agli occhi dei nostri figli…e io so che qualunque prova dovro’ affrontare, ho scelto di avere per mio padre e mia madre, la stessa consapevolezza della loro limitata umanita’, la stessa pieta’ che spero di trovare un giorno, nello sguardo ribelle di un figlio che vuole volare. So che hanno fatto del loro meglio. So che loro sono cio’ che sono, e che a modo loro hanno cercato di offrirmi la vita che gli sembrava possibile. Il resto tocca a ciascuno di noi. Non puo’ dipendere da altri. Bisogna prima o poi tagliare quel cordone e lasciarli andare… perche’ qualche volta sono proprio i figli a non volersene andare, a non voler mollare quei genitori tanto contestati eppure tanto desiderati, talvolta il rancore, l’insofferenza, la rabbia, sono sentimenti che ci veicolano verso un “ancora mamma! ancora papa’” e non sappiamo capirlo. In ogni caso….mi sa che la prossima volta la mazzata sara’ anche piu’ pesante! 🙂
Antonio BarbatoOvviamente parlare della Ferita Originaria per me sarebbe un po’ come parlare “pro domo sua”, visto che sono l’autore di questa teoria che ho riscontrato moltissime volte spiegare bene la crescita e l’evoluzione dell’ego nelle persone. Per rispondere alle osservazioni di Chiara e Marina, però, debbo necessariamente testimoniare di quello che accade quando si comincia ad approfondire la Ferita. Normalmente la prima reazione è di considerare la cosa come se la conoscessimo da sempre, quella che io chiamo la sindrome del pesce nella sua boccia di vetro, poi qualcosa dentro di noi si infastidisce davanti a quella realtà, cerca di negarla, di dire che non è stato così o che quella esperienza che la parola evoca l’abbiamo, forse, vissuta in passato, ma che oggi ne siamo pienamente usciti, che non abbiamo alcun bisogno di confrontarci ancora con essa. Ancora una volta è l’arroganza dell’ego che ci porta a ritenere di essere superiori a quello che, invece, palpita irrisolto da sempre e che possiamo vedere sia nella relazione con i nostri figli, se siamo genitori, sia nell’incapacità di agire in un modo diverso. A poco a poco, se l’ego non è estremamente ostinato nel fingersi superiore, gli echi si amplificano e le persone diventano ostili verso la loro esperienza e sempre più prese da quella che prima ci sembrava una cosa così evidente. In questa fase fuoriescono naturalmente ricordi e sentimenti che avevamo dimenticato e questo ci rende ancora più soggetti alle nostre perturbazioni emozionali. Come hanno scritto Marina e Chiara e come se piccole pietruzze precipitassero giù senza la nostra volontà e, finalmente, qualcosa, senza la nostra volontà, comincia a muoversi. Non c’è, ovviamente, nessuna garanzia che questo “smottamento” ci conduca su un terreno più facile, ma, almeno, incominciamo a liberare le nostre radici da quella mota che le aveva imprioginate senza che ce ne accorgessimo.
Utente OspiteLe Cinque Ferite e come guarirle Lise Bourbeau Prezzo € 12,00 edizioni Amrita Pagg. 152 Rifiuto, abbandono, ingiustizia, umiliazione e tradimento, sono le 5 ferite che ci impediscono di essere ciò che siamo davvero.
Antonio BarbatoIl genere di messaggio lasciato dal nostro utente ospite è quello che io preferisco perché, se è un tentativo di dare un contributo costruttivo, mi permette di chiarire in profondità alcuni aspetti della Ferita Originaria, mentre, se è solo un tentativo di delegittimazione, riceve una immediata confutazione, in questo caso, come dicono gli americani, nice but no cigar. Allora……. L’opera della Bourbeau mi è nota, poiché mi fu segnalata alla fine del 2002 da una iscritta alla AIE che aveva letto il mio articolo dalla Ferita alla Nascita dell’Ego sul loro bollettino, e, contemporaneamente da un amico francese che aveva letto la versione nella sua lingua sull’Enneagram Monthly. Mi sembrò opportuno, di conseguenza, di acquistarla, perché volevo leggere ogni cosa che trattava del tema su cui stavo lavorando. Il libro è interessante ed ha alcuni spunti veramente originali, tuttavia, si differenzia dalla mia impostazione in almeno quattro punti fondamentali. In primo luogo l’origine della Ferita viene fatta risalire, in ultima analisi, ad una posizione di tipo karmico nella quale l’anima si incarna per vivere quella esperienza, nella mia la Ferita è il risultato di un naturale adattamento del bambino alle esigenze dell’ambiente che lo plasmano e lo spingono in una direzione. In secondo luogo l’identificazione delle Ferite (che sono solo Cinque e non danno alcuna spiegazione dell’origine di alcuni tipi come il Sei o il Sette) avviene soprattutto attraverso un’analisi delle forme del corpo, dato che l’impostazione della Bourbeau è soprattutto quella della scuola neo bioenergetica, mentre io ritengo che questo tipo di analisi sia largamente insufficiente e frammentaria. In terzo luogo manca completamente un esame delle energie che occorrono per una corretta crescita e della ricerca del piacere, che guida il bambino nella scelta di una posizione esistenziale come così nella sua ricerca del male minore, e questo non dice nulla sul perché una maschera sia adottata anzicchè un’altra. In ultimo, la limitazione dell’analisi solo ai tipi derivanti dalla caratterologia reichiana, non permette all’autrice di osservare che esistono dei tipi, quale il nostro Tre, che non utilizzano una maschera per difendersi, ma si identificano completamente con essa e non la avvertono nemmeno come tale. Ci sono, ovviamente, molteplici altre differenze, ma credo che queste brevi spiegazioni daranno ai lettori il chiaro discrimine fra le due posizioni. Voglio aggiungere che non ho mai nascosto, infine, il mio debito di riconoscenza verso le opere di Alice Miller. Se qualcuno ha la voglia e il piacere di leggere Il Dramma del Bambino Dotato, da me ripetutamente citato, troverà una interpretazione del dramma infantile molto in linea con quello che penso io ed anche, seppur non chiaramente dichiarate, le linee guida di molte delle Ferite da me delineate.
Antonio BarbatoTorno sul tema della Ferita per condividere un concetto che mi sembra veramente importante: non possiamo mai esserne veramente fuori se prima non abbiamo avuto l’esperienza delle tre passioni principali. Se non viviamo pienamente paura, vergogna e rabbia, la Ferita resta lì e tutte le nostre belle parole sono solo un’altra illusione con la quale auto ingannarci per dirci che siamo superiori. In questo tentativo di auto rigenerazione non possiamo fare tutto da soli e nemmeno con l’aiuto delle persone che, a suo tempo, ci procurarono quelle esperienza che generarono la ferita. Anzi, riconoscere che l’infanzia felice o infelice è stata spesso più frutto della nostra elaborazione che della realtà oggettiva, è solo il primo passo per riappropriarci di emozioni dimenticate da troppo tempo. Venti anni fa lavorai per un certo tempo con la tecnica dell’urlo primario ed imparai allora quanto fortemente le emozioni passionali sono sepolte dentro di noi. Quell’esperienza mi fece capire che tutte le razionalizzazioni non servono a nulla. La Ferita è lì dura e cruda come la luce di certe giornate estive, è l’ego può solo cercare disperatamente di distogliere lo sguardo per evitare di essere crocefisso dalla realtà. Sentirsi superiori o al riparo è solo un giochino dell’ego, nè più nè meno, ma non cambia la sostanza delle nostre vite.
ElisabettaStò leggendo il libro della Bourbeau e sono rimasta sorpresa per la convinzione e la determinazione con la quale l’autrice porta avanti l’ affermazione che il nostro corpo, più di ogni altra cosa, parla per noi e che solo attraverso la sua lettura possiamo vedere chiaramente la ferita che portiamo dentro. Il nostro ego lavora per nascondere ai nostri occhi le ferite che in passato ci hanno causato tanta sofferenza, ma, “il corpo non mente mai”, ripete continuamente la Bourbeau “diversamente da noi che spesso mentiamo a noi stessi”. Il corpo diventa quindi uno strumento ed un veicolo attraverso il quale l’anima cerca continuamente di sanare la ferita purificandosi attraverso tante vite. Il corpo fisico acquista nella sua opera una grande importanza proprio perchè è l’anima, a seconda della ferita originaria, a scegliere il corpo nel quale reincarnarsi, così che, con la semplice osservazione, possiamo facilmente comprendere la nostra sofferenza e trovare la via della guarigione. Lo stesso vale per i genitori o la famiglia che viene scelta affinchè si possano rivivere le stesse ferite. E’ interessante, come il pensiero di alcuni psichiatri, che credono nell’origine karmica della nevrosi e non si curano tanto di individuare traumi infantili quanto di rimuovere energie bloccate da traumi o forti sofferenze vissute nelle vite passate. Chi può realmente dirci dove sia la verità ? Nonostante questo credo anche io, come dice Antonio, che le ferite siano da ricercarsi nella nostra infanzia, nella fatica e nello sforzo di nascondere la sofferenza e sopravvivere.
Alice/StefaniaLavoro da molti anni sul corpo e posso affermare che il “corpo non mente mai”. Le risposte che mi servono non me le danno quasi mai i clienti, bensì il loro corpo. Si può lavorare sulla mente attraverso il corpo e viceversa, ma il linguaggio del corpo è sincero, le parole spesso non lo sono, anche quando si è convinti di avere detto la verità. Molti disturbi psicologici si possono attenuare e ridimensionare attraverso un lavoro corporeo che favorisca uno sblocco di tipo vegetativo, ecc. Il lavoro sul corpo è straordinario, così come rendendo più flessibile la nostra mente, diventiamo molto più sciolti e flessibili a livello corporeo, senza fare nessun tipo di ginnastica. Il corpo, nel suo insieme, mette in mostre le ferite anche più nascoste, sta nel professionista a comprenderle e quindi proporre il percorso terapeutico più idoneo.
ElisabettaAnche io credo che il nostro corpo parli per noi, che attraverso una corretta interpretazione dei segnali che esso ci invia possiamo curare e cercare di sanare le nostre ferite, la mia perplessità nell’opera della Bourbeau riguarda soprattutto la convinzione che veniamo al mondo con derterminati tratti fisici, già predeterminati, per guarire ferite arcaiche. Per il resto le sue riflessioni mi sono sembrate interessanti partendo però da un altro punto di vista, e cioè che il nostro corpo, la postura, la gestualità, la comunicazione sono fortemente influenzati dalla meccanicità con la quale rispondiamo e ci rapportiamo agli altri, credo che sia la struttura della nostra personalità o del nostro ego a direzionare e condizionare la nostra corporalità. Certo Alice tu sicuramente puoi vedere più chiaramente dall’esterno la presenza di certi blocchi emotivi e questo tipo di lavoro credo sia tanto positivo soprattutto quando si riesce a dare armonia e fluidità nell’interscambio delle energie mentali e corporee.
Alice/StefaniaNon ho letto la Bourbeau, se mi scrivi il titolo, mi farebbe piacere leggerlo. Grazie. buona serata.
ElisabettaE’ scritto nel messaggio lasciato da un utente ospite qui sopra, data 27/01. A me il libro comunque è piaciuto, anche lei ribadisce la nencessità di comprendere ed accettare le nostre ferite, con compassione verso noi stessi e senza paura di essere travolti da sentimenti di paura, vergona e rabbia perchè ora, da adulti, possiamo affrontarli se ci concediamo di riviverli attraverso il perdono, la consapevolezza e l’umiltà di essere esseri umani imperfetti e fragili.
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