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La nostra famiglia, lo sforzo, la volontà e il cambiamento.

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Questo argomento contiene 31 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da  Eleonora 13 anni, 2 mesi fa.

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  • #669 Risposta

    Utente Ospite

    Carissimi, stamattina, invece di lavorare, ho rubato una mezz’ora per poter rispondere a qualche spunto degli ultimi giorni. Come ho già scritto, frequento una scuola di counseling, e gli argomenti dei primi tre seminari hanno avuto a che fare con la materia prima per un counselor relazionale: il gruppo familiare. Dunque abbiamo parlato della coppia, poi dei figli, poi dei nostri genitori. La famiglia, ci dicevano, è un gruppo che costringe tutti noi a fare un’esperienza a “fasi” durante le quali la gerarchia interna, il nostro “posto” cambia a seconda della nostra età e del momento storico in cui viviamo quel dato spostamento. O almeno, così dovrebbe essere. Cerco di spiegarmi in poche parole perché il materiale è tantissimo. I genitori sono o dovrebbero essere fra loro dei “pari” ossia due individui adulti. Poi vi sono i figli che nella gerarchia familiare sono “pari” fra fratelli ma sottoposti (per così dire) agli adulti. I figli a loro volta, quando saranno adulti e usciranno dal sistema familiare di origine, formeranno un altro sistema in cui assieme al partner saranno “pari” ed i figli saranno i nuovi sottoposti. Ovviamente è chiaro che in queste due definizioni vi è inteso il senso profondo di un ruolo motivato, che non deve essere sovvertito. Il bambino non può considerarsi un pari dell’adulto, questo genera confusione nella mente immatura del bimbo, perché egli non ha una giusta percezione delle cose del mondo, il suo senso della realtà dipende interamente da ciò che i suoi familiari sapranno trasmettergli, oltre al fatto che dipende affettivamente dai suoi genitori. Un bambino, anche un adolescente sono “immaturi” rispetto a ciò che ancora non sanno della vita autonoma. A seconda di come i genitori sapranno gestire questo ruolo, oggettivamente differente dunque, dipende la serenità e la stabilità di un bambino man mano che cresce e conquista il suo spazio. Il rapporto che noi tendiamo ad avere con l’autorità, da grandi, è strettamente legato a come i nostri genitori gestivano con noi, da piccolissimi, il loro ruolo. Se ci consentivano di mettere continuamente in discussione quanto decidevano e lasciavano “passare” che questo atteggiamento era degno di attenzione, costruttivo, commettevano l’errore inconscio di sovvertire una posizione che invece è indispensabile mantenere, per l’equilibrio di chi ha bisogno di essere “contenuto” dall’adulto e non il contrario. Contenuto, e non costretto, ovviamente. Questo non va bene anche se il bambino si sente investito di importanza affettiva nell’atto della sua contestazione. Questo comportamento può generare in altri figli, non importanza ma piuttosto una sensazione di sovversione caotica dell’ordine naturale delle cose e renderli profondamente aggressivi ed insicuri…e così via. Peggio ancora se i figli occupano un posto lasciato vuoto da qualcun altro. In un “sistema” questo è quello che accade sempre, quando un posto che prima era pieno, viene lasciato vuoto. Gli occupanti subiscono un trauma, un urto interiore e si spostano per cercare un nuovo equilibrio, senza il quale il sistema stesso tende a sfasciarsi. Possiamo immaginare cosa accade quando un fratello maggiore non c’è più, o quando manca uno dei genitori (fisicamente o psicologicamente) ed un figlio si sposta innaturalmente dal suo ruolo, occupando il posto lasciato vuoto. Sono sicura che conoscete bene figli che si sono trovati a fare da genitori, e genitori che han fatto i figli e così via e di quanti conflitti interiori questi spostamenti abbiano provocato. Quanti equivoci e disequilibri. La posizione, quella giusta di ciascun ruolo, è un imperativo nell’ordine naturale delle cose, se si vuole crescere in un contesto equilibrato, ma spesso noi non ne abbiamo una giusta percezione. Tendiamo a proiettare sentimenti negativi di sottomissione ed umiliazione alla posizione subordinata e deformiamo il senso “neutrale” e “naturale” che in origine essa ha. Questo ed altro, molto altro, è stato oggetto di analisi in questi incontri e se vi va, pian piano potremmo discuterlo quassù. Una delle cose che mi ha colpito molto ieri, e da cui deriva il titolo “aperto” di questo post è che noi dobbiamo imparare ad uscire da questi ruoli strutturatisi disarmonicamente nell’infanzia e divenire adulti liberi. La condizione basilare affinchè il reale cambiamento abbia luogo è quella di non confondere mai lo sforzo con la volontà. La nostra meccanicità tende a portarci ad un continuum lineare. Azione, reazione. Quando noi avvertiamo un bisogno, agiamo per raggiungere un obiettivo che lo appaghi, e lo sforzo che investiamo per il raggiungimento di questo appagamento lo chiamiamo erroneamente volontà. In realtà chi di “impulso” non riesce a non cedere al proprio bisogno, sta agendo meccanicamente. Impulso, appagamento. Bisogno impellente, reazione. La volontà è altro. Talvolta la volontà sta nell’andare contro il corso spontaneo delle nostre esigenze interiori, contro i nostri stessi bisogni, contenendoli, bloccandoli, senza soccombere alla necessità di estinguerli quanto prima. Rabbia, amore, fame, desiderio sessuale, paura e così via. Attraverso la disciplina e il sapersi “fermare” contenendo la nostra reattività “spontanea” che non è affatto “naturale” e quindi da non confondere, ma gestita dall’ego, possiamo prendere una direzione che comincia ad essere veramente libera. Manipolare noi stessi, fermarci al momento giusto, fare finalmente quello che non faremmo ed esperirlo. Questa, si diceva, è espressione della più corretta volontà, della propria disciplina, del proprio impegno correttivo teso al cambiamento e non dello sforzo che ci porta a tornare sui sentieri lineari del nostro ego. Scusate la mia prolissità ma devo recuperare tempo 🙂 sono stata chiara? che ne pensate?

    #6149 Risposta

    Marina Pierini

    scusate, ero io.

    #6150 Risposta

    Carla Basagni

    Sì, sono d’accordo con quello che dici. Aggiungerei che questo controllo dei nostri impulsi in modo da poter essere più “liberi”, come tu dici, è anche il “normale” percorso di crescita che porta le persone ad uscire da tutti gli sconvolgimenti emotivi dell’età giovanile e le fa approdare ad un’età più matura, in cui si impara a scegliersi liberamente degli obiettivi e a perseguirli con più continuità, mettendo le nostre emozioni al servizio dei nostri obiettivi e non più noi al servizio delle emozioni, come accadeva prima.
    Un saluto a tutti,
    Carla

    #6151 Risposta

    un atomo

    il concetto di autorità come il concetto di famiglia sono concetti che possono essere trattati solo se riusciamo a storicizzarli. c’è un’importante ed etereogenea corrente filosofica che ha messo in crisi il concetto di famiglia in quanto famiglia borghese, partendo da Marx, Marcuse, passando per Sartre, Laing e Cooper, sono i testi con cui sono cresciuta negli anni 70. Oggi siamo in pieno riflusso e navighiamo nella confusione ideologica, qualsiasi cosa abbia la melassa di buonismo va bene, vogliamo crederci per non guardare la realtà. Il fatto è secondo me che l’autorità svolge un ruolo positivo e giustamente normativo, solo quando è riconosciuta e accettata come tale sulla base delle cose sostanziali che esprime . Non basta rivestire un ruolo accettato dalla società per potersi vestire d’autorità. La famiglia da millenni non ha più un senso naturale ma ha uno scopo sociale che è variato, varia tuttora e continuerà a variare. Se così non fosse e cioè se veramente la famiglia fosse qualcosa di naturale, lasceremmo andare i nostri cuccioli appena capaci di sopravvivere come fanno gli animali. Se solo vogliamo analizzare la nostra storia recente in Italia prima le famiglie concepivano un gran numero di figli per utilizzarli come forza lavoro, e in un infausto periodo persino per donare figli alla patria ! Ancora negli anni 70 non erano rare le storie di padri- padroni, e sono diffuse molto anche ora anche se fingiamo di non vederle. La capacità di ogni nuova generazione di sapersi opporre e criticare l’autorità dei padri è l’unico motore di evoluzione nella storia umana. Se la generazione degli illuministi non si fosse ribellata ai padri non sarebbe neanche nato il concetto di scienza, se nell’ottocento non avessero messo in dubbio le certezze del secolo dei lumi ci saremmo persi non solo le grandi opere romantiche ma una visione della vita diversa. Senza la messa in crisi della famiglia borghese tutto il 900 scomparirebbe. Ogni grande idea è nata dalla messa in discussione dell’autorità corrente. Supina accettazione dell’autorità: nessuna riforma religiosa, politica, sociale, nulla di nulla. Passando dalla storia collettiva alla storia personale il momento in cui diventiamo grandi è quando siamo capaci di criticità rispetto ai valori che ci hanno passato. Criticità non vuol dire ribellismo, significa assumere parte di quei valori come propri in quanto li sentiamo rispondenti al nostro essere e rispettosi dei nostri obiettivi di vita e desideri profondi di realizzazione esterna ed interna, altri li rifiutiamo e ce ne allontaniamo senza per questo perdere l’affettività verso i nostri cari allora se assumiamo la responsabilità delle nostre scelte diverse siamo diventati anche noi adulti. . Personalmente non sento di provare sentimenti di umiliazione o sottomissione nei confronti dell’autorità semplicemente per me l’autorità è tale solo se la riconosco come guida, se la accetto e la rispetto e se trovo in essa la stessa capacità di rispetto e di accettazione nei miei confronti. Se questo non accade sento di non dover rinunciare ad essere individuo pensante e se necessario oppormi a regole che non condivido. Mi fido del mio senso interno di autodisciplina e di rigore morale, so che non mi opporrei per ricavare un vantaggio personale, nè per rubare, prevaricare o fare del male ad altri, quindi mi adeguo a moltissime norme perchè le sento accettabili e ne riconosco il valore di tutela della società ,laddove non è così credo che bisogna osare e andare controcorrente. La morale comune è spesso una terribile fogna, e varia con il variare del vento o delle convenienze dei più potenti. Quando ero piccola la morale comune che è poi la forma più diffusa e insidiosa di autorità ci spiegava che i gay erano malati ed andavano curati nei manicomi possibilmente con l’elettrochoch , non era una deviazione sapete era proprio nei manuali di psichiatria. Lo dicevano persone molto autorevoli. L’autorità dei preti spiegava che con la masturbazione si diventava ciechi, l’autorità dei padri segregava la femminilità ad angelo del focolare o a puttana. Non parliamo di quello di cui sono capaci ora le cosiddette sane famiglie, vivo tutti i giorni queste problematiche per il mio lavoro, l’unica speranza che coltivo è che i bambini possano emanciparsi dalle cosiddette cure amorevoli di tanti genitori. Io sono molto convinta della bellezza, della forza e della speranza che c’è nella capacità dell’essere umano nel non accettare supinamente alcuna cosa, nè madre, nè padre, nè capo, nè guru, nè idea precostituita di Dio, in questo mio sentire non c’è traccia di rabbia ma una gioia profonda e una grande fiducia nell’esistenza e nell’essere umano. Per questo devo ringraziare la mia famiglia che era strana, inadeguata e diversa ma assolutamente capace di donarmi un senso di integrità delle scelte senza mai subire le falsità e le ipocrisie del pensiero dei più. Mi hanno insegnato ad ascoltare le cose dentro, nella propria coscienza,e a dare valore di autenticità alle cose autentiche sapendo discriminare quelle che autentiche non sono. In questo sono stati molto autorevoli per me, si sono meritati il mio rispetto e la mia stima, perchè non mi hanno voluta addormentata e sottomessa ma viva e partecipe delle cose, non attaccata alla norma ma capace di elaborarla e di contribuire da adulta a modificarla se necessario, mettendo impegno e coraggio. Io sono per un mondo di pari, dove qualcuno può assumere la guida ma solo se noi lo riteniamo capace di saper guidare e decidiamo di poterci affidare.

    #6152 Risposta

    un atomo

    Vorrei dire un’altra piccola cosa molte persone converrebbero con i miei ragionamenti fin quando non si trovano esse stesse a gestire una pioccolissima fetta di potere, a volte veramente microscopica, da quel momento in poi si sentono rivestiti di una qualche autorità e si rivelano spesso meschini e fobicamente costrittivi. L’ho visto capitare sul lavoro decine e decine di volte, mi fa una tristezza infinita, è tutto terribilmente prevedibile…l’arroccamenbto sulle posizioni, il senso di piccolo privilegio, una visione miope ed asfittica al solo scopo di rivestire un minimo ruolo nella vita, altro che re- azioni dell’ego, non le vedete anche voi queste cose nel mondo in cui vivete e lavorate?

    #6153 Risposta

    Marina Pierini

    Credo che non si debba confondere la criticità con la fase di “differenziazione” naturale che in ogni adolescente deve svilupparsi, affinchè esso possa staccarsi dai cordoni ombelicali della famiglia e cominciare ad essere individuo, con tutto quello che ne consegue fino all’ agnognata fase di adulto. Si parla piuttosto di ruoli, di equilibrio e di condizionamenti molto spesso inconsci. Temo che i discorsi troppo generalizzati tendano a distanziarci dalle piccole realtà quotidiane del nostro nucleo. Personalmente, non dimentico di essere un 4 e non dimentico che l’invidia fa parte di me, e che questo significa qualcosa di molto pregnante…di condizionante, come solo una Passione può esserlo. Mi piace lo spunto sulle nostre famiglie. Mi piacerebbe arricchirlo per vedere se si trovano cose in comune. Dovranno pur essercene tra tipologie analoghe..no? Elisabetta, Carla, Maurizio…mi farebbe piacere ascoltare anche voi…

    #6154 Risposta

    Carla Basagni

    Marina, vuoi spingerci a parlare delle nostre famiglie d’origine? Tasto difficile e anche un po’ doloroso. Conoscere meglio l’Enneagramma, per me che vengo dalla grafologia, significa anche inquadrare meglio quello che già vedevo dalle scritture dei miei genitori e nella mia stessa scrittura (sono figlia unica). A voi, cultori della materia, posso dire che io, tipo 4 protetta da uno spesso strato di 5, provengo da un ambiente 6 ( fobico + controfobica). Ho sempre avuto una forte passione per lo studio delle personalità, a cominciare dalla mia naturalmente. Il senso di carenza mi ha caratterizzato molto, soprattutto in passato, credo dovuto in parte alle ansie bloccanti espresse ed inespresse che provenivano dai miei genitori ed in parte dal rapporto “tutto di testa” che ho avuto soprattutto con la mamma, quando ero piccola. La mia sensazione era che i miei genitori non riuscissero mai a “vedermi” davvero, in profondità, ed è per questo che ho iniziato ormai da anni il mio viaggio introspettivo: perchè mi voglio soprattutto “vedere” e conoscere e, insieme a me, tentare di conoscere più in profondità anche gli altri. C’è qualcosa in comune con altri 4 o 5?
    Un caro saluto,
    Carla

    #6155 Risposta

    Marina Pierini

    Carissima Carla…non spingo nessuno 🙂 il mio è un invito che si può anche rifiutare. Ci vuole coraggio a contattare quel dolore intimo che ci spaventa e inibisce, che non è il dolore col quale i 4 cercano di farsi vedere, col quale si identificano. Quindi grazie innanzitutto per la tua apertura e la tua testimonianza. Trovo una certa analogia con la mia storia familiare visto che anche mia mamma è un tipo 6. La sensazione di invisibilità è generica, quindi un pò di tutti, ma nel 4 assume una certa specificità, motivo per cui l’Autenticità diventa il nostro Alibi (in termini di edp). I viaggiatori 4 sono moltissimi. Aver contattato il senso di carenza mi sembra un’altra analogia importante con la mia storia, a me è servito per prendere atto che c’era qualcosa che non andava nel mio modo di pormi nei confronti di me stessa e della mia vita…diciamo che è stato un input positivo, paradossalmente, accettare di sentirmi carente perchè mi ha incuriosita, mi ha spinta a chiedermi perchè, che cosa significava ed ho fatto il primo passo. Molto bello parlare di rapporto di testa coi tipi 6 e del contrasto che si scatena in un bimbo o una bimba emozionale. Posso chiederti se i tuoi genitori sono ancora viventi?

    #6156 Risposta

    Carla Basagni

    si, si, sono ancora vivi ed hanno una bella età (quasi 80 anni tutti e due). Premetto che voglio molto bene ad entrambi.
    Comunque, a un certo punto della vita, mi sono trovata a fare un faticoso cammino di rielaborazione dei miei stati d’animi, appunto di carenza, diciamo così. E qui ho dovuto fare i conti con gli effetti prodotti, dentro di me, proprio dal rapporto con la figura materna. Tu sai bene che si tratta in gran parte di emozioni inconsce, di cui l’adulto non ha più memoria cosciente, se appunto non ci lavora sopra con una terapia individuale. Ebbene io ci ho lavorato sopra e ne sono diventata consapevole.
    Per un bambino il linguaggio del corpo è tutto. Lo vedo ora con mio figlio adottivo, che ha sei anni, e con il quale sto vivendo ,da un anno, un’esperienza per me davvero sorprendente. Il contatto fisico con il corpo della mamma, il suo odore, i suoi gesti, lo sguardo della mamma per il bambino sono tutto il mondo, anzi sono il suo modo di sentirsi collegato con il resto del mondo. Direi che, da punto di vista del bambino, si parte dalla mamma e poi ci si può espandere nel mondo. Quando la mamma (sto parlando della mia mamma 6 controfobico), per problemi di vissuto personale di cui non è certo colpevole – e spesso nemmeno consapevole- è “dura”, per il bambino assomiglia alla mamma “filo di ferro” dell’esperimento di Harlow. Credo si chiami così lo studioso che ha fatto l’esperimento delle due scimmiette, una alla quale avevano dato una sagoma morbida e calda a cui attaccarsi e l’altra a cui avevano dato una sagoma di filo di ferro, appunto;mentre la prima si era adattata bene all’ambiente, la seconda aveva mostrato in età adulta un comportamento più “strano”.
    Per ora mi fermo qui ed aspetto eventuali altri messaggi da parte tua o dal gruppo, se qualcun altro volesse inserirsi e raccontare la sua testimonianza.
    Ciao e a presto, Carla

    #6157 Risposta

    Elisabetta

    Non so molto o niente di sistemi familiari, purtroppo, perchè trovo questo argomento veramente interessante. La famiglia resta la prima e fondamentale esperienza di vita ed i rapporti affetivi, di interscambio e comunicazione con i familiari sono il punto da cui partire per ritrovare noi stessi. Non avendo più i genitori purtroppo non posso confrontarmi con loro o approfondire e conoscere meglio la mia storia o il mio modo di essere bambina attraverso i loro occhi. La cosa che ho trovato interessante e che mi ha colpito nel post di Marina riguarda il trauma causato dalla perdita di un genitore. Io, che ho perso mia mamma all’età di sette anni, credo di sopportare e sentire tutt’oggi questa perdita, e come reazione, di continuare a compesare questo vuoto con comportamenti meccanici che tendono secondo me ad alleviarne il dolore. In primo luogo tendo sempre a comprendere e sostenere gli altri psicologicamente a volte rinunciado a me stessa o alle mie esigenze: questo l’ho vissuto sicuramente dopo la morte di mia madre nei confronti del babbo, cercare di capire di sostenere una persona che soffre o che è rimasta sola ti da un carico di responsabilità non indifferente…..Altra cosa che ho notato nel mio comportamento è la necessità continua di proteggere i miei cari o tutte le persone che in genere entrano nel mio mondo affettivo compresi i miei cani. Ciò allo stesso modo accade perchè il mio cruccio più grande da bambina è stato quello di non sentirmi protetta da nessuno e questo dolore ha fatto si che da adulta io senta soprattutto nei confronti delle mie figlie una necessità impellente di proteggerle da tutto, fortunatamente ne sono
    consapevole e cerco di controllare e correggere questo impulso.

    #6158 Risposta

    Marina Pierini

    E’ bello parlare delle cose che ci appartengono al di là delle teorie. Avete scritto due post molto delicati e interessantissimi. Rispondo separatamente per godere di questo momento. Mi trovo in accordo non solo mentale, ma anche emozionale con Carla, quando parla di fisicità e contatti. Conosco l’esperimento che citi Carla, anche Antonio ne parla spesso quando ci fa presente che l’essere umano è un sistema complesso che ha bisogni a molteplici livelli e che per giungere a certe consapevolezze tutti i livelli devono partecipare….e quello fisico, di contatto caloroso è tra quelli indispensabili nell’esistenza del bambino. Anche noi adulti ne abbiamo bisogno, ma se da adulti possiamo elaborare il significato di bisogno elevandolo e spostandolo su qualcosa di differente dalla dipendenza, per il bambino, non è così. E’ un fatto provato. Qualunque cosa farebbe un bambino pur di ricevere l’amore dei genitori e l’amore nel suo mondo di percezioni è fatto di suoni, immagini e contatto. Io credo che spesso ai 4 sia mancato il riconoscimento fisico. O che il messaggio sia giunto distorto. Anche se forse non del tutto. Mia mamma non è stata mai particolamente calorosa, baci e abbracci non ne ricordo, ma mio padre in qualche modo ha saputo compensare quella coccoloneria che nutre la fiducia del bambino e lo fa sentire accettato. Mio padre è stato il mio più sorprendente traditore e anche il mio “salvatore”. Il suo ruolo di secondo piano rispetto alla mia attenzione mi ha sempre stupita e spesso non piacevolmente. Si tratta di una contraddizione che sto elaborando emozionalmente in questo periodo e mi lascia veramente a bocca aperta scoprire quanto “ignoto” si muove dietro le tende del nostro “noto”. Sai Carla, noi tutti ricordiamo bene il nostro vissuto e scambiamo questa memoria personale con la consapevolezza. Mi rendo conto ogni volta che la comprensione psico/fisico/emozionale del significato del nostro passato è un’esperienza assai più elaborata e complessa. So che la relazione con mia mamma, che è ancora in vita, è in sospeso. Lei è stata per me l’irrisolto di sempre. Così credevo almeno. Ma noi abbiamo due genitori e questa consapevolezza è fondamentale per scoprire che “posto” avevamo nel nostro sistema familiare. So che sto scoprendo cosa c’è dentro me di mio padre, cosa mi porto dentro e cosa mi differenzia da lui e sto cambiando la mia posizione all’interno della famiglia “fantasma” con la quale dialogo. So che non sono pronta ad accogliere mia madre. Anche se oggi sono, nei suoi confronti, meno reattiva…e questo è un primo passo…ormai lo so…e mi sento grata per averlo scoperto. Tuo padre secondo te era un 6 come tua mamma? Come lo hai percepito da bambina?

    #6159 Risposta

    Marina Pierini

    Elisabetta, in questo mese e mezzo di seminari ed incontri ho conosciuto molte persone che per svariati motivi hanno deciso di seguire questo pecorso di elaborazione e crescita. Non so se può esserti di aiuto quanto ti racconto. Molti hanno perso entrambi i genitori, le testimonianze sono un carico pesante e doloroso che ciascuno di noi condivide nel gruppo, affinchè lentamente si possa avanzare. E’ una prima fase del lavoro. Ti dico questo perchè ho scoperto che non è con i familiari ancora viventi che abbiamo problemi, ma con quelli legati alla nostra infanzia. E’ la famiglia fantasma. Quella che noi abbiamo vissuto da bambini e che ci ha resi quali siamo oggi. Gli irrisolti albergano nel passato dunque, più che nel presente. In questa tua testimonianza, io leggo il tuo continuare a sostenere un ruolo che gioco forza hai dovuto accogliere e che non era il tuo. Vedo il sacrificio di una bambina sensibile che coraggiosamente si fa carico della debolezza del proprio genitore e diventa “genitore del genitore”. Scusa, non è che voglio fare l’analisi logica del tuo vissuto, è che mi colpisce con grande emozione un’analogia col mio vissuto. Lo scambio serve a specchiarsi e poi a guardarsi dentro. Sia io che mia sorella, infatti, nonostante i miei fossero all’epoca vivi e vegeti, abbiamo dovuto farci carico della famiglia, delle loro debolezze e dei loro fallimenti. Noi dovevamo sostenere, essere forti, incoraggiare e farci da parte, sacrificarci affinchè fossero più sereni e protetti loro. Questo spostamento ci ha impedito di completare una fase importante della nostra crescita emotiva e psicologica. Non sentirsi protetti da nessuno, come tu acutamente senti, ci spinge a riversare sui nostri cari una iperprotettività che è “reattiva” e non necessaria al momento storico che si vive. Al corso ci ripetono sempre che dobbiamo rompere la linearità. Uscirne. Vedere cosa stiamo spostando sui nostri figli. Cosa non è compiuto e speriamo inconsciamente (in questa parola il senso dell’intero viaggio) che essi compiano per noi. Ci hanno suggerito, in tal senso, di recuperare la famiglia fantasma e cominciare a chiederci cosa abbiamo introiettato, cosa rifiutato e dove ci siamo spostati. Cosa c’è dietro le quinte, oltre il noto. I questi ultimi tempi mi sono resa conto che riesco a reagire meno ai comportamenti di mia mamma anche perchè, confrontandola con la donna del passato, con la mamma di un altro tempo con la quale io ero in conflitto, mi accorgo che sono due persone diverse. Che non è la donna di oggi, quella con la quale ho degli irrisolti, ma la donna che lei era, quando io ero più piccola. Non averli più non ci impedisce affatto di dialogare con loro, distruggerli e poi recuperarli dentro di noi, con amore….posso farti una domanda? magari non mi rispondi se non vuoi….come viene accolta nella tua famiglia attuale questa tua presenza protettiva?

    #6160 Risposta

    Marina Pierini

    p.s. lo spostamento genera emozioni contrastanti in chiunque. Solo che spesso soltanto uno dei due “poli” è cosciente, ci è visibile. Questa è una di quelle cose note/ignote su cui sto lavorando in questo periodo…

    #6161 Risposta

    Elisabetta

    Bè Marina diciamo che da un lato credo che, soprattutto le mie figlie, possano sentire la mia vicinanza affettiva, dall’altro può essere un aspetto negativo perchè poi la preoccupazione che spesso nutro per ogni evento genera un pò d’ansia anche a loro. Le frasi ricorrenti sono “stai tranquilla” e “non ti preoccupare”…. credo che riescano a comprendere la mia sofferenza perchè in genere non si creano tra noi dei conflitti per questo motivo. Come dici anche tu si resta inevitabilmente ancorati all’infanzia con quei ricordi e quelle sensazioni che restano indelebili e che non riusciamo a modificare. Comunque la gioia del contatto fisico come è accaduto a Carla si può recuperare nel rapporto con i nostri figli ed è un’esperienza veramente appagante.

    #6162 Risposta

    Carla Basagni

    Care amiche, scusate il ritardo della mia risposta, ma devo trovare qualche momento di tranquillità per rispondere bene.
    Sono d’accordo sul fatto di lavorare sulla cosiddetta “famiglia fantasma”, perchè può dirci molto sul nucleo profondo della nostra personalità. Per quanto mi riguarda mio padre – e qui rispondo a Marina- è davvero un tipo 6, quello che al seminario avete definito “calore” ed, in effetti, ha compensato in parte la “durezza” da me percepita da parte materna. Se si guardano le scritture, però, si capisce quanto entarmbi invadono lo spazio grafico cioè, simbolicamente, lo spazio vitale. In quell'”invasione di spazio” a me era rimasto davvero poco spazio – la mia scrittura è, infatti, di calibro piccolo e piuttosto “nervosa”- così ho imparato a vivere “dentro” più volentieri che “fuori”. Ho dovuto imparare solo dopo, uscita dalla famiglia, a far sentire un po’ di più la mia voce, a capire che potevo influire, con le mie azioni, sul piano pratico della vita, insomma la mia “forza” l’ho scoperta solo dopo e con grande fatica. Anche la maternità è venuta per me tardi e dopo aver lavorato su una serie di difficoltà che ho incontrato, sia sul piano fisico che emotivo. Alla fine, però, dopo aver lavorato, credo positivamente, sui miei stati di carenza, sono diventata mamma di un bimbo che ha subito una delle carenze peggiori di tutte, perchè non ha mai conosciuto i suoi genitori biologici. E’ un “fiorellino delicato” a cui mio marito e io dedichiamo tutto l’amore e le cure di cui siamo capaci. L’abbiamo adottato l’anno scorso, dopo essere stati un mese nel suo paese di nascita. Ad un anno di distanza, posso dire che “il fiorellino” sta molto meglio, non solo è cresciuto fisicamente, ma anche la sua espressione ha acquisito una maggiore sicurezza.
    Vi mando un caro saluto,
    Carla

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