HomePage › Forum › Forum ASS.I.S.E. › Quale è il fine di imparare l’Ennegramma dei Tipi Caratteriali??
Questo argomento contiene 48 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da Antonio Barbato 13 anni, 2 mesi fa.
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CarlaE’ sempre un piacere corrispondere con voi, care amiche/ci lontani, su questi temi sui quali non si parla mai, di solito, nella vita di tutti i giorni. Per qualche tempo sarò in viaggio e non guarderò il computer , ma presto sarò di ritorno per continuare queste piacevoli conversazioni. A risentirci, Carla
un atomoNo Marina, guarda se c’è una cosa è proprio in questo momento non avere alcuna certezza. quando parlavo dell’ipocrisia non stavo assolutizzando un discorso generale cioè non stavo dicendo che ogni cambiamento in assoluto è una forma di ipocrisia ma pensavo a cose specifiche della mia vita. Anche io sono molto stanca di certi meccanismi, ma se devo seguire il tuo ragionamento forse non sono abbastanza convinta di meritare altro…o forse non tutto dipende da noi..o semplicemente non riesco a non ripetermi… Comunque OK. Non voglio…
Marina PieriniCara Carla allora ti auguro buon viaggio e buone vacanze, anche noi siamo in partenza e quindi per un pò non ci collegheremo. Atomo, allora avevo capito male, anche se poi le connessioni sono sempre in movimento dentro di noi. Io credo che quel “non voglio” sia un buon punto su cui finalmente stazionare, in fondo non c’è nessuno che ci obbliga ad andare dove noi non vogliamo. A volte, scherzando, penso che i tipi 4 abbiano il gioco dell’oca (versione maledetta) incorporato. A buon intenditor poche parole :-))))
un atomoNon voglio significava non voglio parlare ancora di questo, non voglio accanirmi in una discussione, non voglio creare il rischio di fraintendimenti, non mi voglio sempre mostrare, non voglio sempre sentire il bisogno di dover spiegare tutto. ecc.ecc. Non significava non voglio cambiare. In fin dei conti forse tutti i non voglio che ho scritto sono il vero cambiamento.
Antonio BarbatoHo evitato a lungo di intervenire su questo tema, per timore che si potesse pensare che fosse un intervento del tipo “Cicerone pro domo sua”, visto che insegno EdT da oltre quindici anni, ma ritengo ora che sia utile che io lo faccia. Forse, per le vie indefinite di Dio o del caso, per citare Borges, la mia testimonianza potrà essere utile a qualcuno e portargli giovamento nel suo percorso di vita e allora qualcuna delle mie riflessioni potrà essere giustificata dall’esito che esse produrranno su questo ipotetico lettore. Ovviamente, parlare del vantaggio che si ricava nello studiare e nell’applicare l’EdT significa parlare in concreto, testimoniare con la propria esperienza quotidiana quello che si è ricavato dall’uso di questo specifico strumento di conoscenza rispetto ad altre forme di insegnamento o di accadimento. Questo significa, di conseguenza, dover parlare della propria vita, dei cambiamenti, o della stagnazione da pura conoscenza intellettuale, indotti da una consapevolezza che si fa, o si dovrebbe fare, azione quotidiana, cambiamento di registro, assunzione diretta di responsabilità, scelta consapevole. Per rispondere alla domanda che io stesso ho posto in questo thread debbo, pertanto, ripercorrere a grandi linee le tappe della mia esperienza con l’EdT, ricordando, in primo luogo, che la mia esperienza è totalmente soggettiva e, di conseguenza, non necessariamente condivisibile o percepibile allo stesso modo anche da altri appartenenti al mio tipo e perfino al mio stesso sottotipo. Io ho conosciuto dapprima il simbolo dell’enneagramma e non ne sono rimasto colpito, perché non ho grande inclinazione per le cose puramente esoteriche e nemmeno per quelle che sembrano promettere grandi conoscenze solo a coloro che si uniformano alle volontà esclusive dei presunti maestri. Il buddismo e la filosofia mi avevano reso edotto del fatto che si può studiare un sistema per una vita intera ed avere una perfetta conoscenza intellettuale del funzionamento del desiderio, ad esempio, senza riuscire minimamente a modificarne gli effetti. Allo stesso modo il simbolo dell’enneagramma non mi attraeva, perché aggiungeva solo la promessa di misteriose conoscenze, senza fornire alcuna applicazione concreta di quella conoscenza. Ero, però, molto curioso riguardo alla sua origine, ma questa è un’altra faccenda, legata più al mio amore per la storia in generale che non allo specifico simbolo. Tutto, però, cambiò quando conobbi l’EdT nel 1990. All’epoca le informazioni erano pochissime, soprattutto in Italiano, e si cercava di tenerle elusive per garantirsi, a mio modo di vedere, una esclusiva sul mercato. Purtuttavia, le informazioni fornite sotto forma di uno strano impasto di insegnamento tradizionale derviscio, connessioni alla moderna psicologia, tendenze new age che promettevano l’avvento dell’era dell’acquario, richiami a misteriose fonti di saggezza che per millenni avevano, secondo quanto veniva riferito, protetto quella conoscenza, mi colpirono con la forza di una bomba. Credo che fu il mio essere un tipo Quattro che mi fece reagire così veementemente a quella diversa forma di sapere. La cosa fondamentale per me come Quattro era che trovavo una profonda comprensione di me stesso, superiore a quella che avevo ottenuto in anni di lavori psico terapeutici e di auto formazione con vari sistemi diversi. Sentivo che le mie sensazioni non erano così totalmente aliene al resto del mondo, come avevo più volte creduto e, soprattutto, che i miei infiniti PERCHE’ avevano trovato, finalmente, una risposta. Per almeno un paio di anni la volontà di saperne sempre di più fu dominante in me, così come il lacerante desiderio, anche questo tipico del Quattro, di impegnarmi in una sempre più approfondita ricerca che mi permettesse di padroneggiare l’EdT. Facevo, all’epoca, il classico errore di chi, sapendo qualcosa, pensa che il vero problema sta nel non sapere troppo, piuttosto che nel non sapere utilizzare quella che sa. Quando la fonte dalla quale avevo appreso i rudimenti dell’EdT si rivelò incapace, o non desiderosa, di trasmettere di più rispetto a quello che avevo già appreso, il mio ego cominciò a richiedere (anche questo è tipico del Quattro) di avere di più e ancora di più. Mi lanciai in una ricerca approfondita, in un continuo approfondire quello che sapevo, in una raccolta di documenti quanto più estesa possibile. Entrai in contatto indirettamente con Oscar Ichazo, la vera fonte moderna dell’EdT, o almeno con l’istituto che lui aveva fondato e deteneva la licenza di pubblicare o vendere i suoi documenti e appresi che nella sua visione era fondamentale la progettazione dell’Illuminazione, del raggiungimento di uno stato trascendente. Questo fece di nuovo ricominciare il gioco, senza che riuscissi a capire che tutte quelle conoscenze restavano, senza una capacità di poterle veramente usare, lettera morta. La mia situazione, come quella di tanti Quattro, era quella descritta da Eugenio Finardi in una sua canzoncina: Extraterrestre. Come il protagonista della canzone io desideravo un altro mondo in cui ricominciare, però non mi assumevo la responsabilità di un cambiamento e reclamavo solo con forza un intervento esterno che mi portasse via dalla mia stagnazione. Anche quando, continuando la metafora, un extraterrestre appariva e mi faceva finalmente vedere questo tanto ricercato nuovo mondo, io preferivo, sempre come il protagonista della canzone, chiedere di tornare indietro e chiudere gli occhi. Fu solo quando cominciai a mettere in dubbio quello che credevo di sapere, che qualcosa iniziò a cambiare in me. Non mi suonava, in particolare, l’idea che la mia fissazione, quello cioè che mi bloccava a livello cognitivo, fosse, come si diceva nei libri e come anche io avevo sentito, la malinconia. Certo, ripensavo spesso al passato e mi crogiolavo in questi atteggiamenti che mi estraniavano dalla responsabilità del presente, ma sentivo che non poteva essere questo a tenermi bloccato. Nemmeno mi convinceva il fatto che, in qualità di invidioso, io vedessi sempre più verde l’erba del vicino perché così era. Analizzando a fondo me stesso, cominciai a rendermi conto che il pensiero che incessantemente si riproponeva nella mia mente era un altro. La mia capacità di godere di quello che avevo realizzato, dei rapporti che erano la parte determinante della mia vita, delle cose che avevo costruito, sembrava fortemente deteriorata ed io restavo passivo a subire le conseguenze di questa situazione. Riconobbi in breve, e in questo la mia conoscenza dell’EdT mi fu di enorme aiuto, che ero fissato non sulla malinconia, che era una cosa quasi gradevole, ma, in modo molto più traumatico, sulla Insoddisfazione. Fu uno shock uguale a quello che avevo provato quando mi ero visto come invidioso. Come potevo sperare che qualcosa cambiasse se una parte di me continuava a ripetere in modo infantile: “non mi fiderò mai, non sarò mai amato, non sarà mai abbastanza”?. Ancora una volta l’EdT mi venne in aiuto ricordandomi che uno dei tre fattori bloccanti dell’ego (quelli che nell’antichità i padri della chiesa cristiana chiamavano i Giganti del Male), era la Noncuranza, una forma di ignoranza che consiste nel non fare uso di quello che si sa o di non saperlo mettere in pratica. Capii che dovevo agire e percepirmi in un modo che fosse diverso da quello al quale ero abituato. Per combattere l’Invidia cominciai a fare esercizi concreti che consistevano nel fare lunghi elenchi di quello che avevo e nel paragonarmi con quelli che erano sicuramente meno fortunati di me. Trovai un grande giovamento anche nel darmi la libertà di esprimere tutto il dolore per la Ferita che il mio ambiente mi aveva inferto da bambino e, così come il pus fuoriesce e la Ferita comincia a guarire, Cominciai a stare molto meglio con me stesso ed a vedere che IO potevo far cambiare le cose della mia vita se solo mi ci fossi impegnato. Credo sia un lungo intervento e, per questo, mi fermo, ma sono pronto a ritornare sul tema se qualcuno di voi amici ulteriormente dei chiarimenti.
un atomoTi prego caldamente se puoi di continuare a spiegare meglio. Perchè è come se mi mancasse un pezzo fondamentale per capire del tutto. Voglio dire questo.: tutto ciò che hai descritto per la malinconia, l’invidia e soprattutto per l’insoddisfazione mi trova quasi choccata per la similitudine di ciò che io credo e penso di me. Questo credevo e sapevo anche prima di sentir parlare dell’ennea. Sapere tutto questo non trasforma l’insoddisfazione e non risponde alla domanda/pretesa interiore, che è poi fondamentalmente una domanda d’amore. E’ molto interessante ciò che hai detto sulla noncuranza, così come l’hai descritta mi sembra che identifichi a pennello una cosa che mi appartiene. ma mentre per l’invidia hai fatto un esempio concreto , che non mi è difficile comprendere e che trovo anche facile praticare, perchè fa leva su una capacità interna di empatia verso le situazioni più difficili della mia, non riesco a pensare come placare l’insoddisfazione. Credo che l’unico modo sia accettare con pienezza l’amore che c’è nella vita,per quello che la vita è, sentirlo dentro, punto e basta. Ma perchè questo possa accadere non bisognerebbe sentire i morsi dell’insoddisfazione. E allora…è un cane che si morde la coda. Qualsiasi sia la cosa che incontri, qualsiasi teoria, qualsiasi disciplina,qualsiasi cosa i che ti aiuti a capirti meglio, a vederti in un modo più obiettivo è molto importante ma .secondo me, non è sufficiente a mettere in moto un cambiamento profondo. Non credo neanche che sia una questione di volontà, nè di impegno, sicuramente non nel mio caso. Anzi direi quasi che è il contrario e cioè che è necessaria una capacità di abbandono , una gioia nel fluire, uno stato di grazia nell’ESSERE, che non può avvenire finchè un’ intensa tensione interna ti tiene trattenuto. Allora ti chiedo in che modo concreto, non verbale, non pensato, ma pratico, materiale l’EDT ti ha aiutato a far questo?
Antonio BarbatoCara Tecla cerco di spiegarmi, nei limiti di quella che è stata la mia esperienza, un po’ meglio. L’EdT insiste molto sull’idea che la Fissazione è una distorsione cognitiva, indotta da un preesistente stato emozionale predominante, che colora il nostro modo di percepire. In altre parole, la Fissazione è una specie di filtro che ti fa vedere le cose della tua vita in un certo modo e solo in un certo modo. Questo, però, è molto diverso rispetto alla sensazione che non stai percependo bene. Così provare insoddisfazione è una esperienza reale, ma orientare la propria mente a vedere solo quello che non va bene, è tutta un’altra cosa Nell’Invidia c’è una erronea tensione, un paradosso, uno sforzo a cercare di abbandonarsi che non viene percepito come tale. L’idea pazza è che per goderti qualcosa, devi fare qualcosa. Tutto ciò nasce dalla spinta ad essere diverso indotto dalla sensazione che non vai bene così come sei, ma è, paradossalmente, proprio quello sforzo, quel paragone fra quello che sei e quello che vorresti essere, che ti frega. Se mi passi il paragone, un Quattro è come una persona che ha degli occhiali con spesse lenti gialle sugli occhi e una molletta molto stretta sul naso. Quando entra in un negozio di frutta squisita sente, seguendo il filtro della sua percezione distorta, che le arance, ad esempio, non sono rosse per lui come lo sono per gli altri, che il gusto non è tanto dolce come glielo avevano descritto. Conclude erroneamente, a livello cognitivo, che a lui sono stati dati dei frutti che erano, casomai, di scarto e non gli passa nemmeno per la testa che, invece, tutto dipende dalla sua percezione sfalsata. Non capisce che lo stato di grazia non è una esperienza di vertice, un momento di estasi particolare, ma la tranquilla esperienza della propria capacità naturale di godere in sè stesso del fatto che percepisce, che vibra, che c’è. Come fare per correggere questo tipo di situazione saperndo che Un Invidioso cerca di vedere meglio, di cogliere meglio i dettagli, di inquadrare in un modo più individuale e determinato il mondo davanti a se stesso. Che si angoscia, perché è convinto di percepire contemporaneamente meglio e, al tempo stesso, mai in linea con quello che dovrebbe essere o sente che deve essere. E così che un Quattro si auto blocca, dicendosi che tutto dovrebbe essere facile ma, stranamente, per lui non è così, che dovrebbe mollare quando, invece, si attacca furiosamente alla sua situazione normale, al suo status quo, al quale è abituato. Vorrei, ora, coinvolgerti un po’ di più e, prima di dirti come ho cercato di correggere io il mio mondo cognitivo, chiedere a te di rispondere alla domanda che ho posto prima. Sapendo, grazie all’Edt ed esclusivamente grazie alla sua capacità di descrivere l’essenziale, che devi correggere il tuo filtro percettivo venato da quegli ingombri (la lente e la molletta sul naso), tu che suggerimenti ti sentiresti di dare ad un’altra persona??
un atomoCaro Antonio sono molto concorde con ciò che dici, compreso gli occhiali gialli e la molletta al naso, l’unica cosa è che io non penso, nè sento dentro di me, che mi sono stati dati frutti di scarto. Assolutamente,. Non è solo il fatto che respingo questa cosa come concetto, è proprio che nella pancia non è questo il mio rammarico,esso consiste nel fatto lacerante di avere una profonda consapevolezza di indossare degli occhiali, di percepire cioè in modo distorto e di non riuscire in alcun modo, nella vita pratica a fare quel gesto spontaneo di levare gli occhiali punto e basta. Semplice, no? Impossibile,invece. Insomma sono io che non vado, non è la vita. E’ questo che mi fa incazzare. Per il resto quali consigli darei? Quelli che dò sempre a me stessa ma non funzionano. Proprio ieri dicevo a mia madre, che è sempre proiettata in una fuga nelk passato o nel futuro, dovunque ma mai presente nel momento che c’è, che il segreto è proprio questo di stare perfettamente nel momento. Mentre parlavo con lei sbucciavo una carota e mi domandavo quanto si perde di meraviglioso in questo semplice gesto, quanto del colore brillante, del crocchio vivace dell’ortaggio che si taglia, del profumo delicato…ecco, così sarebbe perfetto, vivere così. Nella pienezza assoluta di una connessione interiore. Ma poi..nella pratica…indossi gli occhiali e ti maceri nella rabbia, nella malinconia, nella sensazione di abbandono affettivo. Senti che le risorse, che pure hai, di fantasia, di immaginazione, di tensione spirituale, di senso della bellezza e del’armonia, muoiono nel sentirsi respinta, pur sapendo che niente ti respinge realmente ma che sei tu che ti metti in un angolo perchè ti senti ferita, a torto o a ragione, poco importa.
CarlaCari amici, vi leggo sempre con molto interesse e le cose che dicono risuonano anche dentro di me. Ma la mia esperienza del mondo sta cambiando ,da tre anni a questa parte, cioè da quando è arrivato mio figlio Son, che io chiamo, da questo punto di vista, “il mio piccolo maestro”. Quando Son è entrato nella mia vita aveva già cinque anni e mezzo, la personalità era già ben definita : ha una tale propensione naturale alla gioia, al gioco, alle relazioni, a cogliere tutti gli aspetti piacevoli dell’esistenza, che mi sembra davvero un Sette di conservazione. Con Son ho re-imparato di nuovo a giocare, a scherzare a divertirmi, a far giocare un po’ anche il mio “bambino interiore”, che si era tanto intristito, nel corso degli ultimi anni, ma soprattutto lui ha cambiato in modo sorprendente tutta la mia vita. Non avete idea con quante persone mi ha fatto parlare Son, io che sono sempre stata una timida, chiusa in un mondo tutto mio, persa nei miei pensieri..Lui mi dice: “Mamma vuoi parlare con quella signora? Ti ci faccio parlare io!”…e vedo che nesssuno è in grado di resistere alla sua simpatia, al suo buonumore. E’ proprio vero che il mondo reagisce al nostro modo di essere e che è uno specchio di noi! Certo, anche Son ha le sue distorsioni cognitive. Mi accorgo, con dolore, della forza che hanno in lui le sue sensazioni di autosvalutazione, di non amore di sè, che derivano dalla sua esperienza di abbandono alla nascita, di quanto possano sabotare la sua vita. Combattiamo con questo tutti i giorni, mio marito ed io. Praticamente si vede una creatura bellissima, piena di talenti, di fantasia ed intelligenza che dice più volte al giorno di essere “brutto” e purtroppo ne è convinto nel profondo!
Marina PieriniCarla quando racconti queste cose di tuo figlio mi commuovi sempre e tocchi una corda che risuona dolorosamente dentro me. So che conta poco quello che gli altri dicono, e che ciascuno deve trovare la propria strada da solo ed anche questo è dolorosamente vero, in un certo senso è quello che dico anche ad Atomo….ma se ti può in qualche modo confortare la mia esperienza ti dirò che anche il mio primo figlio è cresciuto con la convinzione di essere brutto e non meritevole di amore a causa di un padre aggressivo e fortemente rifiutante che lo ha umiliato infinite volte. Eppure oggi vedo un ragazzo di 20 anni, che ha lasciato casa, lavora, frequenta belle persone e pian piano riconosce il suo valore e si emoziona quando noi tutti lo apprezziamo e lo riconosciamo nei suoi sforzi e nei suoi meriti. Comincia a credere in sè stesso e nel suo valore. Comincia a capire che chi lo ha ferito è manchevole, carente… e non lui. Forse Son è piccolo e non riesce ancora a farsene una ragione, non capisce che chi lo ha lasciato non lo ha fatto perchè è lui ad avere qualcosa che non va ma forse proprio il contrario…forse è ancora in quell’età di fame d’amore in cui accontentare gli altri è più importante che non ascoltare sè stesso. Forse un giorno quando inizierà il suo cammino di uomo le vostre continue e solide parole d’amore riusciranno a dargli quella forza necessaria a vedersi perfetto così com’è. Io sono convinta che l’amore vince sempre. Solo che ha tempi molto molto più lunghi per dare i suoi sani frutti. Vi abbraccio con molto affetto e simpatia 🙂
Carla BasagniCara Marina,
anch’io sono convinta della forza dell’amore, anzi direi che lo sto proprio sperimentando nel corso della mia esperienza di vita, fino a dirti che il significato della vita stessa, forse, è proprio provare la forza di questo amore su di noi e sulle persone a cui vogliamo bene.
Vorrei, però, ricollegarmi all’interessante tema di questa discussione e sottolineare l’importanza dell’apertura nella nostra vita. Amare, infatti, significa aprirsi al mondo, all’ascolto e all’interesse per gli altri, questo rende la vita interessante e meritevole di essere vissuta, mentre la nevrosi dei vari enneatipi, ci porta a chiuderci, senza rendercene conto, in mondi illusori, dominati da interessi molto egoistici, in cui, alla fine, rischiamo di rimanere proprio “tagliati fuori” dall’amore, da quello che tutti andiamo cercando nelle nostre vite, e di morire lentamente di una sorta di “asfissia spirituale”.
Posso dire di aver fatto esperienza diretta di quello che dico, se considero la mia vita prima e dopo l’arrivo di mio figlio. L’impressione è stata che, prima, vivessi in un mondo piccolo, relativamente comodo forse, ma chiuso, asfittico, senza rendermi conto della vita che c’era fuori, appena sotto casa mia. Mio figlio, arrivato da me già grandicello, mi ha semplicemente preso per mano e portato fuori, nei giardini, per la strada, ad incontrare gli altri, ho conosciuto e parlato con moltissime persone, grazie a lui, belle persone, interiormente ricche, di tante culture e provenienze diverse, insomma mio figlio mi ha fatto entrare nel mondo ed uscire dalla mia “prigione” interiore, è questo che volevo dire…
Bacioni, Carla
Marina PieriniMa siamo sicuri che l’amore è quello che tutti cercano? Sai in questi giorni mi sono resa conto che per alcuni il contatto con gli altri è utile, rassicurante ma anche qualcosa da evitare a livello profondo perchè l’amore “visto da fuori” è logorante, svuota, chiede sacrifici. Forse il rischio di asfissia di cui tu parli lo corriamo tutti, in un certo senso, eppure io dubito che vi siano persone che comprendono quanto in realtà l’amore paghi con l’amore e renda infinitamente ricchi….
Carla Basagni…eppure è proprio l’amore che abbiamo saputo dare agli altri l’unica cosa che rimane della nostra vita, dopo la morte: il nostro corpo scompare nel nulla, i nostri averi sono solo “un prestito”, che lasceremo alle generazioni future.
L’ho visto con mio padre, che è morto purtroppo l’anno scorso, accompagnandolo gli ultimi tristissimi momenti prima della sua fine. Mio padre mi ha sempre amato di un amore incondizionato ed ha sempre cercato di aiutarmi e proteggermi per tutta la vita, anche se non riusciva a comprendermi del tutto, come spesso succede con i figli. Fortunatamente, ha fatto in tempo a conoscere il suo unico nipotino, al quale ha voluto bene di più di quanto ne avrebbe voluto ad un nipotino “biologico”. Attorno a questo piccolissimo e spaurito bambino (così era Son tre anni fa, quando mio marito ed io siamo andati a prenderlo in un orfanatrofio in Vietnam) si è riunita tutta la nostra famiglia, come succede sempre in occasione di una nascita, ed abbiamo fatto in tempo a vivere momenti dolcissimi di armonia familiare, dopo molti anni in cui eravamo stati lontani, presi dai problemi delle nostre vite individuali. Quando mio padre non si poteva più quasi muovere, bloccato in una squallida stanza di ospedale, mi guardava con la sua solita espressione di grandissimo amore, raccomandandomi il suo nipotino. Gli ho giurato che la mia vita sarebbe stata dedicata soprattutto a mio figlio, che l’avrei protetto, come lui aveva sempre fatto con me e, da quando è morto, ho sempre la sensazione di averlo accanto a me…..
un atomoCaro Antonio …io sto ancora aspettando una risposta. Hai scritto che prima di dirmi la tua soluzione, volevi la mia. Io ho accettato di essere sollecitata, anche se questo mi costa, perchè devo farlo in un posto pubblico, e mi crea difficoltà. Se il discorso è che ognuno deve trovare la strada da solo… bhè questo grazie, credo che lo so da decine di anni, ma in questo caso non ha molto senso aprire una discussione e un confronto. Baci.
Antonio BarbatoCara Atomo, come affermano giustamente i libri di saggezza c’è un tempo ed un luogo giusto per ogni cosa. Così c’è un tempo per riflettere, uno per viaggiare e svolgere al meglio il proprio compito, uno per ritrovarsi ed uno per condividere. Ogni cosa deve avere il suo svolgimento ed apprendere questo fa parte del più generale processo di auto centratura. Torno al nostro discorso, così, perché ora, forse, sono più capace di trasmettere al mio meglio quello che ho imparato. Riparto, quindi, dal punto dal quale avevo lasciato: un Quattro è qualcuno che percepisce se stesso ed il mondo in modo distorto, perché porta con sé la Ferita di una non accettazione originaria, di uno scambio fra l’accettazione e l’impegno. Se siamo d’accordo su questo possiamo capire che non possiamo dire ad un Quattro: “Abbandona il tuo filtro giallo”, perché sarebbe come chiedere a qualcuno che ha sempre camminato con delle grucce, anche se è perfettamente sano , di abbandonarle e di mettersi a correre. Se ricordi da scuola come nascono i colori dal filtraggio della luce, o se semplicemente hai una stampante a colori, sai che per avere l’intero spettro devi avere tre colori fondamentali; il giallo, il rosso, l’azzurro, oltre naturalmente al bianco ed al nero. Allo stesso modo per combattere l’Insoddisfazione, che è il filtro giallo, la miglior cosa è aggiungere gli altri due colori, cioè portare l’attenzione cognitiva su quello di meraviglioso che hai. Tradotto dalla metafora in esercizio pratico, porre la propria consapevolezza su quello che ti soddisfa (usare, cioè, il filtro azzurro) e su quello che non vorresti mai cambiare perché ti riempie e rende unica la tua vita (il filtro rosso). Questo significa riequilibrare la mente cognitiva ed è molto facile da fare. In altri termini, si tratta di spostare l’attenzione del pensiero su quello che ti riempie, non su quello che ti sembra carente. Si può fare elencando tutte le cose che ti soddisfano (per esempio, scrivendo cose del tipo: questa musica mi riempie di gioia), tutte quelle che ti danno piacere (esempio, quel gelato alla nutella biscottata mi ha fatto impazzire), oppure esercitando con diletto la tua creatività (anche in modo paradossale. Un mio amico trova grande soddisfazione nel colorare a proprio piacimento le copie in bianco e nero di grandi autori). Ad un livello più profondo si pone l’esercizio che mette in primo piano quello che per ognuno di noi è la fonte di piacere più grande perché rende unica la nostra vita (esempio, guardare gli occhi del proprio bambino, sentire con gratitudine il battito del proprio cuore, percepire il piacere di scegliere un vestito,). Io lo faccio donandomi un sorriso per ognuna delle cose che compongono la mia individualità e mi fanno sentire bene. Ad esempio, se sento una musica che mi piace tantissimo come il canone di Pachelbel, io ringrazio l’autore e gli rivolgo un sorriso interiore, poi sorrido alle mie orecchie per come sono capaci di farmi percepire, al mio cervello perché elabora quei suoni, alla persona che mi ha fatto conoscere la melodia e così via. In questo modo esercito la mia mente a vedere in un modo alternativo a quello che è abituale per un invidioso. Non vedo la Vie en Rose, ma sento che in tutte le cose c’è qualcosa che mi richiama ad uno stato interiore che mi soddisfa e, in questo modo, ho trovato la leggerezza che non avevo mai avuto, senza nemmeno desiderarla. Ovviamente, la gratitudine maggiore la provo ogni qual volta sento il mio cuore riempirsi di amore, perché l’amore è sempre e comunque per un Quattro la via diretta per la soddisfazione e la gioia. Baci a te, a Carla ed a Mari che, mi sembra, siete le uniche a portare avanti il forum!!!
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