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Questo argomento contiene 14 risposte, ha 1 partecipante, ed è stato aggiornato da Carla Basagni 13 anni, 1 mese fa.
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Sirenella“Ciao a tutti, stavo riflettendo oggi pomeriggio su una cosa abbastanza curiosa alla quale mi capita di assistere quando vado a lavoro dai bambini che accudisco il pomeriggio. Come ho gia’ detto in precedenza sono bambini piccoli, 4 per l’esattezza, anche se io seguo sopratutto i piu’ grandicelli, visto che l’ultima ha solo 7 mesi. Il maggiore ha 4 anni e mezzo e poi ci sono due gemellini di due anni e mezzo, un maschietto ed una femminuccia. La cosa che mi ha colpita molto e’ questa: quando chiedo alla femminuccia “”Marianna, chi e’ questa bambola? Come si chiama? Chi e’ questa bimba disegnata qui? Come si chiama?”” lei mi risponde sempre, sempre sempre….si chiama “”Mananna”” che sarebbe Marianna, ossia il suo nome, pronunciato da lei. Ogni figura di bimba, ogni bambolotto ogni cosa insomma si chiama Mananna. Michele invece, il gemellino, risponde sempre nomi differenti, quando gli pongo la stessa domanda. Cosi’ il bambolotto si chiama Giuseppe, Ciccio, Eustachio (ha molto senso dell’umorismo) ma mai si chiamano Michele. Secondo voi, come mai, due fratellini gemelli, cresciuti quindi in simbiosi e nello stesso ambiente familiare, rispondono in maniera cosi’ diversa?? Marianna si identifica con tutte le bambole, Michele assolutamente no. Sono troppo curiosa e spero che qualcuno mi possa aiutare a trovare una risposta convincente….intanto ne approfitto per augurarvi buon fine vacanze, tante coccole, tanta cioccolata, e tanti sorrisi…baci.”
Antonio BarbatoMarianna ha in corso un processo di identificazione positiva con una immagine “pupazzosa” di sè, che trova conferma nell’attenzione dei genitori. Il maschietto, all’opposto, sente che quell’immagine non corrisponde a quello che l’ambiente gli chiede, e la rifiuta. Le Polarità si stanno già sviluppando dentro di loro, alimentando il processo di espansione/ritrazione che li porterà, fra qualche anno, ad assumere un’identità precisa ma limitata.
Marina Mele“Cara Serenella, che bella e curiosa esperienza stai facendo…..sento di condividere quanto molto bene ti ha detto Antonio e, buttandola un pò sul ridere, visto la giornata potremmo dire che Marianna sta facendo il giro dell’enneagramma alla ricerca del proprio ennea tipo (si lo so è piccola ma giusto per scherzare e un pò sul serio)…..credo che potrete costruire un rapporto importante su questo e poi tu sei in grado di aiutarla alla grandissima!!!
Cioccolataaaaaaaaa? Okkei.
Bacioni”
Marina Mele“Serenella”, scusa,……Sirenella……ma data la giornata spero tu sia anche “serena/ella!….allegramente serena.
SirenellaGrazie Anto, questo in qualche modo conferma l’impressione che ho della mamma come enneatipo 8. Anche l’altro maschietto, quello piu’ grande sta diventando un 8 quasi da manuale, ed evidentemente questo disagio dei figli maschi e’ proprio frutto delle aspettative di “forza” che la mamma ha nei loro confronti. Mel non so perche’ secondo te costruiro’ un rapporto importante con Marianna piuttosto che con gli altri…in realta’ io percepisco proprio all’opposto il bisogno dei due maschietti, perche’ Marianna in fondo e’ su una rotta diversa, date le aspettative genitoriali diverse nei suoi confronti….comunque, sto imparando un sacco di cose con questi bimbi…e’ una bella e faticosissima avventura… 🙂
Marina MeleSirenella, sono ormai un pò rassegnata con te e quasi quasi butto la spugna e me ne dispiaccio davvero ma solo per correttezza vorrei precisare che non ho scritto “piuttosto che con gli altri”…semmai tendevo a trasmettere forza al tuo interesse a capire questa piccoletta……non vedo pace da parte tua nei miei confronti e davvero mi dispiace sentirti così …….e se ti telefono???
SirenellaCara Melinda, davvero non capisco come mai ti affanni cosi’ tanto in questa disperazione tutta tua. Si parlava prima di seghe mentali e francamente, scusa, ma mi sembra che questo tuo proiettarmi continuamente intenzioni che non ho mi sembra un ottimo esempio su cui riflettere. Non so davvero cosa dirti, credo che non sia un problema che scaturisce da me, se tu leggi qualcosa di malefico ogni volta che mi rivolgo a te, per cui continuo a non dire nulla. Io penso liberamente quello che penso di tutto e tutti, ma non credo anzi, sono certa di non rivolgermi mai a nessuno con insulti, con astio ecc…mi verrebe da chiederti ma insomma…cosa vuoi da me?? Non vedi pace da parte mia nei tuoi confronti? A me sembra che sia tu a non trovare mai pace nei miei! Non ho veramente nulla di saggio da risponderti, poi pensa cio’ che vuoi, cosi’ come io mi sento libera di fare da sempre.
SirenellaAntonio, io pero’ non capisco del tutto. Voglio dire, pensavo che Michele non identificandosi coi pupazzi, avesse una percezione piu’ precisa della sua identita’, dell’individuo che e’ e che non possono essere gli altri. Invece Marianna espande se stessa, sui pupazzi, fino a non riconoscere la loro identita’ ma sempre e solo un’estensione della sua. In che senso quindi, questo non riconoscere agli altri una loro identita’ e’ positivo per Marianna?
Antonio BarbatoSire, “identificazione positiva” non va intesa come un giudizio di merito ( nel senso, cioè, che quel processo di identificazione è qualcosa di positivo), ma nel senso che i processi psichici interiori della bambina la portano ad identificarsi “positivamente” con l’immagine che le viene assegnata. Si potrebbe anche esprimere lo stesso concetto, dicendo che Marianna “accetta” l’immagine di pupazzotta e si riconosce in essa, fino al punto di “allargare” il suo sè per ricomprendere nella sua megalomania infantile gli oggetti che gliene rimandano un’eco.
Antonio BarbatoRagazze, mi fate venire in mente le parole di W.B. Yeats: “Vorremmo sempre che i nuovi amici incontrassero i vecchi/ e siamo feriti se gli uni o gli altri dimostrano freddezza/e poi c’è come un sale che stizzisce/ il dolore della ferita negli affetti del cuore,/ ed è così che su quel punto nascono i litigi”. Possiamo, privatamente, cercare di parlarne??
SirenellaOk adesso ho capito…mi sento piuttosto inquieta pero’…perche’ non capisco se esiste un atteggiamento, una risposta infantile piu’ sana di un’altra. Il che in qualche modo significa cercare di capire quali sono gli input piu’ sani che i genitori riescono a trasmettere e quali quelli piu’ “devianti”…ma mi sa che mi devo accontentare, perche’ non credo sia un argomento esauribile in due battute. Grazie comunque 🙂 …
Antonio BarbatoDopo tanto tempo ritorno sull’ultima domanda che Sirenella mi poneva per dire che, si, c’è una risposta più sana di un’altra. E’ quella del bambino che si sente soggetto di diritti, che partecipa attivamente al gioco con gli altri e da solo, che sa avere bisogno ma anche sapersi allontanare e che i genitori trattano da bambino in senso buono, nel senso cioè di un essere che ha molti bisogni, poche capacità di soddisfarli e che si fida, naturalmente, istintivamente, di chi si prende cura di lei/lui.
Carla BasagniCredo che, nella rappresentazione di un bambino, che sia disegnino o bambolotto, il bambino tenda sempre a riconoscere se stesso e a proiettarci sopra il proprio vissuto infantile di accettazione o di rifiuto.
A questo proposito vorrei condividere con voi un mio ricordo infantile, molto chiaro, probabilmente legato alla mia ferita di Quattro sociale.
Da bambina, ricordo di aver avuto un’autentica passione per gli animaletti di pelouche e di aver sempre rifiutato le bambole. Erano gli animaletti, così morbidi e simpatici, che io stringevo, cullavo, facevo finta di nutrire, e mai le bambole. Una volta un amica di mia madre che, conoscendo questa mia passione, mi regalava sempre animaletti finti, mi regalò invece una bambola ed io (avrò avuto 4 o 5 anni) la scagliai infuriata per terra, mettendomi a piangere. Ho ripensato diverse volte a quell’episodio e credo di aver proiettato allora su quella bambolina il “rifiuto” (o forse è meglio dire la freddezza) che avevo percepito da parte materna. La tenerezza riuscivo a viverla solo se la spostavo sugli animali. Ho avuto bisogno di un lungo percorso personale per arrivare, prima, a fare la pace con il mio “bambino interiore” , poi, a trovare un po’ di naturalezza nei rapporti con i bambini e, infine, per viverla con mio figlio adottivo, “arrivato” solo due anni fa e che, per me, ha rappresentato un vero e proprio “ri-equilibrio” della mia personalità.
Per questo credo che la bambina che si identifica positivamente nella bambolina o nel disegno di una bambina, sia più serena del bambino che, invece, non riesce ad identificarcisi.
Ciao, Carla
Antonio BarbatoSi, Carla, credo che tu abbia ragione nel sostenere che non volevi identificarti nella bambola a causa della relazione negativa che percepivi con la figura femminile di nutrimento. All’età di 4 o 5 anni la coazione a ripetere non si è ancora strutturata e, quindi, la ferita è ancora percepita direttamente, per questo nutrivi solo chi era più piccolo di te come il pupazzotto di pelouche che cullavi. Noi Quattro pensiamo, ovviamente, che la nostra infanzia sia stata la più disgraziata in assoluto, ma non è così. Penso, ad esempio, all’enorme dolore che può riemergere dal profondo della psiche di un Tre che, normalmente, si rifiuta perfino di pensare che la sua infanzia sia stata meno che splendida, eppure si ritrova a fronteggiare, talvolta, un vuoto che sembra un buco infinito nel quale si sprofonda senza possibilità di trovare appigli. O ad un Sette che deve reprimere i propri sentimenti di inadeguatezza e di dolore, per non temere di poter danneggiare le persone che ama. L’impatto con la realtà è sempre difficile per ognuno, e se non si è accompagnati da una vera considerazione per il bambino che si è il confronto può provocare danni seri e persistenti. Un saluto affettuoso, Antonio
Carla BasagniGrazie per la bella risposta, Antonio.
Vorrei continuare a condividere con tutti voi alcune osservazioni su mio figlio adottivo e i suoi disegni. Mio figlio ha ora sette anni, ed è arrivato in Italia due anni fa. Inizialmente, non ne voleva sapere di fare disegni. Usava esclusivamente il nero e, appena cominciava a tracciare una forma vagamente somigliante ad un “omino”, una sorta di autorappresentazione, subito si cancellava con rabbia. Io e mio marito l’abbiamo stimolato ad esprimersi con il disegno ed abbiamo notato che lui, attaccatissimo a me in senso anche fisico, ha cominciato ad usare, oltre al nero, il rosa, colore che mi piace ed indosso spesso. Quando è andato alla scuola materna solo per qualche mese, prima delle elementari, ha “scoperto” gli altri colori, anche se in gamma un po’ limitata, ed ha cominciato a non cancellare la scarna figura di “omino” con cui si rappresentava; in questa fase, ancora la bocchina disegnata era rivolta verso il basso e diceva spesso di essere brutto, cattivo etc. Ora la sua abilità grafica è migliorata moltissimo. Realizza molto bene tutto lo schema corporeo, compresi occhi naso bocca (sorridente) e mani, usa tutti i colori del suo astuccio e dimostra persino un certo talento, nel senso che i suoi disegni sono mossi, vivaci ed espressivi (in questo senso lo rappresentano bene). Qualche volta dice ancora di essere brutto e cattivo, del resto la sua “ferita” interiore di abbandono è particolarmente profonda, ma tutto il comportamento è meno agitato e, complessivamente dà l’impressione di essere un bimbo sereno.
Mi rendo conto che, in questi due anni, io e lui ci siamo scambiati moltissime esperienze di “intimità” e rassicurazione” di cui entrambi avevamo bisogno. In particolare lui mi ha letteralmente insegnato a fare la mamma “tirandomi fuori” delle “abilità” materne che non credevo nemmeno di avere. In questo, mi rivedo molto nel racconto che mi ha fatto un’altra mamma adottiva, della sua bambina di cinque anni. Voglio raccontarlo perchè fa capire bene la relazione fra mamma e figlio/a adottivo. La bimba ha chiesto alla mamma di comprarle una confezione di borotalco su cui era raffigurata una mamma che tiene fra le braccia un bimbo molto piccolo. Dopo il bagnetto le ha indicato il barattolo di talco e, dal momento che la mamma non capiva, ha cominciato a mostrarsi impaziente. Alla fine ha preso le braccia della mamma, le ha ripiegate “a culla”,come si vedeva nel disegno, e ci si è accocolata sopra. Ecco come questi bimbi “insegnano” a noi genitori adottivi il linguaggio della tenerezza. Nell’apprenderlo noi spesso siamo un po’ lenti, ma l’importante è che, alla fine, ci arriviamo!
Un caro saluto a tutti,
Carla -
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